Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

L'Argentina è un paese che si sta spopolando. L’oligarchia ha sfruttato i suoi commerci agrari negando ogni possibilità di sviluppo. Non è facile comprendere subito una situazione così perché può sembrare che si tratti di problemi diversi ma non si può cadere nell’errore di mettere in discussione solo il modello di sviluppo senza considerare anche la classe dominante. L’avarizia negli affari si intreccia con il sangue dei lavoratori, operai rurali o aborigeni, come condizione obbligatoria. Possiamo affermare che l'ambizione economica aumenta matematicamente con la capacità di disprezzare il simile e sottometterlo. Il modello di sviluppo agrario oggi si è evoluto anche tecnologicamente. La classe dei proprietari terrieri, che prima si occupavano dell’allevamento dei bovini, ha lasciato il posto alla produzione di soia. Una produzione ancora più potente e distruttiva. Possiamo affermare con certezza che tutti noi argentini abbiamo il sangue inquinato dai prodotti chimici e dalle sostanze nocive che derivano dagli incendi dei campi. Negli ultimi anni sono state costanti le grandi marce di protesta contro il modello agro-esportatore argentino per denunciare i danni che questo sistema sta infliggendo al popolo.
Quaranta anni fa questa stessa logica fu messa in discussione dai giovani di allora che formarono per questo delle leghe agrarie costituite da contadini del movimento montoneros. Lo scopo della loro protesta rappresentava un punto di rottura per evitare un destino di morte che oggi il popolo argentino rischia e vive. Il modello attuale della produzione di soia non si sarebbe mai potuto sviluppare, infatti, in una comunità organizzata che ha come fine il benessere di tutti i suoi membri. Per questa ragione, come detto prima, il modello di sviluppo e la classe dominante che lo sostiene vanno analizzati insieme e oggi i frutti marci di questo fitto intreccio sono visibili e chiari a tutti. Oggi abbiamo migliaia di persone emarginate che lottano per la sopravvivenza nelle periferie e, come contropartita, le campagne si spopolano, i contadini lasciano i campi e il suolo diventa sempre più povero con una conseguente perdita irrecuperabile della biodiversità.
Lo scorso 29 ottobre il Pubblico Ministero Sosti, nella sua arringa di accusa contro nove gerarchi militari della struttura di intelligence della dittatura genocida, ha espresso nel dettaglio il processo di eliminazione delle leghe dei contadini che si erano formate quaranta anni fa. Quanto riportiamo di seguito è basato sulla ricostruzione dei fatti accaduti proprio nel periodo che va tra il 1979 e il 1980. Si tratta dei crimini oggetto dell’attuale processo denominato "contraofensiva” (controffensiva). Se fossimo al cinema, questo sarebbe uno di quei film che avviserebbe da subito lo spettatore della storia che si tratta di orribili fatti realmente accaduti nell’ambito della inqualificabile dittatura argentina e si chioserebbe ulteriormente avvisando fin da subito che in questa narrazione la realtà supera di gran lunga la finzione. Con questa premessa, iniziamo ad addentrarci in questo episodio della storia argentina ancora taciuto, con la speranza che un giorno sarà affrontato come popolo, discusso e superato dalla radice stessa della storia.

Le leghe contadine
La prefettura 2 dell'esercito ricavava informazioni torturando in modo disumano chi arrestava, per cui sapeva perfettamente che la parte contadina del movimento peronista montoneros continuava a operare e a reclutare membri. 1Le zone rurali del nordest richiamavano un ampio settore del peronismo che aveva la possibilità di operare politicamente. Il ramo agrario del movimento era la garanzia che avevano i piccoli produttori della regione. La chiesa terzomondista gioca anche lei un ruolo fondamentale in questa storia perché avallava il progetto. L'omelia domenicale veniva trasmessa in radio ed era la voce di chi non aveva voce. Tutti la ascoltavano perché in quel momento descriveva la realtà della situazione che si viveva e venivano così denunciate in modo chiaro le ingiustizie.
Quando iniziarono le persecuzioni e gli arresti, quel settore della chiesa diventò un luogo di protezione che dava rifugio ai dirigenti della lega perseguitati, intercedendo anche davanti ai militari per evitare le torture e le sparizioni. E cosi anche alcuni membri dell’ala terzomondista dell’istituzione cattolica pagarono con la vita. Il corpo sociale di quell'istituzione si spaccò moralmente tra gruppi che presentavano posizioni opposte.
Dagli anni ’60 Juan Carlos Ongania, che poi con un colpo di stato assunse la presidenza argentina e fu dittatore dal 1966 al 1970, già faceva pressione sui contadini con i suoi protocolli di economia liberista, provocando fame e miseria, predando così molto a chi già aveva poco per darlo a quei pochi che già avevano molto. In quel periodo la commercializzazione delle materie prime veniva gestita da monopoli che iniziarono a mettere sotto pressione i produttori. Fu così che gli stessi monopoli iniziarono a fissare prezzi a loro piacimento e ad abbassare il valore del lavoro dei contadini. Ma in quel periodo, agli inizi degli anni ’70, la gente si rese conto che doveva rimanere nei campi per occuparsi delle terre che aveva. E cosi venne capovolto il tipico processo migratorio che vedeva i campesinos migrare dalle campagne alle città per ovviare alla crisi economica. Tra il 1970 e il 1971 si raddoppiò la quantità di soci nelle cooperative e iniziò un processo virtuoso di industrializzazione con nuove attività che emergevano come oleifici, industrie di cotone, industrie tessili, mulini, centrali idroelettriche e si assistette ad una modernizzazione delle fabbriche. La Ocal era un fronte che raggruppava oltre 24 cooperative che, prima del colpo di stato, erano riuscite a passare dal 20% all’80% dell’elaborazione del cotone prodotto nel paese.
Le leghe dei contadini erano un ostacolo al modello di paese che la dittatura si proponeva di riorganizzare. Bisognava quindi togliergli il potere per metterlo nelle mani delle corporazioni appartenenti agli stranieri che erano legate alle oligarchie locali. Nell’area del Chaco erano già tre le generazioni di contadini che dalle campagne migravano nelle città. Le leghe contadine cercavano di resistere al ladrocinio delle potenti oligarchie. Per fiaccare il movimento, da un giorno all’altro però le leghe divennero per il governo il nemico principale da abbattere.
L'esercito non aveva intenzione di fermarsi e nemmeno di smettere di torturare ed uccidere i componenti delle leghe. L’obiettivo era togliere loro le terre e fare in modo che le ricchezze rimanessero nelle mani degli istigatori del genocidio. Bunge e Born, Alpargatas, Dreyfus, Anderson & Clayton possedevano le infrastrutture e in quel momento avevano anche a disposizione l'apparato genocida. Le operazioni di abbattimento delle leghe contadine iniziarono con una serie di azioni psicologiche che dipingevano i dirigenti del movimento come terroristi sovversivi e strumenti del comunismo internazionale, che voleva prendere il potere in argentina. Vennero arrestate 2.000 persone delle leghe e centinaia furono torturate con violenze fisiche, pungoli elettrici. Molti di loro risultano ancora dispersi. I capi venivano uccisi a calci nelle stazioni di polizia davanti ai contadini per intimidirli. Gli autori di queste azioni di annichilimento del mondo agricolo entravano nelle case con delle camionette, arrestavano i proprietari, demolivano le abitazioni, buttavano il cibo, picchiavano le famiglie e portavano via uno dei membri della famiglia per torturarlo ed estorcergli informazioni. Infine, si appropriavano anche dei loro macchinari. Si calcola che in totale sono stati più di 3.000 i trattori rubati ai contadini.
Molti si videro obbligati a passare alla clandestinità in condizioni provanti ed estreme, rifugiandosi sui monti e tra i canneti. Riuscirono a sopravvivere grazie all'appoggio dei contadini della zona che portavano loro del cibo. Ma la persecuzione da parte dell’esercito fu brutale. Si trattò di una vera e propria battuta di caccia senza limiti. Nel momento in cui si doveva dare un nome a questa terribile operazione, si decise di nominarla “Operazione Toba". Il dispiegamento di forze era imponente: elicotteri, camion, unimog e oltre 2.000 militari vennero utilizzati per ricercare i contadini che si nascondevano sulle montagne. Spesso si assisteva a giovani che correvano a rifugiarsi con i loro figli in spalla, filtrando l'acqua da bere per sopravvivere senza ammalarsi, dormendo esposti all'intemperie e comunicando tra loro con messaggi in codice nascosti negli alberi. L'esercito faceva razzie durante le operazioni di controllo della popolazione. Le sedi comunali fungevano da prigioni sotterranee, che si riempivano di persone rapite e di grida di torture. L'Operazione Toba sembrava riportare alle immagini della guerra del Vietnam. Chi si nascondeva tra i monti doveva fare attenzione a non avere o fare niente che potesse richiamare l'attenzione dell’esercito. Non poteva lasciare sui sentieri pacchetti di sigarette o borse o tenere delle lattine che potessero brillare al sole e renderli riconoscibili.
Il generale Cristino Nicolaides era alla guida di questi gruppi operativi dell’esercito, in quanto responsabile della zona 2. In seguito divenne capo maggiore di istituti militari, rendendosi responsabile anche delle morti dei militanti che entravano nel paese nel ‘79 per la controffensiva lanciata dai montoneros. Questo ci fa comprendere che Cristino Nicolaides conosceva molto bene la situazione.
Alcuni contadini riuscirono a rimanere in clandestinità anche tre anni sui monti, acutizzando i loro sensi e sviluppando strategie di difesa. Le armi di cui erano dotati erano di uso civile ed erano quelle che avevano per difendersi dagli animali perché il loro obiettivo non era aggredire i militari. Il fine dell’Operazione Toba era invece quello di assediare i contadini, isolarli, privarli dei loro mezzi di sopravvivenza per farli uscire allo scoperto e ucciderli come si fa con un trofeo di caccia. A metà del 1978 la situazione era divenuta difficilissima e le possibilità di vita sui monti diminuiva sempre si più.
Con la controffensiva, i pochi che erano riusciti ad espatriare e scappare esiliati in Europa, ritornarono per continuare a lavorare con quello che rimaneva delle cooperative. La centrale dell’intelligence 601 identificava i membri delle leghe agrarie fin dal loro ingresso nel paese e molti venivano intercettati quando passavano le frontiere con un dispositivo denominato ‘operativo pipistrello’. Sono le stesse forze repressive che raccontano nei loro documenti quale era lo scopo delle torture e degli omicidi nei confronti degli uomini che perseguitavano. “Si è verificato che questi soggetti hanno avuto contatti con sacerdoti e suore e che hanno approfittato di situazioni conflittuali per introdurre personale nella zona rurale, all’interno del Chaco 3DT, Resistenza Chaco 2DT, nord di Santa Fé 2DT e all’interno di Santa Fé 4 DT", precisiamo che "DT" significava "delinquenti terroristi". Questo è quello che si legge dei documenti redatti dall’esercito.

Carlos Servando Píccoli
Ad Aprile del 1979 un gruppo dell’esercito uccise nel Chaco Carlos Servando Píccoli (in foto a sinistra) che quel giorno stava andando in bicicletta.2 Lui era dirigente delle leghe contadine ed era stato segnalato dai suoi assassini, come si legge nella relazione del ‘grupo de tareas 2’ che cosi riportò l’omicidio dell’uomo usando il termine ‘liquidato’ nei documenti. Carlos Servando Píccoli nel 1973 si recò a Buenos Aires per parlare con Perón con il fine di accelerare le procedure di esportazione per tutto ciò che producevano le cooperative del Chaco. La morte di Perón lo espose ancora di più alle persecuzioni e nel 1975 era già ricercato dall’esercito, lui però era determinato a lottare perché non sparissero le cooperative.
Ad ottobre del ‘76 Carlos era di nuovo sui monti, mentre la campagna psicologica della dittatura diffondeva comunicati con il suo nome insieme a quello di altri militanti contadini. I militari invitavano la popolazione a denunciarlo come "pericoloso sovversivo". A Sáenz Peña le pareti erano tappezzate di scritte che raccomandavano la sua cattura e sollecitavano i contadini a non coprire i sovversivi e a denunciarli. Il regolamento delle operazioni di pressione psicologica che furono portate avanti dimostra che la campagna era orchestrata dalle alte sfere politiche ed economiche e non veniva dal basso. La madre e i fratelli di Carlos cominciarono ad essere costantemente assediati. Venivano portati di continuo in commissariato e minacciati di ammazzare i loro figli se non dicevano dove era Carlos. Per questo motivo una parte della sua famiglia abbandonò il Chaco.
Mario Píccoli era il fratello minore di Carlos ed aveva appena 14 anni. Diceva che la cosa più impressionante era il rumore dell'elicottero dell'esercito quando scendeva nel cortile della sua casa, munito di terrificanti armi. A ciò si aggiungevano le segnalazioni affisse sui muri del quartiere che ribadivano la pericolosità dei contadini clandestini. Mario lo ricorda come uno stigma per la famiglia. Gli altri fratelli di Carlos non volevano che il loro padre venisse in paese per non trovarsi ad affrontare una simile campagna diffamatoria. Purtroppo un giorno l’uomo, recatosi in paese, trovò l'immagine di suo figlio ricercato che tappezzava i muri della cittadina. Non riuscì a sopportarlo e, per tale ragione, si suicidò. Nonostante questo tragico episodio, le torture psicologiche continuarono. L’elicottero dei militari continuava a scendere sulla loro casa, l’esercito rinchiudeva i membri della famiglia in stanze separate e li interrogava. Con questa modalità operativa i dittatori intendevano riorganizzare la nazione. Era costante la presenza di veicoli non identificati e di persone che passavano davanti casa di Carlos o che si nascondevano li per tenere i familiari di Carlos in un continuo stato di ansia e terrorizzarli.
A febbraio del 1978 Carlos scappò dai monti per recarsi in Francia, da dove inviava lettere alla sua famiglia. Stette anche in Spagna e in Messico prima di rientrare nel paese. I suoi compagni ricordano la sorpresa quando un Natale iniziò a nevicare e Carlos, abituato ai 45 gradi che solitamente si avevano in quel periodo dell’anno durante la sua latitanza nei monti, non riuscì a resistere ed uscì a giocare con la neve. Già agli inizi del 1979 Píccoli incominciò a riarmare le leghe, prima da Buenos Aires e successivamente di nuovo dal Chaco.
Il 21 aprile Carlos andò a visitare suo cugino Guglielmo a casa. Era di passaggio perché poi voleva andare anche da sua madre. Cenò dal cugino e a mezzanotte ripartì. Un sibilo spezzò il silenzio. I contadini del luogo che conoscevano tutti i suoni del posto non lo avevano mai sentito, ma sapevano che era un monito che preannunciava la morte di Carlos. Le vedette, appostate lungo il tragitto, seguivano il bersaglio. I servizi di spionaggio della dittatura lo pedinavano e la polizia del Chaco aveva ricevuto istruzioni. Gli tessero un’imboscata mentre Carlos era in sella alla sua bicicletta. Lo colpirono con un fucile (FAL) ed una mitragliatrice (P3). L’ordine di morte era partito, come tutti gli altri, dalla prefettura 2 dell’intelligence, ossia dai vertici, oggi imputati in questa causa. Erano le una del mattino di venerdì Santo.
Furono impiegati oltre 500 militari per la veglia funebre. Il corpo di Carlos finì nell'obitorio di Resistencia gonfio, infangato, sfigurato, con colpi di proiettile sul corpo e sul volto. La famiglia cercò di portarlo via ma non gli venne permesso. Fu vegliato per nove notti. L'obiettivo era quello di terrorizzare la popolazione lasciando in mostra quel corpo torturato, ma lo scopo era anche di cercare di catturare qualche militante leale che si avvicinasse al corpo di Carlos per l’ultimo saluto. C'erano poliziotti appostati sui tetti e lungo i sentieri. Alla fine Píccoli venne seppellito solo quando il corpo era ormai in un avanzato stato di decomposizione. Impossibile immaginare qualcosa di più disumano e bestiale. I quotidiani pubblicarono questo titolo: "E’ caduto il delinquente terrorista Carlos Píccoli in uno scontro". I colpi in testa lo trapassarono dalla parte anteriore a quella posteriore, a dimostrazione che Carlos non aveva avuto alcuna possibilità di difendersi. L'informativa di quanto accaduto arrivò perfino negli uffici del dipartimento di difesa americano attraverso un documento che riportava la menzognera versione ufficiale dei fatti e che recitava cosi: "Il 13 Settembre 1979… un uomo è stato fermato al posto di blocco in strada. Aveva una cassetta contenente un messaggio dal leader montonero Firmenich che le guardie hanno ascoltato”.

La caduta delle leghe
La mentalità atrofizzata di chi aveva usurpato il potere raccontò il conflitto come fosse una guerra immaginaria contro un esercito nascosto nei campi, finanziato dal blocco sovietico cubano. L'assassinio di Carlos Píccoli fu una dimostrazione dell'accanimento e delle atrocità che la dittatura argentina perpetrava contro un piccolo gruppo di contadini sparsi sui monti. Si trattava di uno spiegamento tanto massivo quanto codardo, posto in essere contro un gruppo di ventenni che sognavano un mondo più giusto e rivendicavano i loro diritti.
Dopo Carlos, fu la volta del suo migliore amico e compagno di militanza Amando Molina, soprannominato "Lagarto". Aveva 29 anni quando scomparve insieme a sua moglie Raquel detta "Cata" di 21 anni. Avevano militato insieme ai sacerdoti terzomondisti e lei andò a lavorare con i gruppi di azione cattolica per aiutare i Wichis e gli spaccalegna del Quebracho, ancora oggi sfruttati dai proprietari terrieri che continuano a pagare alla giornata con dei buoni pasto, quando lo fanno. Fu cosi che si incontrarono e si sposarono senza esitazione ma, poco tempo dopo, Molina dovette rifugiarsi come clandestino sui monti. Il giovane rimase sempre vicino a Carlos Píccoli e i due riuscirono a fuggire insieme, andarono in esilio in Spagna e decisero di ritornare per la controffensiva. Quando Armando Molina venne a sapere dell'assassinio del suo amico, capì immediatamente che lui sarebbe stato la prossima vittima. Il primo giugno del 1979 lo sequestrarono insieme a sua moglie e a suo figlio a Buenos Aires. Successivamente li portarono, cadaveri, a Campo de Mayo.
Sotto tortura lo obbligarono a chiamare Lovey, primo segretario delle leghe che si trovava in Spagna, per organizzare un incontro. Gli fecero dire che aveva perso i documenti e i soldi e che, quindi, era impossibilitato a viaggiare. Era così inverosimile che Lovey si rese immediatamente conto della una trappola. Fissarono una data ad Asuncion in Paraguay, dove l'esercito argentino si muoveva come a casa sua attraverso il dispositivo continentale del piano Condor. E li misero in atto l'operazione per catturare la loro preda. Ovviamente Lovey non si presentò alla trappola. Mandò un altro compagno che cercò di parlare con Armando ma non glielo permisero. Dopo quell'episodio non si seppe più nulla di Molina per cui possiamo dedurre la sua fine.
Lo stesso giorno del sequestro di Armando e di Raquel suonarono al campanello a casa della sorella a Buenos Aires. Lei stava per andare a dormire ma sentì un bambino piangere, aprì la porta ed era Martin, il piccolo figlio di Armando e Raquel che entrò correndo. Quando gli chiesero cosa fosse accaduto, raccontò che i suoi genitori erano entrati in macchina con alcuni signori. Il piccolo aveva tre anni. Lo lasciarono con una borsa di giocattoli e i suoi vestiti. Sua mamma Raquel aveva dato loro sicuramente l’indirizzo della sorella per salvare il bambino. I corpi dei due militanti, così come la maggior parte delle persone che passarono da Campo de Mayo, non sono ancora stati ritrovati.

La storia di Arturo Fidel Dean e della sua compagna
Venivano intercettati uno ad uno, nelle frontiere di entrata grazie all'operazione ‘murciélago’ e poi catturati sui monti dove si spostavano per svolgere qualche compito o a Buenos Aires ad esempio. 3Questo è il caso di Arturo Fidel Dean detto "Tono". Lui era un seminarista, militante dell'azione cattolica che successivamente divenne dirigente delle leghe contadine di Santa Fe. Perseguitato ferocemente dalla dittatura, Arturo scappò con María, la sua compagna. Insieme cercarono di resistere tra i monti e i canneti. Distesa tra le canne, la giovane Maria partorì suo figlio in condizioni estreme di sopravvivenza, con una temperatura media di 40º gradi e le zanzare. Per bere cercavano l’acqua degli stagni dove si abbeveravano le mucche o bevevano direttamente l’acqua piovana. Riuscirono a superare le avversità grazie alla ferrea convinzione che presto sarebbe arrivata la libertà per il popolo argentino. Quella speranza li tenne in vita. Erano disposti a resistere a tutto per vedere la fine di quella dittatura che fu la più omicida di tutte.
L'esercito compiva razzie per chilometri tra i canneti distruggendo tutto ciò che incontrava e sequestrando qualsiasi cosa che potesse essere di aiuto ai contadini ribelli.
Arturo e Maria si fermavano spesso in conventi religiosi o nelle case di compagni militanti che avevano il coraggio di rischiare per loro. Un anno e mezzo dopo, a maggio del 1980 si recarono a Buenos Aires dove, dopo poco, sarebbero stati sequestrati. Il rapporto sulla loro cattura racconta che erano stati intercettati mentre andavano in Brasile, all'incrocio del passaggio del Paso de los Libres (il triangolo delle Bermuda dell’operazione murciélago). Probabilmente il compito di Arturo era legato alla chiesa. Possiamo pensare che si trovasse nella capitale argentina insieme al sacerdote Padre Adur per raccogliere denunce da presentare al Papa che sarebbe andato in Brasile in quei giorni. Anche il sacerdote menzionato fu rapito giorni dopo nello stesso posto per le stesse ragioni di Arturo.
La costanza con cui venivano eseguiti i sequestri dei contadini delle leghe agrarie emerge anche dai rapporti dell’intelligence. Dai verbali degli interrogatori, che avvenivano sotto tortura, si fa riferimento anche alla chiesa e al suo legame con i contadini: "A partire dal sequestro di un delinquente terrorista a cui furono sottratti alcuni volantini che doveva distribuire nelle zone contadine e nelle chiese del Chaco per contribuire alla presa di coscienza dei contadini riguardo i loro diritti ed i rischi di una politica avversa ai loro interessi". Oppure si legge anche: "Fu fermato uscendo dal paese per mettersi in contatto con altri membri della banda all'esterno". I volantini sequestrati e che tanto irritavano le menti dei brutali esecutori militari riportavano dei concetti elementari e giusti come, si legge: "Lottare per un prezzo maggiore dei raccolti, moratorie bancarie, maggiori crediti, libertà sindacale per creare mobilitazioni e azioni di informazione". Il lavoro di sintesi dei rapporti dell'esercito concludeva così: "La situazione conflittuale nelle campagne ha portato le bande criminali di terroristi ad entrare per stabilire contatti, coordinare le attività e organizzare il movimento rurale". Era chiaro quindi per la dittatura che i suoi nemici, ossia i contadini delle leghe, non avevano come scopo la presa del potere con le armi.
Víctor Basterra, durante la fase dibattimentale di questo processo, disse che mentre era detenuto all'ESMA dal 1980 al 1983, parte del suo tempo lo passava falsificando documenti per i marinai. Nel 1983 rubò una chiave dell'ufficio dell’intelligence, sottrasse delle cartelle e scattò delle foto. Sviluppò tutto il materiale in modo artigianale. Le immagini recuperate includono un elenco con i nomi dei compagni delle leghe sequestrati a Campo de Mayo. In questi rapporti appariva il loro nome reale, quello fittizio e il posto dove venivano catturati ed una "L" o "T" a secondo se erano stati liberati o portati via (i cosiddetti voli della morte). Le "L" erano poche mentre le "T" costituivano la maggioranza. Grazie a questi importanti documenti, la direzione dell’intelligence della dittatura genocida deve rispondere oggi davanti alla giustizia e davanti a tutto il popolo argentino delle sparizioni di questi contadini.

La violenza come metodo affinché nulla cambi
Molti martiri hanno perso la loro vita nei campi perché desideravano che i terreni diventassero un luogo adatto allo sviluppo umano. 4Le leghe contadine, insieme ai movimenti cristiani che formavano dei leader, incoraggiavano le persone ad intervenire direttamente su un problema partito dal modello dell’esportazione della merce prodotta in agricoltura. Un modello in cui il contadino doveva produrre perché le aziende monopolistiche e i grandi commercianti potessero rilevare la produzione. Ad oggi nulla sembra essere cambiato.
“Costruisci la tua dignità e sii qualcuno in questo mondo, allevia il faticoso lavoro della raccolta del cotone, evita che la materia prima venga portata via, combatti affinché i contadini abbiano una vita migliore e siano valorizzati nella loro dimensione reale". Questi erano gli ideali che scandalizzavano i capi militari che usurpavano il potere per difendersi dai contadini armati di bastoni. Quando parliamo di terrorismo di stato dobbiamo capire anche a livello materiale di cosa si è trattato, definendo ogni atrocità che si è perpetuata ora dopo ora e metro per metro in modo sistematico in tutto il paese. La volontà di annientare il gruppo della lega dei contadini era chiaro ed è stato portato avanti dagli istituti militari argentini seguendo le disposizioni operative e logistiche dell'intelligence tattica del battaglione 601 e del quartier generale 2 nella catena di informazione e decisione.
Ritenendoli responsabili di tutti questi crimini riguardanti i compagni delle leghe contadine, in questo processo la Procura accusa Jorge Norberto Apa (Capo della divisione Intelligence Sovversiva Terrorista), Jorge Eligio Bano (Capodivisione Operazioni), Eduardo Ascheri (Capo piani di azione del Dto. Dell’intelligence), Marcelo Cinto Corteaux (Capo del Battaglione 201), Luis Ángel Firpo (Capo della centrale di controintelligence) e Roberto Dambrosi (Capo della compagnia di azione psicologica).

I 9 imputati nella controffensiva
Se la regione oggi è impantanata nella povertà è perché, chi ha perpetrato i crimini descritti sopra, ha impedito anche lo sviluppo della storia. Quando alla fine scompariranno tutti, una nuova società potrà emergere dalle rovine della precedente e allora questa volta la campagna fiorirà e prenderà vita.
Hasta la victoria siempre compagni contadini! I vostri sogni sono vivi e la vostra lotta continua!

Riferimenti:

L’articolo è basato sul racconto della Dra. Sosti del 29/10/20. Si ringrazia la trasmissione di “La Retaguardia”

Foto di copertina:
juiciocontraofensiva.blogspot.com

Foto 2: Piccoli
 
Foto 3: Volantini e pubblicazione nel giornale

Foto 4: Genocida imputati nella contraofensiva

ARTICOLI CORRELATI

Argentina, i pozzi dell'inferno

Pozzi dell'inferno: la verità dal fondo dell'abisso

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos