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Il pubblico esibisce foto delle vittime all’ingresso degli imputati

Di fronte all’assurda deriva del mondo di oggi, è evidente che non solo era necessario, ma bensì un dovere, cercare di cambiare la rotta delle nostre società. Al di là dei possibili errori di metodologia, strategia o esecuzione, la ‘contraofensiva’ dei ‘montoneros’ significa questo: un audace tentativo per evitare il presente di oggi, che è il risultato della logica predominante durante le dittature degli anni ‘70 e che oggi si struttura nelle democrazie burattine subordinate agli stessi interessi di quell'epoca. Con questo ideale centinaia di militanti esiliati si organizzarono negli anni ‘79 e ‘80, molti di loro erano andati a formarsi o in esilio all’estero, e decisero di ritornare con la ‘controffensiva’ e attaccare dritto la dittatura genocida, per mettere così fine a tanti anni di tormenti: "Da quella situazione di essere alla difensiva che ci impose la dittatura, il nostro contributo fu quello di creare le condizioni appoggiandoci alla lotta popolare, sindacale e, in quel contesto, alle azioni armate, per dare vita alla controffensiva.
Si può dire che non ci siamo riusciti, che non abbiamo avuto successo, che ci siamo sbagliati... Di sicuro sono accadute tante cose nel mezzo, ma il nostro obiettivo era quello. La conclusione finale di tutto questo si può sintetizzare nel vedere quanto sono durate le dittature in America Latina, in quello che è successo in Argentina, dove abbiamo guadagnato 10 anni in più rispetto agli altri. Dieci anni di libertà. Dieci anni di riconquista del diritto. Che poi non ci siano state le condizioni politiche per approfittarne in modo adeguato, questa è un'altra questione. Ma il sacrificio del paese, dei nostri compagni lo ha reso possibile"(*1), sono state queste le parole pronunciate lo scorso 16 Aprile da Roberto Perdía all'uscita dalla sua testimonianza in questo processo sulla condizione genocida del colpo di Stato, messo in atto dai governi con la complicità dei servizi di intelligence di altri paesi.
In questo senso il campo di battaglia della ‘controffensiva’ non fu solo Argentina, ma anche altri territori dove le operazioni di intelligence giocarono un ruolo fondamentale che si rivelò determinante. Perdía era alla guida dei "montoneros" e, dal suo esilio a Madrid, partecipò al coordinamentodi più di 450 militanti, che si andarono raggruppando per rientrare da paesi come Spagna, Messico o Brasile.
"Tutti quelli che eravamo in esilio sentivamo il bisogno di lottare da qui. E questo ci fece commettere degli errori. Eravamo divisi in quattro gruppi: quello militare, quello di protesta e propaganda (i TEA, che avevano il compito di fare propaganda con delle interferenze nel suono dei canali televisivi e trasmettevano messaggi registrati da noi), la frangia politica (una struttura di compagni che si dedicavano all’organizzazione politica); e i militanti che individualmente prendevano contatto con alcuni dirigenti politici o con le organizzazioni di giovani. L'obiettivo era far capire al popolo chi era il nemico, e il nemico era chi voleva distruggere l'economia del paese e togliere i diritti al nostro popolo. Non è un caso che tutte le azioni fossero mirate contro il potere economico, le abbiamo pianificate esclusivamente contro quel nemico. Tuttavia le maggiori perdite le abbiamo avute tra i nostri dell'apparato politico, non in quello militare e nemmeno in quello propagandistico". Ciò indica che i genocida miravano a eliminare ogni possibilità di pensiero critico, ben lontani dunque dal “prevenire un’aggressione” da cui "erano obbligati a difendersi" nell'ambito di una presunta guerra contro il terrorismo.
Ad un anno e mezzo dal suo inizio (marzo 2019) entriamo già nella fase finale di questo processo dinnanzi al Tribunale N°2 di San Martin. Il magistrato Gabriela Sosti già da 4 giorni sta esponendo la sua arringa, chiedendo la condanna per crimini di lesa umanità per nove militari di alto rango, dei battaglioni 601 e 201 dell’Intelligence e dei vertici militari. Giovedì 19 Novembre, in particolare, Sosti ha ricostruito la storia dell’azione della dittatura contro stampa e formazioni politiche a cui fu data letteralmente la caccia, attraverso i gerarchi della struttura dell’Intelligence che oggi sono imputati in questo processo. È chiaro che l'obiettivo della dittatura era annullare la libertà di pensiero, al fine di creare quel sistema economico a favore di pochi vigente ancora oggi. Da ricordare che l’80 percento delle perdite tra i "montoneros" durante la ‘controffensiva’ si registra nei gruppi con compiti politici, non militari, il che mostra il volto della dittatura: sottomettere la società ad un regime di terrore e schiacciare con la più estrema violenza qualsiasi forma di opposizione.


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Il magistrato titolare dell’accusa contro 9 genocida


La trascrizione che leggete a continuazione (*2), basata sul resoconto della procura, è dedicata a tutti coloro che hanno sacrificato la propria vita per un ideale di libertà, un nostro piccolo omaggio per il loro coraggio, impegno e lealtà ad una causa in cui credevano.

Il gruppo della stampa
Videla dichiarò in suo momento "Nel paese ci sono più di 300 movimenti culturali che noi elimineremo". L'azione psicologica mirava a costruire concettualmente un nemico e qualificarlo come tale. Bisognava inibire ed addomesticare la società convincendola della necessità di sterminarli. In Messico, un gruppo di militanti esiliati aveva formato un gruppo stampa la cui principale attività era l'edizione della rivista "evita montonera", attraverso la quale venivano denunciate le atrocità della dittatura dall'esterno. Tutti i suoi membri avrebbero partecipato più tardi al gruppo stampa della controffensiva. I primi a ritornare in Argentina furono Edith ed Aixa Bona con Gervasio Guadix, dopo Nora Hilb e Daniel Cabezas insieme ad Alfredo Lires (Juan o Tono), e Graciela Álvarez. Tutti loro con i loro figli. C’era anche Miguel Ángel di Lillio e la sua compagna María Haydee Millovara di Lillio. Entrarci non era facile e meno ancora con bambini… Panama, Brasile, Perù, Cile erano i punti dove si giocava il doppio gioco del controspionaggio, l'intelligence mise a punto delle strutture repressive e li aspettavano per darli la caccia.
La maggior parte del gruppo stampa arrivava in Cile proveniente da Mendoza e inizialmente riuscirono a stabilirsi tutti nella capitale. A volte facevano scritte propagandistiche, ma il compito principale del gruppo era imprimere il libro "Montoneros, el camino de la liberación” (Montoneros, la strada verso la liberazione”, e distribuirlo gratis. La dittatura conosceva questa attività sin dall’inizio attraverso i vertici della direzione 2 del battaglione di intelligence. Quando tutta l'informazione era stata raccolta, grazie alla collaborazione dei servizi all'estero e ai dati strappati sotto tortura ad altri compagni, fu dato l'ordine di neutralizzare tutto il gruppo ed ostacolare la diffusione del materiale: “E' stata individuata la circolazione del libro montoneros che essenzialmente è la raccolta dei principali documenti politici della ‘banda’ da ottobre del ‘75 a marzo del ‘78. Sarebbero stati stampati 2000 esemplari, i bersagli scelti sono professionisti, politici, dirigenti sindacali", "l'obiettivo del libro è duplice, guidare l'opposizione al processo di riorganizzazione nazionale e come formazione politica dei suoi militanti", "sotto interrogatorio il militante ha dovuto raccontare che il libro sarebbe stato stampato prima in Messico, ma dopo fu consegnato a Juan (Alfredo Lires) il quale aveva ricevuto l'ordine di allestire una tipografia clandestina in Argentina”. Alfredo Lires e Graciela Álvarez.
Lires effettivamente guidava il gruppo stampa per allestire la tipografia, stamparlo e distribuirlo. Dopo questo primo passo, i compagni gradualmente si trasferirono in altre abitazioni. Con l'unico che si continuava a mantenere il contatto era con Lires. La comunicazione doveva essere ristretta, per comunicare con Juan chiamavano a un numero telefonico scelto di comune accordo dove gli lasciavano il messaggio.
A giugno del 1980 Juan viaggia in Messico per valutare i passi a seguire poiché il primo obiettivo del lavoro era compiuto. In Messico diversi compagni raccontano che lo vedevano preoccupato e ansioso di tornare in Argentina. La sua intenzione era proteggere il gruppo per delle informazioni che aveva avuto. Si affretta a ritornare, fa scalo in Messico, Panama, Brasile, Cile ma lo sequestrano a Mendoza. Quasi tutti i compagni che si spostavano seguendo quella rotta facevano il cambio di documentazione a Panama, e a quel punto iniziarono a sospettare che i servizi di quel paese avevano degli infiltrati che collaboravano con la dittatura argentina.
Alfredo Lires eraanche “Tono” o “Juan Lires”, e la sua compagna era Gracierla Isabel Álvarez. Il 16 agosto 1980 lo prendono all'aeroporto di Plumerillo (Mendoza). Il rapporto dei militari riferisce che durante la tortura, Alfredo cerca di prendere una capsula di veleno, ma lo salvano al fine di interrogarlo per poi ucciderlo. Riescono a fargli confessare dei dati. La ferocia di questo sistema consisteva in ricavare informazioni sottoponendo a dolore estremo i compagni militanti, anche a persone molto vicine a loro, come ad esempio la compagna di Juan che sarebbe andata incontro allo stesso destino. Lo portarono a Campo de Mayo. Dopo 4 giorni di supplizio avevano già dati sufficienti come per poter sequestrare sua moglie ed il resto dei suoi compagni. Il sacrificio di Alfredo di quello che aveva durante quelli 4 giorni, offriva la speranza che in quel lasso di tempo, potessero abbandonare le abitazioni ed evitare di essere catturati.
Mentre pensavano che Alfredo (Juan) si trovava ancora in Messico, Graciela "Nina" Álvarez visitò preoccupata Nora Hilb e Daniel Cabezas. Il 20 agosto andò con i suoi figli a trovarli. Era angosciata perché Alfredo non era ritornato in paese e perché a casa sua aveva visto gente sospettosa. Quello stesso giorno fu sequestrata. Una vicina sentì uno dei suoi due bambini piangere perché era rimasto da solo in casa. La vicina chiamo la mamma di Graciela che andò a prenderli e tenne con sé i due nipoti.

Nora Hilb e Daniel Cabezas
Il 21 agosto 1980, Nora Hilb portò sua figlia all’asilo e notò che la inseguivano. Cercò di disperderli ma una ‘patota’ (gruppo di militari in borghese) entrò in casa sua. Picchiandola le chiedevano di Tono (Alfredo) e Nina (Graciela). In quel momento, Nora non conosceva i loro veri nomi. Le chiesero anche se lei era "manzanita" perché l'avrebbero confusa con Hayde de Lillio, un'altra compagna che stavano cercando insieme al suo compagno Miguel Ángel de Lillio (nariz). Tutti loro erano molto amici di Alfredo, quindi è ovvio che quei nomi furono strappati con la tortura. Quando Daniel, il compagno di Nora, arrivò a casa, tre soggetti gli saltarono addosso mentre un altro teneva Nora nella stanza. Incominciarono i pestaggi e gli interrogatori.
Un ufficiale dice ad un altro che un loro famigliare lo avevano "gli altri", cioè i marines dell'armata dell'ESMA che operavano in collaborazione con l'esercito. Si trattava della madre di Daniel, Thelma Jara de Cabezas, sequestrata e detenuta all’Esma dal 31 aprile al 7 dicembre 1979, quando fu liberata. In tutto i sequestratori erano nove. Uno di loro, Juan Antonio del Cerro, disse a Nora che se questo fosse successo mesi prima l’avrebbero uccisa sul posto. Quello stesso militare nella sua posteriore testimonianza avrebbe spiegato come agiva l'esercito "c’erano distinte brigate, insieme a due capitani organizzarono il gruppo che dai tetti lanciavano granate in caso di resistenze, un gruppo di irruzione, un gruppo di appoggio e 4 camion dell'esercito con truppe e poliziotti della zona che aspettavano all’esterno. Verificati i dati della casa, la persona veniva da Mendoza, la ragazza è stata presa, aspettiamo il ragazzo, quando arriva prendiamo anche lui e sequestriamo la tipografia, volantini e numeri della rivista ‘evita montonera’".
Li portarono prima al commissariato 44 dove il primo interrogatorio glielo fece personale dell’intelligence, esperti. Poi li portarono a Campo de Mayo e li lasciarono lì senza sapere cosa fare di loro, come dicevano i repressori. Chiesero di Gervasio Guadix, qualche giorno dopo smisero di farlo. Lo avevano già sequestrato. Daniel isolato ma senza benda agli occhi riuscì a vedere un gruppo di giovani Testimoni di Geova rapiti anche loro a Campo de Mayo. Erano detenuti in carcere perché si negavano a prendere le armi, erano obiettori di coscienza. Sicuramente si trovavano lì perché volevano dimostrare la loro libertà per testimoniare la loro fede. Posteriormente uno di loro si incontrò con Nora e confermò di averli visti entrambi a Campo de Mayo. Durante la cattività, quando chiedevano del destino del giovane compagno, normalmente ricevevano punizioni come risposte. Fino che un giorno uno dei militari rispose che il destino "era quello abituale", tutti capirono che erano finiti nel fiume.
Ma non era stato così. Il console tedesco intercedette dopo la richiesta del padre di Nora che era proprietario di un'impresa di assicurazione salvando la vita anche a sua nipote Marcela. Le tirarono fuori da Campo de Mayo in un veicolo. Daniel fu portato nel carcere di Caseros, poi a Rawson e infine a Devoto fino a maggio del 1984. Anche Nora fu tenuta in prigioni comuni e condivise la sua detenzione con una delle sue compagne del gruppo stampa, Aixa Bona, fino al 1984. Entrambe erano state sottoposte ad un improvvisato consiglio di guerra, una finzione di legalità che dimostra la responsabilità di Istituti Militari e la complicità dell'apparato giudiziale che fino ad oggi nessuno è veramente capace di dire fino a dove arriva.

Aixa Bona e Gervasio Guadix
La caccia continuò sempre in quello stesso mese di Agosto, i giorni 26 e 27 caddero Gervasio (Paco), Guadix ed Aixa Bona. Gervasio apprese che "Tono" al suo ritorno dal Messico voleva incontrarlo. Sappiamo già che Lires (Tono), era stato rapito il 16 agosto e l'obbligarono a tessere una trappola per sequestrare Guadix. L'incontro fu in un bar di via Nazca e Gaona. Non ritornò mai più.
Aixa iniziò a preparare la sua fuga con documenti falsi per lei e sua figlia. Andò in un hotel economico e trascorse il tempo salendo e scendendo da un treno perché non aveva dove rifugiarsi. Tornò a casa pensando di chiedere aiuto ad un amico di Paco. Quando uscì il 27 agosto con una borsetta e sua figlia, una ‘patota’ l'afferrò dalle spalle in mezzo alla strada alla presenza di alcuni vicini. Dolores era un bebè e piangeva. Fu l’ultima cosa che vide. Aixa gridò il suo nome ed i suoi dati fin quando la impiccarono e non le uscì più la voce. La misero dietro in un auto, erano molti i sequestratori. Lì sentì dire nel gergo tipico militare "pacchetto grande con noi, pacchetto piccolo con la vicina".
C'era qualcun altro dentro le auto, ma Aixa non riuscì a vederli. La perversione era farle sentire che suo marito l'aveva denunciava provocandole così una sofferenza immediata. Ma Aixa sapeva che nel caso in cui fosse stato Paco a dare loro l’indirizzo, lo avrebbe fatto sotto tortura sapendo che erano trascorsi diversi giorni di vantaggio per avere il tempo di fuggire. Erano già trascorse molte più ore di quelle che avevano accordato come copertura, se lui non ritornava a una certa ora quel giorno, lei doveva andare via da casa. Difficile immaginare tanta perversità e difficile immaginare il dolore che devono avere inflitto a Gervasio per farlo parlare della sua compagna e sua figlia. Quelli sono i metodi che rivendicano i militari dell’intelligence.
La vicina aveva preso Dolores ma tempo dopo fu consegnata alla famiglia con un cartello appeso con il nome della zia "Cuqui". Non si è mai saputo cosa era avvenuto nel mentre. La bambina era sotto shock, aveva quasi due anni ma non parlava. Dalla casa della vicina la portarono probabilmente a Campo de Mayo nelle qui vicinanze c’era una specie di asilo e molti bambini passarono da lì. I militari chiamarono la zia per andare a prenderla al commissariato di Lugano. Il coinvolgimento di altre istituzioni sono desolanti e la maggioranza dei responsabili di quei commissariati sono ancora impuniti.


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Aixa Bona durante la sua testimonianza nel Processo


Ad Aixia la portarono al Campo de Mayo dove un militare le chiede se era quella "che avevano preso nella via Tapalque? Gli dice di no, "ma come non hai un figlio?, "no, una figlia". Il figlio era di Graciela ed Alfredo. Aixa seppe che c'era qualcuno che viveva in via Tapalque che era stato sequestrato. Più tardi la mamma di Graciela quando la visitò nella prigione le avrebbe confermato che erano loro. Poi la portarono in una stanza dove membri del ‘grupo de tareas’ preparavano gli strumenti di tortura. Aixa sentì il torturatore che diceva con questo le rompo la "clavicola", mentre provava lo strumento contro la parete. In quel modo ottenevano l'informazione.
I rapiti a Campo de Mayo sentivano le marce, aeroplani, voci di comando; i militari che li avevano in custodia erano molti, uscivano ed entravano in continuazione. Altre volte mettevano qualche teleromanzo in TV o in radio a tutto volume per coprire le grida. Aixa prima di uscire da casa aveva scritto una nota per sua suocera affinché che potesse presentare la denuncia dinnanzi a qualche organismo come Madres de Plaza de Mayo. Non riuscì a lasciarla, la aveva con lei quando la rapirono. I suoi sequestratori trovarono il biglietto ed esplosero di ira. In un certo momento Aixa si tolse il cappuccio pensando che era da sola e ricevette un colpo in volto dicendole di non rompere "che era una desaparecida". La cosa più importante è che riuscì a vedere la giacca che indossava Paco quando era andato a incontrarsi con Tono, ed ebbe la certezza che anche lui si trovava lì.
Una notte la portarono in un auto al commissariato di San Martin dove rimase una settimana ammanettata in una branda senza mangiare. Aixa durante il tragitto chiese all'autista sul suo compagno e le disse che era lì nel Campo De Mayo. In questo processo, il 7 Agosto 2020, è successo qualcosa davvero incredibile. Roberto Alvarez fu chiamato a testimoniare in qualità di ex capo della polizia a San Martin. Aixa che seguiva dal vivo online, si mise subito in contatto con il suo avvocato per identificarlo come quella persona che l’aveva portato 40 anni prima da Campo de Mayo al commissariato "La mia cliente, parte dell’accusa in questa causa, sta seguendo questa udienza e afferma che riconosce nella figura del signore Álvarez la persona che andò a prenderla a Campo de Mayo. Lo sottopongo alla considerazione del tribunale" interruppe l'avvocato difensore Flores di fronte allo stupore del tribunale (*3). Dopo 40 anni non era ancora stato indagato né imputato.
Aixa fu portata dopo a Devoto (un carcere comune), dove la sottoposero a un finto processo condannandola a 14 anni di prigione. Un giudice ed un segretario convalidarono la detenzione. Immediatamente i mezzi di comunicazione di massa, servili e canaglie, diedero la notizia, e non dissero niente su Campo de Mayo, né che Guadix era desaparecido. A Devoto era con Nora, con chi aveva cercato di incontrarsi prima del suo sequestro.


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Dolores figlia di Guadiz e Bona mostrando la foto di suo padre durante il processo


Gervasio Guadix rimase a Campo de Mayo sotto tortura dal 26 agosto del 1980, non avevano chiaro cosa fare con lui ma poi decisero: ci sarebbero voluti alcuni mesi più pianificare l'assassinio e montare un scenario che oltre ad essere patetico era raccapricciante. Il 15 Settembre del 1980 il quotidiano Herald di Buenos Aires pubblicò la notizia della sparizione di Guadix e il suo direttore fu minacciato. Gli dissero di andare fuori dal paese perché lo avrebbero ucciso. A Dicembre di quello stesso anno, l'esercito emette un comunicato infame su un "terrorista di La Plata che aveva con se un fiasco di cianuro", e dicono che Guadix si era suicidato quando cercò di attraversare la frontiera dal Brasile da Pasos de los Libres. Secondo questa versione inverosimile "discese dal veicolo e camminò nervoso, alla vista di alcuni impiegati della gendarmeria e della dogana prese un fiasco e ingerì il contenuto e disse mi autoelimino, sono montonero, si prese dalla gola e cadde inerte"(*4).
Non solo non aveva pastiglie di cianuro ma l'organizzazione non le usava perché i repressori quando un militante li prendeva riuscivano comunque a salvarlo per torturarlo ancora di più. L'idea di un fiasco pieno di pillole era inoltre troppo assurda, per il volume della capsula che era molto piccola. La messinscena necessitava racconti complici e inventati. Dovevano legittimare il sequestro ed eliminarono Guadix dicendo che il pericoloso montonero si era suicidato. Il gendarme a carico, l'ufficiale dell’intelligence Olari si è perso nella menzogna dinnanzi alla Corte durante questo processo dimostrando il livello di menzogna “seppe dei montoneros dai giornali”. Paso de los Libres era una città che rientrava nell’operativo che la dittatura chiamava "murciélago" (pipistrello), avevano un ufficio di intelligence proprio sul posto. Le dichiarazioni di Olari furono scandalose e meritano a oggi un'imputazione diretta almeno per l'omicidio di Guadix.


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Olari mentre rende falsa testimonianza


Miguel Ángel de Lillio e María Haydee Millovara de Lillio
Al di là del falso suicidio di Guadix, l'operativo ‘murciélago’ funzionò con efficacia e controllava tutti i sequestri lungo le frontiere. "L'operativo murciélago, continua a avere successo, essendo riuscito a neutralizzare la struttura di stampa che i montonero avevano introdotto nel paese per sostenere la loro manovra politica" dice uno dei rapporti declassificati dell'esercito. Questo "efficace" lavoro si completava con la partecipazione necessaria e complice dei mezzi di comunicazione, l'apparato giudiziale e gli uffici di intelligence all'esterno che tentavano di dare credibilità a questa forzata versione della storia. Il fratello di Alfredo (Tono), per esempio riceveva lettere dal Brasile firmate da lui. Mentre erano detenuti li facevano scrivere lettere dicendo “che stavano bene in un altro paese e che più avanti li avrebbero chiamati". Un caso come tanti che dimostra lo spiegamento dell'apparato psicologico per frenare denunce.


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Documenti dell'operativo murciélago (pipistrello) presentati


Oltre alla neutralizzazione della tipografia, integranti del gruppo stampa come Liliana Inés Goldenberg e il suo compagno Eduardo Escabosa, insieme a tanti altri, furono catturati mentre attraversavano la frontiera. Il rapporto fa uso di un lessico strano: il termine usato è "autoeliminazione". Si presume che si erano suicidati, ma è chiaro che furono assassinati posteriormente. Così si evince da un rapporto dell'intelligence degli USA "memorandum 21 agosto 1980: i due montoneros che si sono suicidati nella frontiera argentina erano stati inviati per tentare di sapere cosa era accaduto agli altri dodici del gruppo stampa". È ovvia la conclusione che non morirono nella frontiera, li portarono a Campo de Mayo per produrre più informazione sotto tortura.
A Giugno del 1980 furono rapiti Miguel Ángel e Haydee. Così figura nel comunicato che l'esercito invia dalla prefettura 2, alla prefettura navale. Coincide anche con le relazioni che Basterra era riuscito a declassificare mentre era in cattività, dove figurano i veri nomi e le date di sequestro. Durante il sequestro di Nora Hilb le avevano chiesto se era "manzanita" il che significa che stavano cercandoli da prima, seguendo gli indizi del gruppo stampa come segugi affamati.
Miguel Ángel e Haydee entrarono nel paese tra Aprile e Giugno del 1980 dal loro esilio in Messico. Questa data coincide quando i suoi due figli furono portati dai loro nonni a Dicembre del 1980. "Erano 5 o 6 mesi che li avevano con loro" dissero i repressori quando glieli portarono facendosi passare per amici di "Nariz" e "Manzanita". Loro erano stati come il resto del gruppo di stampa a Campo de Mayo. Marcos uno dei suoi figli raccontò ai suoi famigliari che aveva visto a sua mamma che era stata picchiata forte. Suo figlio fu testimone del tormento dei suoi genitori ed inoltre parlava a suo zio di aeroplani e camion verdi. Nessuno può negare che quello che vissero i bambini è già una tortura in qualunque punto del pianeta. Anche per questo devono essere giudicati i genocida. A dicembre di quell'anno, i bambini furono portati via da quel posto come se fossero dei pacchi. Lasciati con valigie e giocattoli con la classica bugia "che erano andati in Spagna e che loro in realtà erano dei vicini", mentre invece erano parte della stessa ‘patota’ che aveva sequestrato e torturato i loro genitori.

Il diritto alla resistenza
L'intelligence in quegli anni finali della dittatura iniziava a essere sotto pressione a causa delle crescenti denunce a loro carico e quindi era preoccupata per la sua immagine all’estero e la visita della commissione internazionale dei Diritti Umani. Tutto il loro sforzo nel cercare di continuare ad operare allo stesso modo, si stava sgretolando insieme a una fantasia psicotica che erano sul giusto cammino che Dio, la patria e il dovere gli indicavano di seguire.
Non c'è dubbio che la contraofensiva montoneros esponendosi al fronte della battaglia con le scarse risorse a disposizione e la forza di volontà dei suoi militanti, ha contribuito al processo di tracollo di una tirannia sempre più insostenibile.
Dei 9 imputati iniziali, tre sono deceduti mentre il processo era in corso: Raúl Muñoz, Carlos Casuccio e Alberto Sotomayor. Rimangono in 6: Jorge Apa, Roberto Dambrosi, Eduardo Ascheri, Jorge Bano, Luis Firpo e Marcelo Cinto Courteaux, sono i nomi sotto processo per i crimini associati al battaglione di intelligence 601 e 202. In questo processo sono passati decine di testimoni per dichiarare riguardo oltre 90 vittime di tormenti, privazione illegale della libertà ed omicidi. Queste accuse sono una minoranza in confronto alle migliaia di reati legati all'intelligence della dittatura genocida. Motivo per cui il valore apportato per la ricostruzione di ognuna di quelle storie, deve acquisire ancora più significato per permetterci di vedere quei volti sul banco degli imputati.


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I posti a sedere del tribunale con le foto delle vittime


Dedicato a tutte le vittime e sopravvissuti che hanno dato la loro vita, per evitare il destino di disuguaglianza e sfruttamento che oggi ancora stiamo soffrendo.
Il loro impegno e sacrificio non saranno in vano.
NUNCA MÁS ES NUNCA MÁS!

Riferimenti:

*1 - juiciocontraofensiva.blogspot.com

*2Trascrizione dell’esposizione del magistrato Sosti

*3 - laretaguardia.com.ar

*4 - juiciocontraofensiva.blogspot.com



Foto di copertina: udienza con foto con i repressori (prima del Covid)

Foto 2:  Sosti

Foto 3, 4, 5: Aixa Bona, Dolores (figlia) e Olari (repressore)

Foto 6: Documenti presentati operativo murciélago

Foto 7: Posti a sedere con le foto

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