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A più di un mese dall’omicidio dell’attivista indigena Sandra Liliana Peña, avvenuto a fine aprile, la violenza e il sangue continuano il loro corso in Colombia. Sandra, al tempo governatrice della riserva indigena di La Laguna Siberia, nel nord del dipartimento di Cauca, è stata assassinata da un gruppo di uomini armati.
Il Cauca è un dipartimento dove impera la violentissima guerra tra i gruppi paramilitari di narcotrafficanti e i guerrieri dissidenti. Sandra Liliana Peña era una figura amatissima dalla collettività, soprattutto per la sua guerra contro le coltivazioni illegali di piante di coca. Prima di diventare governatrice, era impegnata in varie attività insieme alle donne e ai giovani delle comunità di Laguna Sabina per contrastare il narcotraffico.
Secondo quanto riferito dal quotidiano El Tiempo, la leader indigena era stata avvicinata intorno alle 7 del mattino nel villaggio di El Porvenir, distretto di Pescador. Gli assassini sono venuti a casa sua, l’hanno costretta ad uscire e le hanno sparato a distanza ravvicinata. Ferley Quintero, rappresentante del Consiglio regionale indigeno del Cauca (CRIC), ha specificato che Sandra Liliana Peña è morta in ospedale e, a nome della sua organizzazione, ha condannato l’attacco. Il Consigliere del CRIC ha aggiunto che la governatrice si stava preparando a recarsi nella città di Popayan (capoluogo del dipartimento), dove lo stesso giorno del tragico accaduto si sarebbe svolta la sessione della Commissione mista con il governo. L’Instituto de Estudios para el Desarrollo y la Paz (Indepaz), ha palesato come quello di Sandra non fosse un caso isolato. Ad oggi infatti, sarebbero 63 i leader e i difensori dei diritti umani uccisi solo nel 2021 e in totale, sarebbero 1170 dalla firma dell’accordo di pace nel 2016 tra FARC e governo colombiano.
Un numero allarmante, così come allarmante è la violenza che da cinque anni a questa parte si riversa sui vari attivisti sociali e leader indigeni. Nella quasi totalità di tali crimini lo Stato non ricerca la verità, lasciando così liberi ed impuni i responsabili. L’organismo che difende le popolazioni indigene si era espresso rivolgendo un appello urgente alle Nazioni Unite, all’Ufficio del difensore civico, a Map OEA e all’Alto Commissario per la pace e al governo nazionale, nonché ai difensori dei diritti umani nazionali e internazionali.
A distanza di tempo, in effetti, la sistematica violenza in Colombia non cessa. Anzi, possiamo benissimo dire che abbia cambiato target, estendendo i suoi tentacoli sporchi del sangue di innocenti: adesso, non solo vengono violentati ed uccisi attivisti sociali e difensori dei diritti umani, ma viene presa di mira l’intera popolazione colombiana, giovani, adulti e anziani di ogni genere. Quest’ultimi dal 28 aprile si sono riversati sulle strade delle maggiori città per opporsi all’insieme di leggi neoliberiste, fra cui la riforma fiscale, presentate dal governo e poi successivamente ritirate. Il presidente Ivan Duque, anche dopo le proteste pacifiche dei civili, continua a rispondere nelle strade con una folle e scellerata repressione di stampo militare, che ad oggi, è colpevole di oltre 50 omicidi, 23 casi di violenza sessuale e centinaia di episodi di abuso di potere.
L’ultimo eclatante episodio, simbolo della morsa brutale oppressiva che vige dal principio delle proteste civili, è il massacro avvenuto lo scorso venerdì 28 maggio nella città di Cali, dove hanno perso la vita 13 manifestanti durante le proteste contro il presidente. Stando alla testimonianza di numerosi video, usciti a seguito del terribile episodio e mostrati nelle scorse serate dalla televisione nazionale RTVC Noticias, durante le proteste si è verificata una sparatoria nel settore conosciuto come “La luna”. Visionando i vari filmati si può benissimo vedere un uomo munito di giubbotto antiproiettile e in abiti civili, aprire il fuoco verso la folla senza fare distinzione di alcun tipo. Le immagini, mostrano anche diversi membri della Polizia Nazionale correre al suo fianco senza intervenire, il che può far pensare a una qualche sorta di complicità.
Immediato il pronunciamento del sindaco di Cali, Jorge Ivan Ospina che, durante un’intervista all’emittente locale W Radio, ha confermato il bilancio, ed ha ammesso che la situazione in città continua ad essere “molto grave”.
“È necessario verificare con esattezza i luoghi e le modalità in cui sono avvenute queste morti per poterne determinare le responsabilità”, ha quindi aggiunto il sindaco sempre riferendosi alla strage di Cali.
A denunciare il fatto è stata anche Michelle Bachelet, Alto commissario Onu per i diritti umani, chiedendo un’indagine indipendente sui fatti accaduti nel capoluogo del dipartimento di Valle del Cauca. "È essenziale che coloro che si presume siano implicati in queste morti o lesioni, compresi i funzionari governativi, siano soggetti a un'indagine tempestiva, efficace, indipendente, imparziale e trasparente. E che i responsabili siano ritenuti responsabili" ha affermato Bachelet in una dichiarazione scritta rilasciata a Ginevra presso l’ufficio delle Nazioni Unite. Come cittadini del mondo, abbiamo il dovere di appoggiare e aiutare tutto il popolo colombiano, che sta vivendo un tragico periodo storico. Dobbiamo esigere che i mezzi di informazione parlino di ciò che sta accadendo, e che il nostro Paese come il resto d’Europa, faccia valere i propri principi e i propri valori democratici, esponendosi e denunciando le atrocità e gli abusi di potere commesse dal Governo di Ivan Duque.

Foto © kozumel is licensed under CC BY-ND 2.0

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