Secondo i genitori è vietato vendere armamenti a governi responsabili di violazioni di diritti umani
I genitori di Giulio Regeni, il giovane ricercatore friulano morto nel 2016 dopo atroci torture in Egitto, hanno depositato alla procura di Roma un esposto contro il governo italiano. Il motivo è legato alla vendita da parte dell’Italia di due fregate della marina italiana all’Egitto di Abdel Fattah Al-Sisi avvenuta in “palese violazione della legge”, in quanto vendere armi a Paesi che si sono macchiati di “gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dagli organi delle Nazioni Unite o dall’Unione europea” è vietato dalla legge 185 del 1990. Un atto forte, annunciato la scorsa settimana e ora formalizzato davanti ai magistrati che indagano sulla morte di Giulio. E che, nel silenzio della politica, "costringe Giulio a fare cose", per citare un’espressione cara ai genitori del ricercatore italiano. Un atto - quello dell’esposto - che apre una frattura importante tra la famiglia Regeni e il governo: dopo aver visto un figlio sequestrato, torturato e ucciso da agenti di intelligence di uno Stato estero, come sostiene la procura di Roma, sono costretti, da cittadini, a "difendersi" dal governo italiano.
La denuncia è stata presentata, infatti, nell’ambito del procedimento penale aperto dalla procura di Roma sull’assassinio di Giulio. La legge 185/90, fa notare l’avvocato Alessandra Ballerini, prevede nel primo articolo il divieto di esportazioni di armi verso Paesi che violano le convenzioni internazionali in tema di diritti umani. E la famiglia Regeni, che nel frattempo ha chiesto nuovamente il ritiro dell’ambasciatore dal Cairo, è fermamente convinta che l’Egitto sia tra quei Paesi.
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