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Il mio amico e redattore di Antimafia Dos Mil, Agustín Saiz, dall'Argentina ci invia in modo accurato e assiduo, i suoi scritti sulla repressione al tempo della dittatura nel suo paese.

Le orrende pagine di un paese divorato dall'autoritarismo. Quell'autoritarismo che non risparmiò alcuna atrocità in tutta la sua permanenza al potere. Una di quelle atrocità, che leggeremo anche negli scritti di Saiz, è venuta recentemente alla luce pubblica nel sito argentino di Santiago Rey "En estos días" (El Contexto es la Noticia). Il suo giornalismo segue la nostra linea o, possiamo dire, lo avvicina a noi. Ed è per questo che ho voluto riportare un recente articolo pubblicato in questo sito dal titolo “Il segreto meglio custodito dai repressori dell'Esercito durante la dittatura”, del giornalista Ricardo Ragendorfer, scritto per l'agenzia Telam.

Un testo che approfondisce la testimonianza resa lo scorso lunedì 11 gennaio da un ex coscritto (Pedro Trejo) sui “voli della morte”, e sulle dichiarazioni, nel 1991, del Tenente Colonnello Eduardo Scilingo, ma anche del Generale in pensione Santiago Omar Riveros e del Tenente Colonnello Eduardo Stigliano, la cui testimonianza, quando stava per andare in pensione (prima di morire nel 1993), rivelò il crudo coinvolgimento dell'Esercito argentino nei voli della morte, negato dai vertici (responsabilità che attribuivano all’Armata), oltre che sull'apertura di un processo federale allusivo ai voli della morte nella zona del delta di Entre Ríos, e che riassume meticolosamente e in modo fin troppo esplicito, nel suo libro pubblicato nel 2012 "El lugar perfecto", del quale abbiamo già parlato in  un nostro recente articolo: “Acque del delta di Entre Ríos: un altro scenario macabro dei voli della morte”.

Articolo di Eduardo Ragendorfer (*)

Nonostante la luminosità del 16 dicembre 2020, le fusoliere scolorite e con parti mancanti di quegli aeroplani militari (tre Fiat G-222 e un Twin Otter), ancorati da non si sa quanto tempo nei terreni circostanti la pista di atterraggio inutilizzati del Battaglione 601 dell’Aviazione, a Campo de Mayo, conferivano al luogo un’aria fantasmagorica. 

Impressione condivisa dalle persone che quel giorno si trovavano sul posto per un sopralluogo. Erano giudici, pubblici ministeri, avvocati e testimoni. Tra loro, l'ex soldato coscritto Pedro Trejo. 

In questo luogo, circa quattro decenni e mezzo fa, un sottufficiale gli disse: - Sa cosa stanno portando quei camion? 

Si riferiva a due Mercedes Benz-Unimog che avanzavano in lontananza. E senza aspettare la risposta, completò: - Cadaveri. Morti della sovversione. 

Una lieve inesattezza da parte sua: alcune vittime erano ancora in vita, ma drogate. Diversamente fu molto preciso nel raccontare successivamente il resto della procedura, quando erano a bordo degli aeroplani in grado di aprire le porte e i boccaporti in volo

Trejo ricostruì il suo racconto durante l'udienza effettuata -on line- lo scorso lunedì 11 dinnanzi al Tribunale Federale (TOF) Nº 2 di San Martin, del processo riguardante i voli della morte da Campo de Mayo a Rio de la Plata e la Costa Atlantica, durante l'ultima dittatura. 

Questo processo è iniziato a ottobre dell'anno scorso e in testa agli imputati troviamo il generale Santiago Omar Riveros, un tempo potente capo degli Istituti Militari, seguito dal comandante della sua stessa unità aerea, tenente colonello Luis del Valle Arce; il secondo comandante, tenente colonnello Delcis Malacalza; l'ufficiale di Personale, capitano Horacio Alberto Conditi, e l'ufficiale di Operazioni, capitano Eduardo Lance. 

Contemporaneamente, la Giustizia ha appena avviato un processo sui voli della morte dell'Esercito nella zona di Villa Parancito, nel delta di Entre Rios, dove furono gettati centinaia di corpi con e senza vita. La fase istruttoria è a carico del pubblico ministero federale di Concepcion, Uruguay, Josefina Mignatta, in base ad una denuncia presentata dal giornalista locale, Fabián Magnotta, il quale ha riportato la sua indagine nel libro "El lugar perfecto", pubblicato nel 2012. 

Quel che è certo è che fino ad allora i repressori dell'Esercito insistevano sulla loro estraneità a tal simile metodologia, favoriti anche dalla mancanza di testimonianze e prove che dimostrassero il contrario. In realtà, lo stesso tenente generale Jorge Rafael Videla, nell'intervista che gli fece Ceferino Reato per il libro "Deposición final" (pubblicato anche nel 2012), addossava la responsabilità, senza muovere un solo muscolo del suo volto, esclusivamente all'Armata. 

Poco dopo, incredibilmente il caso volle che venisse fuori un vecchio fascicolo amministrativo dell'Esercito, e la loro tesi crollò. 

Ma andiamo per parti. 

A ottobre del 1975 fu organizzata in Uruguay la XI Conferenza degli Eserciti Americani il cui tema era l'infiltrazione marxista nella "regione". Videla aprì il suo discorso con una frase tagliente: “In Argentina dovranno morire tutte le persone necessarie affinché torni a regnare la pace”.

Quell'uomo sapeva quello che diceva. 

Dopo, mentre tornava a Buenos Aires in un piccolo aeroplano militare, forse scrutava l'orizzonte del Rio de la Plata, dove avrebbero gettato le loro vittime. Forse credeva pure che la profondità del letto del fiume avrebbe garantito il terribile segreto che doveva custodire. 

In quel preciso momento, la spaziosa sala del cinema della base navale di Porto Belgrano era colma di ufficiali dell'Armata. Tra loro, il suo gerarca massimo, Emilio Massera, ben dritto su una pedana, di spalle allo schermo, il contrammiraglio Luis Mendía con una frase secca annunciò l’inizio delle operazioni antisovversive: "In questa lotta, signori, il nemico non bisogna inquadrarlo nei classici organigramma". Ed aggiunse: “I prigionieri partiranno in volo; ma alcuni non arriveranno a destinazione”. Infine, con tono pietoso disse: “Abbiamo consultato le più alte autorità ecclesiastiche; loro sono molto d'accordo e lo considerano un modo cristiano di morire”.

Questo capitolo in particolare si concluse (parzialmente), a metà del 2017, con le condanne inflitte ad alcuni piloti navali nel cosiddetto processo ESMA III, durato cinque anni. Fu la prima volta che vennero dimostrati giudizialmente i voli della morte.  

Indubbiamente sarebbe stato più difficile senza la confessione, nel 1995, dell'ex pilota navale Adolfo Scilingo al giornalista Horacio Verbitsky. O senza l'allegra conversazione dopo pranzo dell'ex tenente dell'Armata, Julio Alberto Poch, quando, nel 2009, si vantò delle sue imprese omicide a bordo degli aeroplani dell'Armata, di fronte ai suoi colleghi di allora della linea aerea olandese Transavia, per la quale lavorava. 

Ma ad accendere una luce sui voli della morte dell'Esercito fu una circostanza ancora più incredibile: le confessioni, nel 1991, del tenente colonnello Eduardo Stigliano, in seguito ai documenti burocratici preparati per avere la pensione militare a causa di "nevrosi di guerra". Dovendo fornire delle motivazioni per tale richiesta, stilò uno dei documenti più scioccanti del terrorismo di Stato. 

A questo punto bisogna specificare che il patto di silenzio tra i repressori e la distruzione degli archivi sulla cosiddetta "lotta antisovversiva" favorì che la ricostruzione dello schema operativo e l'identità dei suoi artefici dipendesse dalle testimonianze dei sopravvissuti. Ma ci furono eccezioni. 

Dal 2009, la declassificazione e l'analisi di fascicoli del personale delle Forze armate e di polizia - da parte di equipe dell'Archivio Nazionale della Memoria, ANM, e della Direzione di Diritti umani del Ministero di Giustizia – permisero l'accesso ad altri nomi e dati sul genocidio, specialmente valutando le onorificenze per "atti di servizio" ed anche i ricorsi amministrativi per traumi mentali e malattie “di guerra”. 

Da segnalare quello di Stigliano, scoperto 22 anni dopo essere stato registrato. Il fascicolo è stato acquisito adesso nel processo Nº 3012 – di cui è titolare il giudice federale di San Martin, Amelia Vence - sui crimini commessi sotto la giurisdizione del Comando degli Istituti Militari, a Campo de Mayo. 

Gli ormai giallastri fogli da lui presentati nel 1991 dinnanzi alla Direzione di Personale dello Stato Maggiore Generale dell'Esercito (EMGE) – e ai quali Télam ebbe accesso - costituiscono un documento di enorme valore storico e giudiziario. Lui stesso si autodenuncia un omicida. Confessa il suo ruolo in sequestri e ammette le esecuzioni per strada dei capi montoneros Horacio Mendizabal e Armando Croatto. Stigliano rivela le visite del generale Leopoldo Fortunato Galtieri ai campi di sterminio. Ammette fucilazioni alla presenza di gerarchi militari della zona. Mette a nudo la struttura di intelligence che agiva a Campo de Mayo. E racconta nel dettaglio i voli della morte. 

Il suo racconto su questo tema è impressionante: “Mi ordinavano di uccidere i prigionieri sovversivi attraverso medici ai miei ordini, con iniezioni della droga Ketalar. I corpi erano avvolti con nailon e venivano preparati per essere poi lanciati nel Rio de La Plata dagli aeroplani Fiat G-222 o da elicotteri che partivano in voli notturni dal Battaglione di Aviazione 601”.

In termini numerici, gli si attribuisce 53 crimini con questa metodologia. 

Ugualmente ha dichiarato di avere preso la precauzione di lasciare in un ufficio notarile della città di Paraná – dove ha vissuto i suoi ultimi anni - la lista di vittime e le targhe degli aeroplani utilizzati, vicino ai nomi e gerarchie dell'equipaggio. 

Lontano dall’essere accolti con favore le richieste del Tenente Coronel, i suoi superiori hanno espresso che egli pretendeva di provocare danni all'"istituzione." 

Eduardo Stigliano è deceduto nel 1993. 

I suoi documenti sono stati acquisiti anche dal Tribunale Federale Nº 2. e costituiscono una prova inconfutabile nel processo per i voli della morte, niente meno che il segreto meglio custodito dai repressori dell'Esercito. (Telam)

*Estratto da www.enestosdias.com

Foto di copertina: www.enestosdias.com / ex generale Riveros Santiago Omar

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