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La violenza e lo sterminio ai danni dei leader sociali continua il suo corso in Perù. Questa volta è toccato all’attivista italiana Nadia De Munari, assassinata nella sua abitazione.
Nadia, era una missionaria laica italiana, originaria di Schivo, nel vicentino. La volontaria cinquantenne dell’Operazione Mato Grosso, dopo una prima esperienza di un anno in Ecuador, nel 1995 si era stabilita in Perù, più precisamente a Nuevo Chimbote, qui si occupava della coordinazione di sei asili e di una scuola elementare in una baraccopoli, inoltre gestiva il centro “Mamma mia” realizzato da padre Ugo De Censi e si occupava prevalentemente della formazione delle insegnanti del posto. “Scuola significa istruzione, emancipazione. Non vorrei che questa attività di mia sorella avesse dato fastidio a chi gestisce quelle persone con violenza, sfruttamento e oppressione”. Parole forti e di denuncia quelle espresse dalla cugina Katia De Munari che, non convinta dall’ipotesi della rapina andata male conclusasi con il brutale omicidio ha chiesto l’intervento dell’interpol nell’indagine.

Stando a quanto accertato finora, a cavallo tra la notte e le primissime ore del giorno di mercoledì 21 aprile, qualcuno è entrato nella sua camera e le ha sfondato il cranio con una serie di colpi (si suppone di machete). Nadia ha provato a proteggersi e lo si intuisce dalla frattura al braccio destro. Chi l’ha uccisa si è preso due telefoni cellulari ed è scappato, senza nemmeno provare a frugare nei cassetti dove erano custoditi i soldi. Nell’edificio non era sola, ma le altre giovani risiedevano in un’altra ala e per questo non hanno sentito rumori. Al mattino, non vedendola arrivare per la colazione, si sono allarmate e hanno chiamato i soccorsi. Rinvenuta ancora viva, Nadia è stata trasposta in un primo momento in una struttura sanitaria del posto, ma viste le gravi condizioni è stata trasferita poi all'ospedale di Lima dove è stata sottoposta ad un'operazione. Purtroppo, però le ferite riportate nell'aggressione sono risultate molto gravi e dopo poche ore è morta. “Per un’ambulanza bisognava attendere un’ora e mezza, così don Armando l’ha caricata in macchina e portata all’ospedale di Chimbote. Quello di Lima dista 400 chilometri, 6 ore di viaggio. Ci avevano promesso un elicottero che non è mai arrivato. Se è morta è stato anche a causa di questi ritardi”, ha detto la sorella, Vania De Munari, intervistata dopo l’accaduto.

L’accaduto, ha suscitato da subito perplessità e stupore nella popolazione locale, data l’ammirazione e la riconoscenza di cui godeva la missionaria vicentina.
La polizia di Nuevo Chimbote si è prontamente mobilitata alla ricerca dell’autore (o gli autori) del crimine. Ha interrogato cinque persone che erano nell’abitazione, tra le quali un’altra donna, Lisbet Ramirez Cruz, che è stata aggredita e la cui testimonianza potrebbe risultare cruciale. Dopo una prima analisi della scena del crimine gli inquirenti hanno seguito la pista del tentativo di rapina finito male dato che nella stanza di Nadia non è stato ritrovato il suo telefono. Tuttavia, un fattore determinante che potrebbe mettere in discussione tale pista sarebbe il fatto che dalla camera non siano stati prelevati i soldi. A fronte di tali dinamiche, è certo che chi ha barbaramente ucciso Nadia, sapeva quando e dove colpire nel miglior modo possibile, per poi dileguarsi nel nulla senza lasciare alcuna traccia.

Le indagini sono ancora in corso. Ma ad oggi, in attesa di uno sviluppo, quello che concretamente resta è un altro nome che si aggiunge alla già purtroppo lunga lista di uomini e donne uccise dallo stesso sistema che tanto denunciavano nel quotidiano. Una lista nera che giorno dopo giorno cresce facendosi carico di storie e vite troppo spesso dimenticate. Martiri di Stato e martiri della terra, la cui unica colpa è stata quella di lottare per la libertà al fianco di un popolo che, senza mai arrendersi, sorride imperterrito alla vita. E quando quel sorriso di spegnerà, forse sarà troppo tardi per chiedere scusa.

Foto tratta da: ilgiornaledivicenza.it

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