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Processo Puente 12 (II)

Durante la brutale repressione esercitata dalla dittatura argentina, c'erano ruoli di ogni tipo. La macchina di sterminio aveva numerosi ingranaggi che richiedeva che ogni componente occupassi il posto che gli corrispondeva. Il livello di partecipazione era ampio, soprattutto quando il nemico, costruito per giustificare i crimini, si trovava in ogni luogo possibile. L'intelligenza militare dirigeva e coordinava quello spiegamento dell'apparato repressore che abbracciava ogni ambito della cittadinanza e che poi finì in un genocidio.
Ma per smantellare quell'impalcatura bisogna identificare uno alla volta i protagonisti dei fatti. Il generale Videla al comando dei vertici della dittatura, i membri dei ‘grupos de tareas’ (militari in borghese) che irrompevano nelle case per sequestrare, lo specialista nel carpire informazioni sotto tortura, l’agente di guardia della polizia che custodiva il centro clandestino, il prete di una chiesa che passava informazione di qualche parente… e, tra tanti altri ruoli, anche quello di chi era incaricato di reclutare personaggi oscuri per infiltrarli nelle differenti organizzazioni sociali e di resistenza. Carlos Antonio Españadero (in foto) era uno di loro ed oggi è l'unico imputato in questa seconda fase del processo per crimini di lesa umanità denominato “Puente 12”, iniziato venerdì 11 Dicembre e dinnanzi al Tribunale Federale Nº 6.
Alcuni dei sopravvissuti dei centri clandestini di sparizione e sterminio, dopo essere stati liberati hanno vissuto una specie di sequestro a cielo aperto. Cioè, veniva loro permesso di tornare a vedere i loro parenti e continuare a vivere una vita apparentemente ordinaria, ma soggetti a controllo dove tutti i loro movimenti erano monitorati. La garanzia che le regole fossero rispettate erano i loro cari che fungevano da ostaggi di quella condizione imposta. Una testimonianza riservata nella Segreteria di Diritti umani della Nazione (SDH), afferma che "ad un matrimonio di sopravvissuti dopo la loro liberazione nell'anno 1979 lasciarono loro un bigliettino con numeri di telefono. Un anno dopo li chiamarono per avvisarli che li avrebbero fatto visita. È così che arrivò un certo "Peirano" con un altro uomo ed una donna che consegnarono loro due bambini, uno di 4 anni e l'altro di 18 mesi".
Ovviamente il maggiore Peña o "Peirano" era uno dei tanti soprannomi di Españadero utilizzato durante la sua carriera criminale e i bambini affidati loro erano alcuni delle migliaia nati da madri in cattività e che ancora oggi sono ricercati. L'organizzazione tedesca "Coalición contra la impunidad" (Coalizione contro l'impunità) promotrice del processo contro 41 militari argentini, riconobbe anche nel "Maggiore Peirano" la persona che riceveva le denunce delle vittime che si avvicinavano all'ambasciata alla ricerca di informazione sui loro parenti.
Il giornalista Ricardo Ragendorfer, che ha potuto intervistare diverse volte il genocida, ha dichiarato che “su di lui pesa una macabra accusa: avere chiesto 25 mila dollari al teologo tedesco Ernst Käsemann, per permettergli di accedere ai resti di sua figlia, uccisa dai militari nel 1977. Si dedicava a ricevere familiari di desaparecidos tedeschi che andavano a chiedere aiuto all'ambasciata di quel paese. E, naturalmente, li interrogava, oltre a ricavare guadagni dalla vendita di informazioni false”.
Ma oltre a trovare famiglie per i figli strappati ai desparecidos e di trafficare informazione nelle ambasciate, Españadero è noto per un'altra delle sue specialità, che è quella di infiltrare individui in differenti organizzazioni di resistenza. Mano a mano che ci addentriamo nel suo profilo e scorriamo il suo curriculum, la qualifica morale di questo personaggio scivola sempre più in basso. Due dei suoi agenti tristemente più noti avevano dei profili psicologici alquanto carenti. Si deduce quindi che più che prestare servizio si può parlare di un insieme di inganno e coazione per indurli a svolgere il lavoro sporco che inoltre mise fine alle loro vite.
Con l'informazione raccolta da Españadero, ad esempio attraverso "oso" (orso) Ranier uccise 120 militanti dell'ERP (Esercito Rivoluzionario del Popolo) "con il suo proprio camioncino, faceva da autista nella logistica dall'ERP. Ottenne contatti per la vendita di armi, organizzava appuntamenti e trasportava persone e materiali, armi, approvvigionamenti, persone sequestrate, raccogliendo in questo modo poco a poco molti piccoli pezzi di informazione che il Battaglione 601 dell’Intelligence decifrava con molta attenzione". “L’oso è già stato condannato dalla vita e dalla storia… Era una persona comune dalle capacità molto limitate, si potrebbe parlare di un ritardo maturativo. Ciononostante, il tipo non è che era stato allenato, bensì ammaestrato semplicemente per vedere e ascoltare. Era stato ammaestrato non per trarre delle conclusioni, ma per raccontare ciò che vedeva e sentiva, non importava se non comprendeva quello che vedeva e sentiva. Per ricostruire quell'insieme di specchi rotti, quell'insieme di pezzi dispersi, c’era Españadero e la sua gente".
Españadero racconta con presunzione come anche un altro di suoi reclutati si era legato a lui per vendicare la morte di suo fratello. La cosa incredibile della storia di Miguel Lasser è che suo fratello Victor faceva parte dell'ERP e morì proprio durante uno scontro con i militari. Ma per Miguel Ángel la responsabilità era solo dell'organizzazione guerrigliera e secondo Españadero riuscì a convincere il giovane a lavorare per lui invece di entrare nella lotta armata. “Voglio un’arma in mano (mi disse) il ragazzo preso dall’ira. E io gli dissi: Non serve che diventi un giustiziere; quello non aiuterà nessuno, nemmeno te. Lo convinsi. Il primo passo fu inviarlo a Tucumán per identificare dei sovversivi. Lo fece. Al suo ritorno, pensai di infiltrarlo nei Montoneros (Nota: finì nell’ERP). A quel punto c'era già un vincolo affettivo tra noi. Conosceva il mio vero cognome e i miei figli. In quelli giorni manifestò il suo interesse in fare il servizio militare. E io gli chiesi di ottenere dei dati di altri iscritti. E lo fece".
Españadero rappresenta con chiarezza un maestro dell'inganno che abusò della sua posizione di potere per esercitare dominio su vittime o persone vulnerabili con problemi evidenti. Tuttavia lui considera i suoi subordinati come "eroi" che agirono in una guerra dell’intelligence dove "la chiave era l'informazione". Quando la verità uscirà alla luce in questo processo, molti speriamo che Españadero rimanga alla vista di tutti come quello che è stato, un personaggio perverso che agì impunemente mentre aveva l'apparato del terrore a suo favore.
La verità è che se questi personaggi vengono spogliati da tutto il loro contesto, non rimane altro che una specie di verme fetido rotolandosi nel mare della sofferenza che visse il nostro popolo: "Io solo interrogavo. Quello era il mio lavoro. Nei centri di detenzione, mi mettevo una benda e così interrogavo chi dovevo interrogare. Preparavo solo i rapporti. Il mio capo aveva ben chiaro che io mi opponevo alla tortura".
I processi in democrazia contro i genocida, oltre alla necessaria condanna e la rivendicazione storica e delle vittime, servono anche per mostrarci come sono in realtà quelle persone che furono capaci di partecipare, anche con orgoglio, a un genocidio.
Nunca más significa nunca más!

Foto: laimposible.org.ar

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