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Un bisogno urgente del popolo argentino

Intervista a Carlos Lordkipanidse, referente dell'Incontro Militante Cachito Fukman

Giovedì 3 dicembre sarà presentata in sede di governo la petizione per chiedere l'apertura degli archivi della dittatura. La volontà popolare ha ora la responsabilità storica di indicare allo Stato il percorso da seguire. Questa petizione raccoglie le firme delle più importanti personalità argentine ed è in qualche modo una sfida al potere. Dopo aver vissuto il terrorismo di Stato, i diversi governi che si sono succeduti hanno girato in tondo, alternandosi in quella che oggi è una deriva collettiva. In questo contesto, coloro che hanno spinto per la ricerca della verità, della memoria e della giustizia sono stati i sopravvissuti stessi e le famiglie delle persone scomparse, con pochissimo sostegno da parte delle istituzioni statali. Le dichiarazioni di Alberto Fernandez poco dopo il suo mandato (febbraio 2020) sul "voltare pagina" rispetto alla storia sono state offensive e hanno sancito l'impunità dell'apparato ideologico repressivo, ancora in vigore nelle strutture formali e clandestine del potere. Pertanto, questa richiesta potrebbe segnare una svolta per riconoscere chi sta da una parte e chi dall'altra.
Per capire a fondo l'importanza di cosa sono gli archivi, del perché debbano essere aperti e chi è coinvolto, abbiamo parlato con Carlos "Sueco" Lordkipanidse, un sopravvissuto dell'ESMA e ora punto di riferimento del "Cachito Fukman Militant Meeting", che sta guidando questa campagna.
CL - "Per avere una visione più o meno chiara della situazione, quello che posso dirvi è che ci sono 600 genocida condannati dai processi che si sono svolti in tutto il paese. Se si considerano i 600 centri clandestini che esistevano nel paese, risulta un repressore per centro clandestino, il che sarebbe assolutamente assurdo perché è chiaro che questi centri non possono funzionare con una sola persona. Quindi, aprire gli archivi ci permetterà di conoscere il funzionamento dei centri di detenzione clandestina, di sapere chi erano i repressori che vi agivano e, soprattutto, chi erano i ‘compagni’ che passavano attraverso quei centri clandestini.
I processi che si sono svolti finora hanno dimostrato che tutte le informazioni fornite ai casi provenivano sempre dalle vittime e dai sopravvissuti. Cioè i parenti o le persone che erano presenti nel momento in cui le vittime furono portate via e i sopravvissuti dei centri di detenzione clandestina, che le videro all'interno dei campi di concentramento. Un sopravvissuto ha pochissime possibilità di identificare chi sia ognuno dei repressori. Eppure in quarant'anni di 'spremitura' della memoria, come diciamo noi, siamo riusciti a identificare moltissimi repressori, che fanno parte, appunto, dei 600 che sono stati condannati.
Quindi, quando chiediamo l'apertura degli archivi, quello che vogliamo è avere accesso a tutte le informazioni su quanto è accaduto negli anni dal '74 all'83, in modo da riuscire, prima di tutto, a far sedere sul banco degli imputati tutti coloro che meritano di starci; e in secondo luogo, per dare un po’ di serenità e di certezza ai parenti di tutte le vittime ancora non identificate, di cui non si sa nemmeno in quale centro di detenzione clandestina fossero detenuti.
Cito come esempio un elemento: le famiglie che si sono appropriate di bambini durante la dittatura ne hanno adottato alcuni legalmente (si calcola che 300 sono ancora da identificare). Quelli che all'epoca erano bambini avranno dovuto iscriversi a qualche scuola materna, a qualche scuola elementare, a qualche liceo e così via. Per farlo c'era bisogno di tutta la documentazione che non può essere apocrifa, cioè devono averli registrati a qualche anagrafe dove avranno ricevuto un numero di matricola, un nome e un cognome falsi, che sono quelli della famiglia che se ne appropriava. Tutto molto semplice. Lo Stato è responsabile perché lo Stato sa.


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Dopo la dittatura, l'identità e la posizione di ogni bambino sono state trasmesse a tutti i governi. Lo Stato non ha mai fornito informazioni che permettano di identificare i bambini, di capire di chi erano figli e quale famiglia si era appropriata di loro.. È sempre stato il lavoro meticoloso svolto dalle nonne a permettere di decifrare i casi risolti fino ad ora. Questo è ciò che intendiamo quando diciamo di voler aprire tutti gli archivi".
Ci sono molti esempi che possono essere citati per comprendere la necessità di una declassificazione dei documenti. Carlos Lordkipanidse cita il lavoro dettagliato svolto di recente insieme ai suoi colleghi con Google Earth, per identificare i centri clandestini che sono stati poi presentati come elementi di prova in diverse cause legali. Grazie alla CONADEP (Commissione Nazionale sui Desaparecidos) dal 1984 è stato possibile ricostruire quel periodo solo sulla base delle testimonianze dei sopravvissuti, senza alcun contributo da parte dello Stato che esigesse dichiarazioni, ad esempio, da parte di membri delle forze armate. Il caso del generale Milani è emblematico anche perché non è mai emerso alcun fascicolo di Stato, né un controllo di chi fosse veramente. Al contrario, è stato promosso nel 2013 durante il governo di Cristina Kirchner.
È stato il lavoro solitario e instancabile della madre del soldato Ledo a permettere di smascherare la sua partecipazione ai ‘grupos de tareas’ (militari in borghese) impegnati nell’Operazione Indipendenza nella provincia di Tucumán. Altrettanto scandalosa è la comparsa un mese fa nell'Ex-Side (ex-Segreteria dell'Intelligence di Stato), ora AFI (Federal Intelligence Agency), di un dossier in un armadio del battaglione di intelligence 601° con foto e informazioni su 500 persone ricercate dalla dittatura. L'aspetto più oltraggioso di tutta la vicenda è che questo ufficio si trova a pochi metri dalla Casa Rosada (Sede del governo argentino ndr.) e tutte queste informazioni sono rimaste nascoste per più di 40 anni.
CL - "Quello che vogliamo sottolineare è che l'impunità di ieri genera l'impunità di oggi. Tutto ciò che accade oggi e rimane impunito è il prodotto di un sistema di impunità generatosi fin dai tempi della dittatura, dove tutti questi fatti si sono persi nel nulla o in processi eterni dove alla fine magari viene condannato un uomo, ma essendo ultrasettantenne viene rispedito a casa. Vogliamo porre fine a tutto questo, vogliamo portare pace e tranquillità alle famiglie che stanno ancora aspettando che qualcuno suoni il campanello o chiami al telefono per dare loro qualche notizia sul loro bambino desaparecido. È per questo motivo che stiamo portando avanti questa campagna, a partire dall'Incontro a Cachito Fukman e con il sostegno del ‘Encuentro Memoria Verdad y Justicia e delle Madri Mirtha Baravalle, Elia Espen, Nora Cortiñas, Elsa e altre, affinché questo 3 dicembre, quando si celebrerà il 40° anniversario della Marcia della Resistenza, si possa portare alla sede del governo la petizione per l'apertura degli archivi.
Il numero totale di firme raccolte finora è di oltre 6.000 e sono oltre 200 le organizzazioni coinvolte a livello nazionale e internazionale. Chiediamo che questo governo, come già abbiamo chiesto a tutti i governi precedenti, apra gli archivi. () È importante che questa campagna sia sostenuta da tutta la società e soprattutto dalle nuove generazioni. Noi, e quando mi riferisco a noi intendo le madri, le nostre nonne, i sopravvissuti, stiamo invecchiando. Due settimane fa è scomparso Victor Basterra, un eroe nazionale, che ha tirato fuori le foto dei repressori dell'ESMA nascoste nel suo corpo e ha reso possibile l'identificazione di oltre 60 di loro. Immaginate che se la memoria finisce, l'impunità rimane. È necessario che i giovani si occupino di questi temi, che conoscano i fatti, affinché non cadano nell'oblio".
logo apertura de todos los archiviosLa battaglia per una giustizia piena che possa risanare definitivamente la ferita lasciata dai crimini commessi dalla follia disumana, criminale e genocida della dittatura deve essere una conquista del popolo. In ogni fase i diversi governi hanno agito con grande irresponsabilità e codardia morale. Negli anni '80 furono emanate le leggi di Alfonsín ‘Obbedienza Dovuta’ e ‘Punto Finale’ (legge che fissava un termine di 60 giorni oltre il quale non sarebbero state più ammesse denunce per violazione dei diritti umani). Ci vollero molti anni di lotta per farle abrogare. Sono sempre stati i sopravvissuti e i familiari ad essere esposti, indifesi dallo Stato. Il caso di Julio Lopez (2006) è un altro esempio dell'inettitudine e della complicità dei governi con l'apparato ideologico del genocidio, perché è scomparso nel bel mezzo della testimonianza di un processo contro i suoi torturatori. È tempo di dare un valore definitivo a coloro che sono i nostri eroi, perché non solo hanno sopportato i tormenti più atroci, ma li hanno superati dando prova di un coraggio inestimabile, per essere oggi in prima linea su questa strada.
Di sicuro stiamo vivendo un periodo di cambio generazionale in cui ci sono personalità uniche e irripetibili, che si distinguono per la loro enorme capacità e dignità umana. Ognuno di loro è assolutamente insostituibile. Ma è anche vero che il seme che loro stessi hanno lasciato è già seminato e sarà presto pronto a prendere il testimone in questa battaglia. Il sacrificio delle vittime del terrorismo di Stato non sarà vano.
Sono 30.000!
No all'oblio né al perdono!
Nunca más vuol dire nunca más!

Foto:

1) Lordkipanidse

2) unidiversidad.com.ar

3) Afiche de campaña (Lordkipanidse junto a Nora Cortiñas)

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