Il direttore di Antimafia Dos Mil intervistato al programma “Hacemos lo que podemos” di Radio Universal di Uruguay
Sono trascorsi diversi anni da quando il giornalista e direttore di Antimafia Dos Mil, Jean Georges Almendras, ha smesso di lavorare in televisione. Il suo impegno professionale oggi è in questa Redazione, facendo ricerca, diffondendo fatti di cronaca poliziesca, corruzione, lotte sociali, diritti umani e forte denuncia contro il sistema criminale a livello regionale e mondiale. E benché il suo volto non appaia più quotidianamente nel telegiornale, la sua immagine, il suo percorso professionale ed il suo lavoro giornalistico continuano ad essere riconosciuti dai media e dalla cittadinanza. La gente lo ricorda con molto affetto e il giornalismo uruguaiano lo segue con attenzione. Spesso viene invitato a partecipare a programmi televisivi e radiofonici. Oltre 40 anni di carriera e una conoscenza ed analisi della realtà assai profonda, osservatore diretto dei fatti di cui scrive e si esprime senza paura, andando a fondo dei problemi più strutturali, a livello regionale ed internazionale, fanno di Georges Almendras un punto di riferimento del giornalismo serio e senza censure.
Recentemente Almendras ha rilasciato un'intervista al programma "Hacemos lo que podemos", presentato da Juan Cor e Richard Galeano, trasmesso da Radio Universal di Uruguay. Ha parlato senza mezzi termini della mafia, della corruzione nello Stato, della criminalità organizzata e del giornalismo.
- Perché ti sei interessato a questo mondo dell'antimafia? "Dalla cronaca poliziesca al prendere coscienza che la criminalità è un male che ha le sue caratteristiche internazionali, è un passo breve (…). Dobbiamo capire noi come giornalisti, e i radioascoltatori, prendere coscienza, che le attività mafiose ci coinvolgono e toccano ognuno di noi, senza confini (…). Il mio lavoro in 30 anni da cronista di polizia, mi ha permesso di calibrare e comprendere in che modo il male si è esteso nel mondo. Il male non è solamente il delinquente che assale un tassista per derubarlo, o una signora per derubarla, ha diversi volti e aspetti (…). Noi ci fermiamo ai mali minori di questa società consumistica e violenta, ma il male ha contorni che coinvolgono istituzioni dello Stato, funzionari pubblici, forze della sicurezza, la corruzione", ha sottolineato Almendras. E di questi mali, "il narcotraffico è la vedette, il protagonista principale", ma non l'unico.
Riguardo le organizzazioni criminali mafiose, ha detto che hanno un "fatturato miliardario", e che "in questo momento stanno operando mentre continua la vita routinaria di una società moderna; i grandi criminali di queste organizzazioni mafiose, portano avanti i loro affari… e siccome non siamo informati, rimaniamo con l'immagine persino romantica del clan mafioso. Ma, questi clan hanno provocato fiumi di sangue in diverse parti del mondo (…). E non solo a colpi di esplosioni e proiettili contro i loro obiettivi principali". Le azioni mafiose consistono anche nel "minare una democrazia, minare l'economia di un paese; infiltrarsi, sedersi, lavorare all’interno delle istituzioni dello Stato, all’interno del Potere Giudiziario, del sistema politico e del Potere Esecutivo. È così che si muovono. Non lo fanno più come il vecchio mafioso con il fucile in spalla, che non sa leggere né scrivere", ha sottolineato.
Le parole di Almendras scuotono la coscienza, perché i punti che lui mette in evidenza sono proprio quelli di cui non si parla, perché si ha paura, forse per non compromettersi, o forse perché non c'è interesse ad approfondire. La radice dei grandi problemi, rappresentata da questi nuclei corrotti che interagiscono parallelamente al mondo legale, non viene toccata. Ogni loro azione illegale si ripercuote nelle politiche pubbliche, che danneggiano milioni di cittadini in quei paesi dove i governi sono corrotti o nell'economia non equa che produce la morte per fame, inquinamento e mancanza di risorse basilari per la sussistenza.
"È più violento lo Stato quando si corrompe o si gira dall’altra parte o lascia che i suoi funzionari si corrompano e non ci siano i dovuti controlli; quello è un atto più violento di una rapina. Noi prestiamo attenzione solo a quello che galleggia nella superficie" che sono "reati dove vengono sottratti beni, perché noi ci muoviamo in una società e in un mondo dove il denaro è il valore assoluto. Si puniscono di più i reati contro la proprietà che i delitti contro la vita umana”.
"In questa società dove il denaro è il valore assoluto, il sistema criminale si è adattato in maniera meravigliosa, perché anche le tecnologie si sono evolute e i mafiosi si sono adattati. Anche questo ha modificato il sistema criminale", ha spiegato.
Ha parlato anche dell'idea che noi cittadini abbiamo sul "grande tema della mafia, che pensiamo che non ci appartenga, perché non abbiamo il padrino…, ma veramente è un fantasma presente". E ha fatto un appello: "dobbiamo lavorare in forma unita a livello mondiale (…) e prendere coscienza che le attività mafiose ci coinvolgono tutti, senza confini".
Alla domanda dei conduttori se qualche volta è stato minacciato, Almendras ha risposto: “Siamo stati minacciati, intimiditi e uccisi civilmente per aver detto determinate cose. Qui non abbiamo avuto un giornalista ucciso come Pablo Medina o Santiago Leguizamón, ma la libertà di stampa è stata repressa negli ultimi 20 anni, non solo ai tempi della dittatura”.
Un altro tema affrontato è stato il valore che si dà attualmente al giornalismo. "Nel giornalismo uruguaiano, c’è chi ha il desiderio di lavorare in libertà, ma i pensieri politici hanno condizionato la stampa, e quando entrano in gioco interessi politici, siano di sinistra, di destra o di centro, limitano la libertà… si cerca in tutti modi di tutelare il posto di lavoro e il benessere della famiglia. Poi parliamo di libertà, ci sciacquiamo la bocca con valori, ma la domanda è, lavoriamo realmente per questi valori o siamo una manica di ipocriti?”.
Su questo punto ha rimarcato: “Mi preoccupa quando il giornalismo si autocensura ed è compiacente con il sistema economico, o tace di fronte a determinate situazioni. Quello che più mi preoccupa, e che dovrebbe preoccupare tutti noi giornalisti, è che i mezzi di comunicazione di massa possono influenzare un'opinione che poi è ben lontana dalla realtà, perché può incorrere in un giornalismo compiacente e complice del sistema criminale, anche se non sono coscienti di essere complici". E ha aggiunto che se si diffonde "un'informazione che non fa vedere le lotte sociali, che non dà una giusta informazione quando c'è violazione di diritti umani, allora tutto questo implica politiche di conduzione di un telegiornale che vadano oltre le forme”.
"Io non ho visto in nessun telegiornale uruguaiano parlare della narco-politica in Paraguay, né del giornalista Pablo Medina che scrisse per anni per Antimafia Dos Mil, ucciso pochi anni fa in Paraguay. Sono morti 20 giornalisti in Paraguay e non si è saputo niente", ha segnalato. “Non c'è una coscienza all’interno del giornalismo, di chiamare le cose per nome e non inventare situazioni o deformare realtà", ha aggiunto.
Almendras ha parlato anche di come il giornalismo utilizza i social. "Il giornalismo nei social (…) non deve perdere l'orizzonte della sensibilità né del lavoro nel campo, non deve fermarsi solo ad internet. Non dobbiamo dimenticare il lavoro sul campo, perché è quello che alimenta la ricerca. Io non posso parlare di un episodio seduto da una scrivania; se c'è un fatto, devo essere lì presente”.
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