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Dopo 5 anni dalla scomparsa sono stati individuati gli esecutori materiali, ma non i veri mandanti del reato

“Svegliamoci! Svegliamoci, umanità! Non c’è più tempo. Scuotiamo le coscienze perché stiamo solo contemplando la nostra autodistruzione e lo sfruttamento dovuto al capitalismo rapace, al razzismo e al patriarcato”. Queste furono le parole pronunciate nel 2015 dall’attivista onduregna e leader del popolo indigeno Lenca, Berta Isabel Cáceres Flores, quando ricevette il premio Goldman Environmental Prize. Co-fondatrice nel 1993 del Consejo Civico de Organizaciones indigenas Populares (COPINH), che raggruppa tutt’oggi una parte consistente della popolazione Lenca dell’Honduras, Berta lottò in favore dei diritti fondamentali del suo popolo. Era un personaggio scomodo al potere e di ostacolo ai progetti economici e finanziari finalizzati allo sfruttamento delle terre dell’Honduras. Subì minacce, violenze e soprusi. Nella notte del 2 marzo 2016 dei sicari armati fecero irruzione all’interno della sua casa e la uccisero. Ancora oggi, dopo 5 anni dalla sua morte, non è stata fatta piena luce sui responsabili del suo assassinio.

L’impegno comunitario nel Copinh
Nel corso degli anni le battaglie combattute dal Copinh nel territorio Sud americano sono state numerose. In un mondo in cui il valore della dignità umana non si trova più al centro dell’interesse politico, economico e sociale dell’intera comunità, l’organizzazione si batte perché si ritorni ad un modello di giustizia economica-sociale davvero equa e perché l’uomo riesca finalmente a convivere in simbiosi con l’ecosistema naturale. Una denuncia sociale di cui l’attivista Berta Caceres si è fatta portavoce per tutta la sua vita.

Le azioni di denuncia dell’organizzazione iniziarono nel 1994, quando organizzò una serie di marce pacifiche con l’obiettivo di ottenere la ratifica da parte del governo dell’Honduras della Convenzione 169 dell’Ilo (Organizzazione Internazionale del Lavoro). Le manifestazioni ebbero esito positivo: infatti, dopo l’approvazione del progetto, sulla carta, è stato possibile garantire alle popolazioni indigene l’uguaglianza di trattamento, la tutela dei loro diritti fondamentali, la protezione della cultura e della proprietà dei territori ancestrali e il diritto ad essere consultati nelle questioni che riguardano direttamente la loro vita e la loro comunità, potendo così teoricamente difendere i propri territori da espropriazioni e privatizzazioni.

A partire dal 2009 infatti, successivamente al colpo di Stato in Honduras, iniziò un processo di frammentazione e di espropriazione delle terre ancestrali, tramite la concessione di numerose aree alle imprese multinazionali, tra cui anche l’impresa DESA, contro cui Berta lottò moltissimo. Il Copinh denunciò gli oltre 400 decreti governativi di concessione mineraria. Quest’ultimi svendettero più del 30% del territorio del Paese. I contratti conclusi con tali società imprenditoriali consistevano in permessi, che alcune volte duravano anche 50 anni, finalizzati allo sfruttamento soprattutto nel settore agricolo e minerario. Questo processo si concretizzò sempre di più negli anni a venire con la riforma legislativa di numerose normative da parte del governo onduregno, realizzata ancora una volta in aperto contrasto con ogni diritto di proprietà collettiva dei popoli nativi.
Durante il 2013 Berta Caceres venne incarcerata sotto false accuse per possesso di armi e ricevette minacce di morte, di stupro, di linciaggio, di amputazione della lingua sia prima che dopo l’ingresso in carcere. Le minacce venivano da settori delle forze dell’ordine e degli organi governativi e dalle grosse società imprenditoriali. Per tutti questi motivi la Commissione dei diritti umani interamericana dispose nei confronti dell’attivista onduregna una scorta mai stata impiegata prima da parte del governo del paese.

In quello stesso anno Berta organizzò varie azioni per fermare il progetto “Aqua Zarca”. Quest’ultimo prevedeva la costruzione di una grande diga sul fiume Gualquache, appaltata tramite concessioni illegali all’impresa DESA, senza il consenso previo ed informato delle popolazioni indigene. La realizzazione di questa struttura avrebbe privato un’intera comunità del rifornimento idrico necessario. Per fermare tutto questo la fondatrice del Copinh, insieme agli indigeni Lenca, formò un blocco stradale nel sito del cantiere. Gli attivisti rimasero lì notte e giorno, per oltre un anno, e la loro protesta rimase sempre pacifica, nonostante i ripetuti tentativi di sgomberi, torture, aggressioni, arresti, minacce, ed omicidi. Sul caso, Berta presentò ricorso all’International finance corporation (Ifc), ente finanziatore e braccio privato della Banca mondiale, portando la questione presso la Commissione dei diritti umani interamericana (ente che ha il compito della promozione dei diritti umani), presso la Corte europea di Strasburgo e anche in Vaticano. “Il fiume Gualcarque ci ha chiamati e così come tutti gli altri che nel mondo come noi sono minacciati per questo, combattiamo per difendere la madre terra, militarizzata, sfruttata, avvelenata”, diceva la Càceres. I suoi sforzi risultarono vincenti alla fine dell’anno (2013), quando l’azienda finanziatrice e il colosso cinese specializzato nella costruzione delle dighe Sinohydro decisero di ritirarsi dal progetto. Dopo la scomparsa di Berta nel corso del 2016 i fondi stanziati per il progetto vennero infine sospesi.

Esecuzione di Stato
Già prima del colpo di stato messo in atto, nel 2009, dall’estrema destra nazionalista l’attivista era in cima alla “lista nera” di soggetti “da eliminare” perché considerati una minaccia per gli interessi di grosse aziende.
Eppure dopo la sua uccisione - avvenuta nella notte tra il 2 e 3 marzo del 2016 nella sua casa di La Esperanza, nel dipartimento honduregno di Intibucá - ci sono voluti circa due anni di inchieste prima che la corte penale nazionale di Tegucigalpa emettesse una sentenza di condanna per i sette responsabili del suo omicidio. Poiché, sulle prime, si seguirono le piste della rapina e del “delitto passionale”.
Nel novembre del 2018 Elvin Rápalo, Óscar Torres, Edilson Duarte, e Henry Javier Hernández sono stati condannati a 34 anni di carcere ai quali si sommano i 14 anni per il tentato omicidio di Gustavo Castro, ambientalista messicano, unico testimone del reato. Mariano Díaz Chávez, Sergio Rodríguez, Douglas Bustillo hanno ottenuto invece una condanna a 30 anni.

Il Copinh però continua a denunciare che i mandanti di questa operazione criminale sono rimasti impuniti e punta il dito contro gli Atala Zablah, una delle famiglie più influenti del Paese che può vantare partecipazioni azionarie nella società Desa, l’impresa costruttrice del progetto “Aqua Zarca”.

Mandanti ancora impuniti
Nel frattempo, sotto processo con l'accusa di essere il mandante dell'assassinio è David Castillo, ex direttore dell’azienda Desarrollos Energéticos S.A. (Desa). L'udienza preliminare del processo nei confronti di Castillo, che ha un passato nell’intelligence militare, si è tenuta lo scorso 22 ottobre, ma da allora tutto è andato a rilento e ancora non è stata stabilita una data per l'inizio del procedimento.
Rimangono ancora pesanti, dunque, le ombre sui veri responsabili dell’attentato a Berta Càceres e giustizia e verità per questa martire, al momento, sembrano ancora un miraggio.

Foto © "Manifestación Berta Cáceres" by Comisión Interamericana de Derechos Humanos is licensed under CC BY 2.0

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