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Il filosofo spiega a Repubblica le ragioni del suo voto al candidato Dem e afferma: “Ascolti anche la sinistra”

Noam Chomsky, fondatore della linguistica moderna, filosofo e saggista famoso in tutto il mondo, torna a parlare del suo Paese, gli Stati Uniti, e lo fa parlando del nuovo presidente eletto Joe Biden. In un’intervista rilasciata a Repubblica Chomsky confessa di non essere interessato su chi sia Biden, ma su “cosa farà”. Chomsky sostiene che l’ex vice presidente degli Stati Uniti (in carica dal 2008 al 2016) si trova attualmente fra due forze con distinte politiche, entrambe rivelatesi fondamentali per la sua vittoria alle elezioni. Joe Biden “è schiacciato tra l'establishment del partito, i clintoniani, come li chiamo io, che poco differiscono dai repubblicani moderati. E gli attivisti che hanno galvanizzato la base spingendola a votare per lui”, spiega. Ecco perché, sostiene, “ora è importante la mobilitazione degli attivisti". "Per cambiare bisogna continuare a fare pressione: come non accadde ai tempi di Bill Clinton e Barack Obama". Il potere, aggiunge, “è sempre nelle mani dei governanti: qualunque sia il governo, assoluto o democratico”.
Il linguista si è poi soffermato sulle ragioni che lo hanno spinto a votare Biden. “La differenza tra i due candidati era abissale. - dice - E poi il suo programma ambientalista è migliore di quello di qualsiasi altro portato avanti in passato. Ma questo non è avvenuto a causa di una conversione di Biden né di uno spostamento politico del suo partito. Semmai, perché milioni di attivisti, in parte legati al movimento di Bernie Sanders, lo hanno martellato in tal senso. Per far mettere in pratica il suo programma, però, ora c'è molto lavoro da fare. La politica reale è questa. Votare e poi tornare a fare pressione affinché si vada nella direzione giusta". Noam Chomsky ha poi parlato dell’evidente spaccatura nell’elettorato americano, specchio di una società altrettanto spaccata. “Il voto mostra una situazione cupa. - afferma - Sapevamo che il trumpismo non sarebbe scomparso. Se Trump ha perso, i repubblicani migliorano la propria posizione alla Camera. Tengono in Senato. E vincono a livello statale: importante, perché i loro legislatori decideranno le regole del prossimo voto e disegneranno i distretti elettorali a loro vantaggio. Ci sono Stati dove i democratici non hanno nemmeno provato ad essere competitivi". Questo per via, spiega, di “un misto di incompetenza e disegno. Le posizioni care alla base degli elettori, in certe aree, erano sgradite ai finanziatori del partito. I dem oggi sono più divisi che mai. Da una parte l'establishment neoliberista, dall'altra la base a chiedere riforme profonde". Infine il filosofo e saggista si è soffermato sul presidente uscente, Donald Trump. “È un politico molto abile. Ha saputo estrarre i veleni radicati nella cultura e nella storia americana. Razzismo, suprematismo bianco, xenofobia, misoginia. E li ha amplificati dando al rancore motivazioni razionali. Ha denunciato le élite, pur lavorando per loro, partendo da una storia vera: la classe media è da 40 anni sotto assedio. Fu Ronald Reagan il primo a teorizzare, insieme a Milton Friedman, che le decisioni andavano affidate al settore privato e il dovere delle grandi corporation era arricchirsi. Poi è arrivato Bill Clinton, architetto della globalizzazione neoliberista. Barack Obama, ai tempi della crisi finanziaria del 2008, voltò le spalle ai lavoratori salvando i criminali che avevano provocato la crisi. Ora, la gente non sa i dettagli: ma percepisce il cambiamento nella propria vita quotidiana. Trump ha cavalcato tutto questo. Pur pugnalando il suo popolo alle spalle, costantemente”.

Foto © Augusto Starita / Ministerio de Cultura de la Nación (da Flickr)

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