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Sul tavolo i rapporti commerciali ed i flussi migratori

Pochi giorni fa il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha effettuato la sua prima visita all’estero. Non è certo un caso il primo Paese scelto per questo particolare viaggio: la Libia.
L'obiettivo, neanche troppo velato, sarebbe il riavvicinamento tra i due Paesi in merito ai rapporti commerciali, che vedono implicate imprese Italiane come l’Eni, ma anche la questione dei flussi migratori.

La prima visita all’estero del capo del governo
È il momento di ricostruire l’antica amicizia tra Italia e Libia”, ha dichiarato Draghi durante la visita a Tripoli. Assieme al neo-premier Abdel Hamid Dabaiba si è parlato del ruolo dell’Italia, che è stato l’unico Paese a tenere l’ambasciata aperta nonostante i tempi durissimi, e delle aziende italiane impegnate a riprendere in mano gli affari iniziati nel 2008 grazie agli accordi tra Berlusconi e Gheddafi.
I due si sono impegnati inoltre a fortificare i sostegni sanitari, gli scambi culturali e a collaborare per la vigilanza dei controlli dei flussi migratori in Libia, in Africa sub-sahariana e nel Medio Oriente. Accordi che però, secondo le parole del capo del Governo italiano dipendono quasi unicamente da un solo fattore: “Il cessate il fuoco deve essere strettamente osservato”, ha detto infatti il signor Draghi. Dopo queste dichiarazioni però la domanda sorge spontanea: riuscirà la Libia a mantenere la pace, e ad impedire il ritorno della rivoluzione libica sostenuta dalla NATO in passato? In risposta a queste domande ci possono aiutare le dichiarazioni di un alto funzionario libico che da tempo lavora nella direzione Eni a Tripoli: “Spendiamo milioni di dollari ogni anno per controllare le milizie. Per noi è fondamentale. L’Eni impiega oltre 8.000 libici. Il suo gas va nelle nostre cucine, le sue raffinerie forniscono la benzina per le nostre auto. Presto aprirà nuove stazioni di pompaggio di gas e petrolio sia in Cirenaica, che offshore nel Golfo della Sirte. Circa 200 tecnici e ingegneri libici vanno ogni anno in Italia per corsi di formazione. Al momento l’Eni pompa oltre 600.000 barili di greggio e 300.000 metri cubi di gas al giorno, più della metà della produzione nazionale complessiva”. Anche Dabaiba però è pienamente cosciente che senza la pace gli accordi possono saltare, da qui infatti il suo piano per inglobare le milizie e utilizzarle nelle sue forze di sicurezza e nell’amministrazione statale.
Il colloquio tra i due però non si è limitato a questo. Durante la visita infatti Mario Draghi ha avuto modo di elogiare “i salvataggi in mare” della Libia.

Gli elogi ai “salvataggi in mare”
Nell’affrontare il tema dell’immigrazione il premier italiano ha sollevato un polverone elogiando i salvataggi in mare della Libia. Elogi che da una parte hanno visto una sinistra che si è opposta assieme alle Sardine, e dall’altra invece una destra che con Fratelli d’Italia, Forza Italia ha esultato e si sono congratulati perché, dice Giorgia Meloniè un bene che il premier riparta da quanto lasciato dall’ultimo governo di centrodestra”. Per l’Italia come sempre la Libia rappresenta affari e sicurezza, ma la domanda che anche qui ci sorge spontanea è: di quale sicurezza si sta parlando? La sicurezza che spinge migliaia di Africani e non solo a ritrovarsi rinchiusi nei lager Libici, che di sicurezza hanno ben poco visti i numeri dei morti, e dei torturati? O la sicurezza che hanno i migranti nell’essere “salvati”? Sono domande a cui tutt’ora molti non riescono a darsi risposta in quanto, se teniamo conto delle dichiarazioni di Mario Draghi possiamo dedurre che l’Italia sia d’accordo con l’operato della Libia.
Pertanto possiamo supporre che l'Italia non farà nulla in merito alle deplorevoli condizioni dei migranti bloccati nei lager Libici, costretti a subire quotidianamente torture e molestie.
A quale “salvataggi” si riferiva il premier Mario Draghi quando ha fatto i suoi elogi per l’operato in tema migrazione alla Libia?

I lager libici
La parola “lager” è molto azzeccata per descrivere questi centri per le persone che cercano una vita migliore in Europa.
Nel 2021 i campi di concentramento sono ancora una realtà, e anche molto concreta.
Dopo un viaggio estenuante, centinaia di esseri umani arrivano in Libia da tutta l'Africa. È qui che vengono catturati e imprigionati in queste “carceri”.
“Finché queste persone sono qui sono schiavi. Se pagano il viaggio o li compra qualcuno non sono più un mio problema”, aveva dichiarato un trafficante e gestore di uno di questi lager a Piazzapulita nel 2019.
I prigionieri non possono assolutamente lasciare quel luogo infernale. Per lasciarlo devono pagare il viaggio, il loro debito, oppure devono morire. Se non pagano, molte volte i “carcerieri” minacciano di chiamare la loro famiglia e di farle del male.
Questi “schiavi”, così vengono definiti, lavorano, vengono torturati, violentati, e talvolta uccisi. La tortura non è solo violenza fisica ma anche psicologica, perché quell'esperienza non verrà mai dimenticata. Non si possono dimenticare le grida, il sangue e i genocidi commessi all'interno di quei luoghi.
Se gli uomini vengono torturati, per le donne è anche peggio.
Le donne vengono costrette a prostituirsi, ad avere rapporti sessuali davanti a tutti gli altri prigionieri, o comunque ad avere rapporti sessuali con i loro carcerieri, e guai se si rifiutano. Altre decidono di prostituirsi per potersi pagare il viaggio.
Alcuni testimoni raccontano di una pratica davvero terribili e disumana (come tutte le altre del resto): una donna e un uomo vengono fatti spogliare, dopo di che, se dopo un po' l'uomo ha un erezione viene ucciso.
Molte donne e ragazze partoriscono, da sole, in condizioni igieniche pessime. Il loro bambino spesso sopravvive per qualche giorno o mese. Sono una merce molto preziosa, e difficilmente vengono liberate.
In sostanza, nel 2021, i campi di concentramento ci sono ancora, lo schiavismo c'è ancora, e l'umanità diventa sempre di più una rarità.
Draghi ha detto di essere preoccupato per i diritti umanitari e che l'Italia è per la chiusura la risoluzione di questi centri di detenzione. Allo stesso tempo però, è molto importante ricostruire l'amicizia storica con la libia, sempre secondo il neo-premier italiano.
Se davvero esistesse questa preoccupazione, allora dovremmo smetterla di finanziare, tramite le nostre tasse, l'addestramento e l'appoggio della guardia costiera libica.
La guardia costiera libica è un corpo militare creato nel 2017, ed è finanziato e addestrato dal'Italia al fine di intercettare le imbarcazioni di migranti che percorrono la rotta del mediterraneo centrale e riportarle indietro, in Libia, dove poi verranno rinchiusi nei famigerati centri di detenzione.
Per l'addestramento e il sostegno alla guardia costiera libica, lo stanziamento di fondi nel 2020 ammontava a circa dieci milioni di euro.
L'Italia è più responsabile di quanto sembri, e se davvero volessimo cambiare le cose, dovremmo farlo con decisione, una volta per tutte, concretamente.
Da questo punto di vista si può essere preoccupati di ciò che sta accadendo. Perché è inaccettabile che, anche dopo avvertimenti da parte delle Nazioni Unite, organizzazione che in materia di diritti umani dovrebbe avere la massima autorità, questo inferno continui.
È inaccettabile che persone, di ogni età e sesso, stiano soffrendo così tanto e che preferiscono morire che continuare a vivere, perché sono arrivati a vedere la morte come unica liberazione dal male che altri uomini gli infliggono. È inaccettabile che non si riesca a trovare una soluzione, o anzi, che non si voglia trovare una soluzione, ed è inaccettabile che l'Italia sia complice di tutte queste ingiustizie verso l'umanità.
Far sentire la propria voce per difendere quei fratelli e sorelle oltre il Mediterraneo, affinché un giorno possano trovare quella libertà e dignità che gli spetta per diritto inaienabile dalla nascita, è un dovere per ogni uomo che crede nel sacro valore della vita. Troppo spesso, però, ce ne dimentichiamo.

Foto © Imagoeconomica

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