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Gli Stati Uniti rafforzeranno il loro deterrente balistico convenzionale, installando un complesso di batterie missilistiche lungo la cosiddetta “prima catena di isole”. A rivelarlo è il quotidiano “Nikkei”, che specifica come il progetto sia al centro della cosiddetta “Iniziativa di deterrenza del Pacifico”, presentata al congresso degli Stati Uniti, accompagnata da un piano che prevede una spesa complessiva di 27,4 miliardi di dollari entro i prossimi sei anni.
A presentarlo è il capo dello U.S Indo-Pacific Command, Philip Davidson che richiede per il solo anno 2022, una spesa complessiva di 4,6 miliardi di dollari da impiegare in difese aeree, sistemi radar, centri di condivisione dell'intelligence, depositi di rifornimenti e campi di prova, accompagnati da esercitazioni congiunte con gli alleati.
Nello specifico si propone di realizzare un sistema di difesa missilistica Aegis Ashore da 1,6 miliardi di dollari a Guam e un sistema radar ad alta frequenza da 197 milioni di dollari a Palau, nell'Oceano Pacifico occidentale, da impiegare nel rilevamento e tracciamento dei bersagli aerei e di superficie. A questi si aggiungono 206 milioni di dollari da impiegare in "velivoli con equipaggio specializzato per la raccolta di informazioni sensibili", assieme a 3,3 miliardi di dollari per l’impiego di missili su base a terra che raggiungano una gittata di oltre i 500 km (310 miglia).
L’obbiettivo dell’impiego militare è presto chiarito: "Dobbiamo convincere Pechino che i costi per raggiungere i suoi obiettivi con la forza militare sono semplicemente troppo alti" ha precisato Davidson, alludendo alla tensione crescente tra Cina e Taiwan che rischia di deflagrare in uno scontro bellico di dimensioni inimmaginabili; ma i cui principi di innesco vengono alimentati ben al di là dell’oceano Pacifico. Ovvero da quando il primo ministro Taiwanese Tsai Ing-Wen ha vinto le elezioni del 2016, il paese ha messo in discussione i contenuti del "consenso del 1992", basati sul principio di un’unica Cina ed ha sostenuto un’iniziativa indipendentista della regione, avviando accordi bilaterali economici e militari con gli Stati Uniti, che solo ad ottobre 2020, hanno concesso una nuova fornitura di armi a Taiwan, per un valore di 1,8 miliardi di dollari, comprendente 135 missili di difesa costiera Slam-Er (con gittata sufficiente a colpire la Cina), 11 lanciamissili mobili tattici Himars e apparecchiature per la ricognizione aerea. Un “pacchetto” che consentirebbe a Taiwan non solo di contrattaccare in caso di attacco missilistico balistico cinese, ma anche di interrompere una potenziale invasione cinese colpendo porti, basi aeree e altri obiettivi militari attraverso lo stretto che divide le due regioni rivali.
Prosegue dunque a gonfie vele il programma del “Providing For The Common Defense”, pubblicato dalla National Defense Strategy Commission degli Stati Uniti, in cui si enunciava la nuova strategia di difesa nazionale, caratterizzata dall’aumento per le spese militari del 3/5 per cento annuo in risposta a presunti futuri attacchi da parte di Cina e Russia. Nel documento, per l’anno 2024, veniva simulato “un attacco di sorpresa contro Taiwan” da parte cinese, mentre gli Stati Uniti non sarebbero in grado di intervenire a un costo, in termini di perdite accettabile, dato che, testualmente, “le capacità militari cinesi hanno continuato a crescere, mentre quelle statunitensi sono stagnanti a causa della insufficiente spesa militare”.
Di tutta risposta Pechino, per l’anno corrente, aumenterà il bilancio per la difesa del 6,8%, portandolo a circa 1.350 miliardi di yuan (209 miliardi di dollari).
"L'Esercito popolare di liberazione sta sviluppando nuovi tipi di armi, comprese le armi ipersoniche, per contrastare la strategia militare offensiva e difensiva degli Stati Uniti", ha precisato Song Zhongping, un commentatore militare di stanza ad Hong Kong, sostenendo che anche la Cina è pronta ad affrontare le crescenti sfide degli Stati Uniti. Il “dragone” non è dunque fermo a guardare inerte le crescenti provocazioni alleate: lunedì 1° Marzo ha avviato un’esercitazione militare della durata di un mese nel Mar Cinese Meridionale, ad ovest della penisola di Leizhou, in un momento nel quale, secondo il Global Times, gli Stati Uniti hanno condotto frequenti operazioni di ricognizione ravvicinata sulle regioni costiere della Cina. Sulla scia di questo prolungato dispiegamento di forze, il ministro della difesa Wei Fenghe ha ammonito: "Non perderemo un centimetro della nostra terra lasciataci dai nostri antenati".
Insomma non dà segni di arresto quella che si può definire una pandemia ben più mostruosa e mortale del Covid-19 che, attraverso illimitate risorse economiche, baratta il futuro dell’intera umanità sullo scontro tra il decadente occidente ed il resto del mondo. Non lo ha nascosto il Capo del comando strategico degli Stati Uniti, Charles Richard, il quale ha affermato che c’è una “possibilità molto concreta” che gli Stati Uniti “possano aver bisogno di usare armi nucleari contro Cina e Russia”.

Foto © Defence Images is licensed under CC BY-NC 2.0

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