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L’attuale Ministro della Casa Civile del Brasile Walter Braga Netto ha affermato che "Rio de Janeiro è il laboratorio del Brasile". Le cavie di questo laboratorio sono i ragazzi e le ragazze nere, chi vive nelle periferie, nelle favelas e i lavoratori, ma la vita delle persone non può essere un esperimento per i modelli di sicurezza. È sull’onda di questo discorso che venerdì 4 giugno, a piazza della Kalsa, grazie all’associazione “booq”, biblioteca di quartiere, si è svolta, in onore e ricordo di Marielle Franco, la presentazione del libro “Laboratorio favela. Violenza e política a Rio de Janeiro”. A fare da apripista al dibattito c’è stata Francesca De Rosa che, insieme a Alice Izzo, ha svolto il lavoro di traduzione rendendo possibile l’uscita del volume anche in lingua italiana.
L’opera formata per intero dall’unione dei testi e dei discorsi di Marielle è stata il frutto di una collaborazione sud-sud con la casa editrice argentina “Tinta Limon” che, per la prima volta, ha raccolto e pubblicato testi e discorsi di Marielle Franco nel 2020. Quest’ultima era una giovane attivista e “difensora” dei diritti umani uccisa a 38 anni nella notte tra il 14 e 15 marzo 2018, nel quartiere Estancio di Rio de Janeiro, in Brasile. Membro della Commissione statale per i diritti umani di Rio de Janeiro, Marielle ha lavorato instancabilmente per difendere i diritti delle donne nere, del popolo “favelado” (abitanti delle favelas), delle persone LGBTQ+ e di altre minoranze discriminate. Due settimane prima del suo omicidio era stata relatrice all’interno di una commissione speciale che il Consiglio comunale aveva istituito al fine di monitorare l’intervento federale in corso a Rio de Janeiro e la militarizzazione del settore della sicurezza pubblica. Durante tutto il corso dell’evento ci si è più volte soffermati su quella che era una delle principali lotte che Marielle portava avanti, ovvero la decostruzione del modello di pacificazione, nato in Brasile nel 2008, sulla scia del modello colombiano, e voluto fortemente dai governatori brasiliani, in particolar modo da quello di Rio de Janeiro. In effetti, sono state istituite delle unità di polizia pacificatrice (Upp) come risposta a quella che viene definita una “guerra”: in realtà si tratta di un progetto di sterminio nei confronti degli abitanti delle favelas. E come diceva Marielle tale progetto era funzionale anche all’immagine che si doveva dare del Paese durante i mondiali di calcio del 2014 e le Olimpiadi del 2016: di fronte alla comunità internazionale il Brasile non poteva permettersi che le favelas sporcassero la facciata della metropoli perfetta.  L’ultimo punto toccato è stata la lotta femminista, una causa per cui Marielle si spese particolarmente, tanto da definirsi transfemminista e attivista LGBTQ+. La figura e il lavoro da lei svolto nell’ambito di questa tematica è interessante proprio perché per la prima volta Marielle riuscì a portare la problematica sociale, insieme a quella riguardante i diritti di tutte le soggettività, anche di quelle trans, all’interno delle aule del governo della città di Rio de Janeiro, mettendo in evidenza che “per pensare delle politiche che si rivolgano alle donne, devono essere le donne stesse (o nel caso specifico delle soggettività trans) a scrivere ed attuare quelle politiche”. Dai molteplici discorsi di Marielle, riportati sul libro “Laboratorio favela. Violenza e política a Rio de Janeiro”, si evince la potenza e la consapevolezza di una donna che nella vita ha dovuto affrontare molti ostacoli culturali e sociali: prima nelle favelas dove è nata, poi da madre a 19 anni, e infine da omosessuale. In effetti, il suo percorso per arrivare ad essere membro della “Commissione statale per i diritti umani” è stato lungo e tortuoso. Oggi, a tre anni di distanza, il suo assassinio è uno dei tanti esempi di come, il governo brasiliano lasci che i propri attivisti e difensori dei diritti umani vengano uccisi impunemente. Lo scarso impegno investigativo nella risoluzione di un delitto avvenuto più di mille giorni fa è inaccettabile e al limite del ridicolo. Il solo arresto di Maxwell Simões Corrêa, avvenuto il 20 giugno 2020, accusato di aver nascosto le armi utilizzate per l’omicidio e con la complicità di Ronnie Lessa, la persona che ha sparato, non è sufficiente, e non darà completa giustizia a Marielle Franco, uccisa il 14 marzo 2018 in un agguato accuratamente pianificato. All’appello mancano ancora i mandanti e ogni giorno senza un nome è uno sputo sulla memoria di chi, come Marielle, è caduto lottando per la causa del proprio popolo.

Foto © Daniel Arrhakis is licensed under CC BY-NC 2.0

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