"La notte del blackout"
Sono trascorsi 45 anni da quella che è passata alla storia come “la noche del apagón” (La notte del blackout). Sopravvissuti, familiari, attivisti e specialisti in Diritti Umani hanno voluto condividere esperienze e riflessioni in un incontro virtuale.
400 sequestri e 33 desaparecidos. Questa è la fedele cronistoria che seguì "La noche del apagón", uno dei fatti più tragici della storia della provincia di Jujuy, al nord dell'Argentina.
Una lunga notte che si sviluppò nel periodo compreso dal 20 al 27 Luglio del 1976, dove sistematicamente, protetti da programmati blackout, delle task force congiunte della polizia della provincia di Jujuy, la Polizia Federale, l'Esercito e la Gendarmeria Nazionale realizzarono perquisizioni illegali nelle località di Libertador General San Martín e Calilegua, sequestrando oltre 400 persone che furono trasportate in veicoli di proprietà dell’industria zuccheriera Ledesma; molti furono fermati nei capannoni della stessa impresa. Operai, educatori, studenti, attivisti e sindacalisti furono identificati negli elenchi stilati dai dirigenti dell'azienda, come consta nella denuncia del processo.
A distanza di 45 anni da questo crimine, oggetto di protratta investigazione, essendo che la causa non può andare in prescrizione nonostante un sistema giudiziale ottuso, la Segreteria di Diritti umani della Nazione, coordinata da Horacio Pietragalla, ha organizzato un incontro virtuale per condividere le esperienze dei sopravvissuti, che hanno permesso al pubblico, specialmente ai giovani, di visualizzare il contesto storico e politico dell'epoca, la situazione quasi feudale nella quale sopravvivevano i cittadini legati direttamente o indirettamente all'industria zuccheriera e, soprattutto, il potere condizionante che i dirigenti e proprietari dell'impresa, e tra loro i membri della famiglia Blaquier, imponevano sulla popolazione e sulle istituzioni.
Per molti dei sopravvissuti ci sono voluti anni per riuscire a fornire la loro testimonianza, alcuni per paura, per vergogna, per impedimenti naturali di chi ha visto la propria intimità violentata, altri semplicemente perché non avevano uno spazio adeguato per farlo; le istituzioni e la società stessa hanno tardato anni a costruire spazi e strumenti adatti a raccogliere, uno a uno, i dettagli di quelle storie che hanno condizionato la storia.
I sequestri e le torture erano sistematiche: si trattava di un grezzo tentativo, non solo di snaturare un progetto sociale e politico bensì, fondamentalmente, di condizionare storicamente il futuro.
"Venivano a rompere, rovesciare, e soprattutto nelle biblioteche, strappavano fogli dei libri, svuotavano armadi, giravano i materassi sotto sopra. Cosa volevano? Seminare terrore, quello che sapevano fare", ha raccontato Silvana Castro, che aveva 16 anni quando fu sequestrata. Fu una delle tante persone portate al Commissariato 9 di San Pedro. Lei ha ricordato l'esperienza di suo padre che si presentò in quel momento davanti a Alberto Lemos, l'amministratore dell’azienda, anche lui accusato di crimini di lesa umanità insieme a Pedro Blaquier. Lemos, di fronte a suo padre, "alzò il telefono e disse 'Silvana Castro, qui ho tuo padre, si prende lui la responsabilità'. Giorni dopo avvisarono mio papà che mi lasciavano nella Chiesa di San Pedro”.
Era tale il peso dei dirigenti della compagnia Ledesma sugli squadroni della morte. Era tale la loro influenza che, come mafiosi, mediavano tra le vittime ed i rappresentanti dello Stato. Era tale, e lo è ancora, il dominio sul territorio che erano in loro potere la vita e morte delle persone. Era tale, e lo è ancora, la frattura culturale e l'imposizione di un ordine sociale mafioso sulla comunità che suo padre morì grato a Lemos, per essersi occupato di "restituirgli" sua figlia.
All’incontro ha partecipato anche Ana González, docente della facoltà di Scienze Sociali dell'Università di Buenos Aires, la quale ha riflettuto sui processi storici nella regione: "L'impunità di ieri è strettamente connessa alle nuove forme di impunità dei potenti di oggi. I zuccherifici di Salta, Jujuy, Tucumán e Chaco sono stati costruiti in territori indigeni saccheggiati". Questo modello sociale si impose in modo violento fomentato da settori di potere: "Se si mantiene l'impunità dei potenti è molto difficile costruire la pace, la democrazia, la giustizia e l'uguaglianza”.
La violenza sistematica è una conseguenza della costante resistenza dei popoli che generazione dopo generazione tentano di consolidarsi attraverso assemblee o spazi comuni da dove emergono i leader che sono, poi, i primi perseguitati.
Come il caso di Luis Arédez, sindaco di Libertador General San Martin, che fu sequestrato la stessa notte del colpo di Stato, il 24 marzo del 1976. Durante la sua gestione pretese da Ledesma il pagamento delle imposte non pagate per molti anni, e pretendeva di recuperare terre occupate dall'impresa. Dopo il sequestro, fu trasportato a La Plata dove rimase un anno. Senza farsi intimorire, dopo la sua liberazione ritornò in paese a continuare la sua resistenza, ed il 13 maggio 1977 fu nuovamente sequestrato e da allora è desaparecido. La sua compagna, Olga del Valle Márquez, divenne una delle figure più emblematiche delle marce delle Madri di Jujuy. Nonostante Olga sia deceduta alcuni anni fa, ha partecipato lo stesso all'evento con un video, dove denunciava le responsabilità imprenditoriali: "Ledesma uccide perché ha costruito la sua ricchezza sul lavoro servile degli indigeni. Ledesma uccide perché è stato socio di tutte le dittature. Ledesma uccide perché non ha tollerato i giusti richiami dei lavoratori di ieri e di oggi”.
"La rivendicazione nelle strade, le marce storiche, hanno messo a nudo l'inazione ed il disinteresse del giudice", così si è espressa Paloma Álvarez Carreras, direttrice del corpo di avvocati nei processi per la verità e la giustizia della Segreteria di Diritti umani.
La società porta sulla propria pelle le ferite di questa violenza sistematica. La memoria si riflette nello sguardo di centinaia di persone che soffrono in un'ininterrotta catena di vessazioni, saccheggi e riduzione in schiavitù. Le istituzioni devono farsi portavoce di quello che i popoli conoscono e condannano, abbandonando ogni scusa, perché l'impunità si regge sul potere, ed il potere può e deve essere attaccato da diversi fronti. La giustizia non compete solo ai giudici.
Perché dietro questa ‘megacausa’ per crimini di lesa umanità si nascondono centinaia, anzi, migliaia, di altri crimini e delitti di tipo amministrativo e fiscale che non sono neanche investigati, tassati e tanto meno condannati.
L'impunità si verifica quando lo Stato nel suo insieme, per azione o omissione complice, la permette.
Foto di copertina: laizquierdadiario.com
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