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Dal 30 giugno 2021 “non è più richiesta la clausola dell’end-user certificate rafforzato per le esportazioni verso Arabia ed Emirati”. A scriverlo è stato il direttore di UAMA (Unità per le Autorizzazioni dei materiali di armamento), Alberto Cutillo, in una nota inviata alle aziende esportatrici di armamenti.
Una concessione che in sostanza permette l’esportazione di armi che potranno essere utilizzate anche nella vicina guerra in Yemen.
Resta il blocco delle esportazioni per missili e bombe avviato a partire dal 29 gennaio 2021: l’esecutivo guidato allora da Giuseppe Conte cancellò, infatti, sei diverse licenze già sospese, fra cui la “Mae 45560” dell’azienda Rwm Italia, impedendo così l’esportazione di 12.700 bombe d’aereo di tipo Mk, già utilizzate per colpire la popolazione civile nel vicino paese in guerra.
Di enorme rilevanza sono state, a questo proposito, le denunce lanciate dalla Ong yemenita "Mwtana", che aveva documentato, tra le varie incursioni, quella contro il villaggio di Deir al-Hajari, avvenuta l’8 ottobre 2016, dove un’intera famiglia di 6 persone, senza alcun obbiettivo militare attorno, fu trucidata da una bomba prodotta esattamente dalla RWM di Domusnovas, in Sardegna.
Una decisione, quella del blocco delle armi pesanti, che il ministro degli Esteri Luigi Di Maio salutò come "un atto che ritenevamo doveroso, un chiaro messaggio di pace che arriva dal nostro Paese. Il rispetto dei diritti umani è un impegno per noi inderogabile".
Un impegno che si sta decisamente ridimensionando in queste settimane con gli Emirati che hanno accentuato le ritorsioni diplomatiche nei confronti dell’Italia; infatti, la decisione della UAMA è arrivata 2 giorni prima della scadenza dell’ultimatum presentato dagli Emirati Arabi all’Italia, che aveva imposto di lasciare la base di Al Minhad entro il 2 luglio. Quest’ultima rappresenta un vero e proprio pilastro logistico per le missioni in Iraq, Corno d’Africa e Afghanistan.
Un altro sgarbo diplomatico è consistito nel divieto di sorvolo sui cieli degli Emirati Arabi dell’aereo che trasportava i giornalisti in Afghanistan per assistere alla visita del ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, provocando così una sosta forzata di tre ore a Dammam, in Arabia Saudita.
“La Difesa guarda con attenzione alle azioni diplomatiche in corso per la ripresa del dialogo e il ristabilirsi di relazioni positive con gli Emirati Arabi, che rappresentano sicuramente un partner strategico nella regione”, ha affermato Guerini la mattina del 7 luglio, intervenendo per presentare la delibera delle missioni per l’anno in corso alle commissioni competenti di Senato e Camera.
Sembrano dimenticati gli accorati appelli alla pace e alla fratellanza di tutti i popoli, che avevano caratterizzato il discorso del nostro ministro degli Esteri Di Maio, che, accompagnando il ministro Guerini, ha teso di nuovo la mano all’importante partner commerciale e strategico, poco incline al rispetto dei diritti umani.
“Sicuramente agli amici emiratini non ha fatto piacere l’azione portata avanti dal Parlamento italiano, ma non dal ministero degli Esteri o dal governo italiano, che con ben due risoluzioni negli ultimi due anni ha chiesto al governo di fermare l’export di missili e bombe verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi”, ha constatato Di Maio, specificando che “quello che è avvenuto il 28 gennaio di quest’anno è stato esclusivamente il passaggio da sospensione dell’export a definitivo blocco dell’export, per una ragione molto semplice: perché erano scaduti tutti i termini che consentivano di sospenderlo… Noi abbiamo una risoluzione parlamentare che impegna per legge i nostri funzionari a eseguire questo blocco; l’unica cosa che abbiamo fatto negli ultimi mesi è stata cercare di semplificare tutte le procedure che non riguardavano questo blocco; noi diamo solo seguito a una risoluzione del Parlamento, in particolare del ramo Camera dei deputati”.
Il titolare della Farnesina, quasi tentando di riscattarsi dall’onta di aver frenato i propositi bellici dell’indispensabile alleato, si è sollevato da ogni responsabilità sostenendo che “finché il Parlamento non deciderà con analogo atto il contrario, noi non potremo modificare questo regime per quanto riguarda bombe e missili e in particolare tre licenze specifiche che sono state fermate proprio per ragioni legate a questa risoluzione”.
L’inderogabile impegno al rispetto dei diritti umani è dunque al momento rimandato al prossimo futuro, salvo convergenze con gli interessi legati al sacro business dell’export militare italiano.
Possiamo solo stendere un velo pietoso sulle ennesime promesse tradite da parte dell’ex leader politico pentastellato dei 5 stelle, che ora con sommesse e timide giustificazioni, per dirla con le parole di Francesco Vignarca, di Rete Italiana Pace e Disarmo, tenta di “riavvicinare un Paese che dopo un solo blocco all’export in 30 anni ha iniziato a ricattarci. Sono questi i famosi ‘partner strategici’ coi quali vogliamo intrattenere stretti rapporti commerciali?”.

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