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Ad un anno di distanza indaga la Commissione interamericana diritti umani

Poco più di un anno fa a Senkata e Sabaca, due comuni del dipartimento di El Alto e Cochabamba, si verificò una violenta repressione da parte dell’esercito durante una protesta contro l'allora neonato governo di Jeanine Añez (in foto). 
Questi aveva assunto il ruolo dopo che i militari avevano “suggerito” al presidente Evo Morales di lasciare il potere, in seguito a settimane di proteste nate in seguito alle controverse elezioni presidenziali dell'ottobre 2019. Insieme a Morales, che poi lasciò il Paese, si dimisero in blocco anche il vicepresidente e i presidenti di Senato e Camera. 
Per questo motivo c'è chi parla di "colpo di Stato" in Bolivia. 
Non mancarono le proteste e ad El Alto ci fu una forte mobilitazione cittadina in cui i residenti crearono barriere attorno all’impianto di imbottigliamento del gas e di approvvigionamento di combustibile di proprietà della YPFB (Yacimientos Petroliferos Fiscales Bolivianos), impedendo alle autocisterne di lasciare l’impianto. Un'azione che di fatto tagliava la principale fonte di benzina di La Paz.
Una protesta dura, ma pacifica per ottenere la cessazione della presidenza ad interim di Jeanine Añez e il ritorno di Morales, per poi aggiungere tra le richieste anche l’abrogazione del decreto 4078 (che declinava ogni tipo di responsabilità e impunità totale alle forze militari e di polizia chiamate alle “operazioni per il ripristino dell’ordine interno e della stabilità pubblica”), la difesa delle riserve di litio, il rifiuto della candidatura di Mesa e la dichiarazione di Camacho come persona non grata.
L'allora governo ad interim decise di rompere il blocco con un'operazione congiunta di Forze Armate e della Polizia. Furono inviati elicotteri, carri armati e soldati pesantemente armati sin dalla sera del 18 novembre. 
Il giorno dopo scoppiò il caos quando i soldati iniziarono a lanciare lacrimogeni sugli abitanti per poi sparare alla folla. 
Alcune persone si trovavano di passaggio in quei luoghi, mentre andavano a lavoro. E drammatico fu il grido di una madre addolorata, il cui figlio fu raggiunto da un colpo di pistola, “Ci stanno uccidendo come cani”. Tutto ciò avveniva mentre gli organi di informazione biasimavano i manifestanti, con l'allora Ministro della Difesa Fernando Lopez che affermava come la polizia non avesse sparato "una sola pallottola" definendo i manifestanti come "gruppi terroristici" che avevano cercato di usare la dinamite per entrare nell'impianto, la verità era ben diversa. Proteste ci furono anche a Sacaba e Yapacani. 
Per gli scontri vi furono almeno 35 omicidi ed i casi più importanti avvennero a Sacaba e  Sankata, dove si registrarono dei veri massacri.
Nei giorni scorsi in Bolivia è iniziato il lavoro della Commissione interamericana dei diritti umani (Cidh) con sei esperti che tenteranno di fare luce su quanto avvenuto. 
Il lavoro degli specialisti, si legge in una nota della Cidh, "non è limitato a fatti specifici e può coprire diversi atti di violenza e violazione dei diritti umani commessi durante il periodo" che va dal 1° settembre al 31 dicembre del 2019. Il gruppo - composto da Julian Burger, Magdalena Correa, Juan Méndez, Patricia Tappatá Valdez, Marlon Weichert e Jaime Vidal - arriva nel paese grazie a un accordo firmato dalla Cidh e La Paz il 12 dicembre 2019, durante il governo ad interim di Jeanine Anez
Nella nota si segnala che "il Giei-Bolivia svilupperà il suo lavoro in modo indipendente e imparziale. Programmerà incontri con vittime e testimonianze, autorità, così come con organizzazioni della società civile rispettando le norme sanitarie di attenzione richieste dal contesto della pandemia. Inoltre ricorrerà a qualsiasi fonte di indagine che ritenga essere rilevante, oltre a quelle che verranno fornite dallo stato e dalle organizzazioni della società civile".

Foto: noticialdia.com

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