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Processo penale in Argentina con la giudice Josefina Mignatta, dopo la denuncia giornalistica del 2016

Il libro "El lugar perfecto", del giornalista Fabián Magnotta, ha fatto aprire le indagini

Per gli assassini della dittatura militare ed ecclesiastica argentina non erano sufficienti le acque del delta del Tigre o del Rio del Plata per disfarsi di esseri umani oppositori ad un regime autoritario. Il braccio esecutivo del terrorismo di Stato dell'epoca scelse come nuovo scenario del macabro rituale il delta della provincia di Entre Ríos. Recentemente è emerso che la Giustizia Federale prenderà in mano la questione, avviando delle indagini riguardo l'esistenza di voli della morte sulle acque di quella zona fluviale della provincia. C'è praticamente assoluta certezza di questi voli della morte su quella regione argentina, considerando quanto scoperto nell'accurata investigazione del collega di Entre Ríos, Fabián Magnotta, di diversi anni fa. Parliamo di centinaia di corpi lanciati in quelle acque. Ora, tutto il peso del lavoro giudiziario è a carico del magistrato Josefina Mignatta la quale ha dichiarato alla stampa: “È fondamentale un’indagine a tutto campo per fare memoria, verità e giustizia”.

Dobbiamo ricordare che il fascicolo fu aperto nel 2016, a seguito della denuncia fatta dal giornalista Fabián Magnotta, che diceva che nei giorni della dittatura, in non poche occasioni, corpi senza vita venivano buttati giù da aeroplani, elicotteri e navi, nelle acque di ruscelli e fiumi di quella zona del territorio argentino. Il libro di Magnotta “El lugar perfecto” (Il luogo perfetto) raccoglie testimonianze di numerosi  residenti del luogo.

Chi è Fabián Magnotta? È un giornalista nato a Entre Ríos, più precisamente nella città di Gualeguaychú. Come professionista, dopo essersi laureato all'Università di La Plata, lavorò come corrispondente dell'agenzia di notizie ‘Diarios y Noticias’. Autore di diversi libri tra i quali "El lugar perfecto", di cui raccomando la lettura, perché si tratta di un testo con informazioni ben precise che ci rendono consapevoli della malignità dei repressori in quei giorni di terrore. Un libro che ho avuto in mano non tanti anni fa, trovando in ognuno dei racconti un accurato lavoro di ricerca e raccolta dati accompagnate da una narrazione scorrevole, dove la drammaticità e la sensibilità dell'autore si sposano per arrivare alla parte più intima del lettore – il giusto percorso per addentrarci in uno degli aspetti più perversi della repressione argentina e che rientra nel lungo curriculum di barbarie compiute all’ombra del cosiddetto Piano Còndor.

In merito al contenuto del libro, non possiamo ignorare il primo dato raccolto da Magnotta. A un poliziotto di Villa Paranacito venne in mente un racconto fatto dalla sua ex fidanzata sul ritrovamento di un bidone di combustibile di 20 litri, al cui interno c’era un corpo coperto con cemento, con la testa fuori. L'agente di polizia – scrive Magnotta nel suo libro – denunciò il fatto al Tribunale numero 1 di Gualeguaychú (sotto identità riservata). La denuncia in questione si bloccò alla morte del denunciante.


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Il valore di testimonianza del libro di Magnotta si basa sul fatto che lui stesso in persona ha avuto la tenacia e la pazienza di collegare (ascoltando i vicini e le vicine di Villa Paranacito) le storie ed i casi, componendo un puzzle pieno di terrificanti episodi, nei quali la morte era sempre protagonista e dove i boia erano gli uomini in uniforme di un apparato istituzionale demolitore, che non lasciava niente in vita al suo passo. Magnotta si trasformò nell’elemento (la pietra miliare) fondamentale per ricostruire il cammino verso la verità e la giustizia, attraverso un testo che rappresenta una testimonianza senza paragoni. Lui stesso ebbe a dire: "I racconti confermano l'esistenza di voli della morte a Paranacito e dintorni. Questa zona fu il cortile posteriore del genocidio”.

La Procura Federale di Concepción di Uruguay, a carico di Josefina Mignatta, intervenne due anni dopo, cioè nel 2018, quando la denuncia del giornalista Magnotta venne formalizzata. Il giudice prese il toro per le corna e presto iniziarono a venire fuori delle novità utili alle indagini, che si sono concretizzate - sorprendentemente – nel 2020.

In un recente dialogo con il quotidiano Pagina 12 il giudice ha sottolineato riguardo le indagini: "Abbiamo trovato certificati di morte datati tra il 1976 e 1983, di corpi NN (non identificati), morti di morte violenta, trovati nella zona del Delta e che furono inumati nei cimiteri della zona”.

Studiando la documentazione alla quale la dottoressa aveva avuto accesso, si arrivò alla conclusione che i certificati di morte dell'epoca (dei NN) erano stati firmati da una stessa persona, cioè un medico che risiedeva nella zona, deceduto recentemente. La vedova non aveva potuto aggiungere molto alla sua testimonianza, perché aveva ormai dimenticato tante cose. Lo stesso vale per altre persone chiamate a deporre dinnanzi al giudice.

Stando a quanto riferisce Pagina 12, nel mese di dicembre dello scorso anno, Fabián Magnotta testimoniò nella causa di cui è titolare la giudice Mignatta, mentre il giudice istruttore era il dottore Pablo Serò. Il Pubblico Ministero ebbe delle parole di ringraziamento per Magnotta: "Ha continuato a raccogliere informazioni perché ha continuato a parlare con vicini e vicine e gente del posto. E ha segnalato anche possibili luoghi di sepolture clandestine dei corpi che apparivano nei bidoni. A Magnotta giunsero voci su un possibile cimitero clandestino ubicato dietro quello che era il commissariato di Arroyo Merlo. Quel Commissariato fu smantellato. Si dice che, quando cominciò a esserci movimento nel 2003, riguardo le leggi sull’impunità, bruciarono tutto, archivi della polizia di Gualeguaychù, archivi dell'unità penale locale. È chiaro che volevano cancellare quel luogo dalla storia”.

Una delle testimonianze più significative che troviamo nel libro di Magnotta è quella della docente Graciela Calzato, la quale ha ricordato a Pagina 12 che "c’erano abitanti che seppellivano i corpi che trovavano nel monte. Conoscevo tutti, perché la scuola in quei posti rurali funziona come punto di incontro per tutto. E la gente mi raccontava che apparivano cadaveri ogni giorno, o che si vedeva aeroplani che lanciavano sacchi dal cielo. Io sentivo gli aerei. E, guarda caso, le notti che li sentivo, nel pomeriggio passava Prefettura ad avvisarmi di cercare di non uscire dalla scuola fino al giorno dopo”.

Anche l'avvocato Lucía Tejerà, rappresentante della Segreteria di Diritti umani della Nazione, parte dell’accusa, ha dichiarato a Pagina 12: “il processo è agli inizi, ma sta procedendo. Dobbiamo investigare con serietà, collegarlo ad altri processi, incrociare dati, rivedere il terreno. Non sappiamo da dove partivano i corpi che poi venivano lanciati nelle acque del fiume, né chi fossero, ma alla Procura riteniamo che i fatti sono provati. Sono molte le testimonianze che coincidono e, in un posto tanto rurale come quello in questione, sarebbe stato molto difficile inventare. È fondamentale per il processo di memoria, verità e giustizia, che si conduca un’indagine a tutto campo". 

Foto de copertina: YouToube

Foto 2: www.elpopular.com.ar / Fabián Magnotta

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