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Tre anni dopo l’omicidio della giornalista maltese, numerosi indizi puntano a un potente uomo d’affari come mandante, Yorgen Fenech.
Quest’ultimo nega ogni coinvolgimento, ma nuovi elementi rivelati dal Daphne Project, mettono in discussione la sua versione

* Questo articolo è stato pubblicato da Le Monde il 15 ottobre 2020. Traduzione a cura di IrpiMedia in partnership con Forbidden Stories

È tutto pronto. Da un giorno all’altro la polizia maltese potrebbe irrompere a casa sua, a sud di Malta, per arrestarlo nell’ambito di un caso di riciclaggio. Rischia anni di galera. Allora si è preparato, per fare in modo di non essere l’unico a cadere: fotografie, telefoni e tre chiavette Usb contenenti registrazioni compromettenti, tutto raccolto dentro un contenitore di gelato vuoto. Una scatola che tiene stretta a sé, il 14 novembre 2019, quando all’improvviso l’unità speciale anti-crimine economico lo trascina nella volante. Una scatola che questo tassista di 42 anni non aprirà se non in presenza di un commissario di polizia. Ha preparato anche una lettera di confessione, scritta tutta in maiuscolo, che comincia così: «Il sottoscritto Melvin Theuma dichiara di essere l’intermediario nel caso Daphne Caruana Galizia. Sto passando queste prove affinché sappiate chi mi ha assoldato e chi ha pagato per la bomba».

La notizia del suo arresto si è diffusa rapidamente in tutta l’isola. Il caso risveglia nei 500 mila abitanti il trauma del 16 ottobre 2017, il giorno dell’omicidio della famosa giornalista e blogger anticorruzione Daphne Caruana Galizia con un’autobomba. Tutti ricordano l’orrore di quelle immagini in loop: la macchina carbonizzata, fumante, proiettata dalla forza dell’esplosione in un campo vicino alla strada. L’inchiesta giudiziaria dopo due anni non ha prodotto nulla, se non l’arresto di tre criminali omertosi legati al sottobosco maltese, che per 150mila euro hanno piazzato la bomba.
Ma questa volta è più probabile che la verità emerga: la polizia ha in mano colui che avrebbe fatto da tramite fra i mandanti e gli esecutori dell’attentato. In questo Paese soffocato dalla corruzione, dove tutti gli scenari sono ancora aperti (dalla pista criminale a quella della cospirazione politica) Melvin Theuma fornisce presto il nome promesso: Yorgen Fenech.

Il rampollo che nessuno si aspettava
La rivelazione, fornita in cambio della grazia presidenziale, ha un grande effetto sulla popolazione: Yorgen Fenech, 38 anni, non è esattamente uno sconosciuto. È uno degli uomini più ricchi del Paese, erede di un vasto conglomerato di hotel e casinò e possiede un intero quartiere di lusso sull’isola. Gira nei ristoranti più in vista della marina di Portomaso, vestito attillato, rasato, occhiali scuri. È a poche miglia nautiche dal porto quando la guardia costiera lo arresta, il 20 novembre 2019, mentre tenta di fuggire prima dell’alba, a tutta velocità a bordo del suo lussuoso yacht, diretto in Sicilia. Nel giro di poche ore, sotto i flash dei fotografi, il ricco uomo d’affari diventa il nemico pubblico numero uno.

Ma chi è Yorgen Fenech, tanto potente in patria quanto sconosciuto all’estero, nonostante il suo impero (il gruppo Tumas) abbia investito moltissimo in Europa (specialmente in Francia)? È stato davvero lui a ordinare l’uccisione di una giornalista? E perché? Che credito si può dare alle affermazioni di Melvin Theuma, questo tassista solito frequentare il mondo della malavita tra usura e scommesse illegali, a volte confuso sulle date, ambiguo nelle affermazioni, sicuramente meno ingenuo di quanto non appaia?

Formalmente accusato di complicità nell’omicidio il 30 novembre 2019, Yorgen Fenech è ora detenuto in carcere. Lascia la sua cella solo per andare in tribunale, dove polizia e procura espongono regolarmente le prove a suo carico nel quadro di un procedimento detto «raccolta delle prove», specifico del sistema giudiziario maltese. Solo una volta terminata questa parte del processo sarà incriminato formalmente o prosciolto. Per mesi testimoni, tra cui anche Melvin Theuma, si sono avvicendati alla sbarra a raccontare il loro ruolo in questa faccenda. Yorgen Fenech però, si dichiara innocente. Ma la polizia ha nuovi elementi che lo coinvolgono nell’indagine, secondo quanto è in grado di rivelare l’inchiesta di Le Monde per il Daphne Project, il progetto collaborativo nato all’indomani dell’uccisione di Daphne Caruana Galizia per proseguire le sue storie.

Quello che dicono i telefoni sequestrati
I telefoni e le pennette Usb consegnate da Melvin Theuma hanno “parlato”. Ci riportano alla primavera del 2018, molto prima del suo arresto. All’epoca, il supertestimone temeva per la sua vita, aveva paura di essere ucciso come Daphne Caruana Galizia. Per proteggersi, registra tutte le conversazioni con quello che, secondo lui, sarebbe il burattinaio di questa storia. Secondo fonti vicine all’indagine, la polizia avrebbe in mano uno scambio di messaggi, passati attraverso l’applicazione di messaggistica criptata Signal, datati 13 novembre 2019. Melvin Theuma sa che lo stanno per arrestare. Yorgen Fenech, che in chat appare con il nome di “Yurgin”, lo avverte: «Devi essere sicuro al 100% di aver pulito tutto», lo ammonisce il businessman. «Non solamente su questa storia […] Non lasciare nulla su nessun numero, così non ti potranno dire nulla». «Non preoccuparti, non lascio nulla», risponde l’intermediario. «Perfetto […] se manteniamo la calma, funzionerà al 100%».

Far sparire ogni traccia di coinvolgimento nell’omicidio sembra essere l’ossessione di Yorgen Fenech. Già nella primavera 2018, quando uno dei tre sospetti attentatori, Vince Muscat, si era segretamente messo a collaborare con la polizia, l’uomo d’affari scriveva a Melvin Theuma: «Mantieni la calma. Va a dire ai Maksar (alias di una famiglia della mafia maltese di cui parleremo in una nuova inchiesta, ndr) che lui [cioè Vince Muscat, ndr] ha già detto che la bomba è stata fabbricata nel loro garage a Zebbug».

Yorgen Fenech era chiaramente ben informato di questa confessione e anche dell’andamento delle indagini. Non rinuncia a tentare di gestirla. Di fatto, è «quello che dovrebbe essere preoccupato», come dice lui stesso al tassista che lo registra di nascosto. Questa registrazione è appena stata depositata al tribunale di Malta.

Il suono è di scarsa qualità, le voci dei due uomini sono tese, ma si capisce chiaramente che Melvin Theuma sta cercando di rassicurare Fenech:
«Se devono proprio rintracciare qualcuno, quello sono io», commenta il tassista.
«Chi ha facilitato l’operazione non è a rischio tanto quanto chi l’ha fatta», ribatte l’imprenditore.
«Non preoccuparti, il tuo nome non è mai stato menzionato», conclude l’intermediario.

«Voglio uccidere Daphne Caruana Galizia»
Secondo la testimonianza del tassista, il destino della giornalista sarebbe stato deciso nella primavera del 2017, quando Yorgen Fenech, all’uscita del ristorante Blue Elephant sul porto turistico di San Julian, gli dice: «Voglio uccidere Daphne Caruana Galizia». All’epoca i due uomini si conoscevano già da anni: Melvin Theuma era il tassista personale della famiglia di Fenech e aveva il suo posto riservato davanti all’Hilton a Malta. Condividono la passione per le corse di cavalli. È così che si sono conosciuti: Yorgen Fenech è cresciuto all’ippodromo di Marsa, nel sud dell’isola, di cui suo padre Georges è stato a lungo presidente; Melvin Theuma, dal canto suo, ha percorso le tribune in lungo e in largo per raccogliere scommesse illegali sulle gare. Non era raro che Yorgen, ora proprietario di una scuderia, passasse da Melvin, il bookmaker, per puntare denaro sui cavalli.

Ma nell’aprile 2017, Theuma ha accettato di prendere parte a un accordo completamente diverso: uccidere Daphne Caruana Galizia. Theuma sostiene di aver ricevuto una busta con 150 mila euro dalle mani di Fenech, per ingaggiare gli assassini. L’estate successiva, l’intermediario ha dovuto fare i conti con la fretta di Yorgen Fenech. «Da quel momento in poi, Yorgen ha continuato a chiamarmi. Telefonata dopo telefonata: “Andate a dirgli di eliminarla in fretta, dobbiamo ucciderla in fretta”», ha detto il tassista ai magistrati.

Le inchieste scomode
All’epoca Daphne Caruana Galizia si era lanciata, anima e corpo, in una lotta per far emergere la verità sulla corruzione che affligge Malta. Si era concentrata sui casi sospetti in cui sembrava essere coinvolto il gruppo Tumas, guidato da Yorgen Fenech e dalla sua famiglia. Al momento della sua morte, la giornalista aveva nel mirino l’acquisizione, nel 2013, della più grande concessione pubblica di Malta da parte del consorzio Electrogas, presieduto dallo stesso Fenech, e di cui Tumas è azionista, insieme a Siemens e a una società pubblica dell’Azerbaijan. Questo contratto di diciotto anni prevede la gestione di una nuova centrale elettrica, che fornirà gas ed elettricità all’intero Paese, assicurandone l’indipendenza energetica. Daphne Caruana Galizia è convinta che dietro il contratto ci sia corruzione, specie quando, poche settimane prima di essere assassinata, riceve una serie di dati sensibili da Electrogas: oltre 600 mila email interne che non avrà il tempo di analizzare a fondo.

Questa informazione firma la sua condanna a morte. Almeno, è quello che oggi credono gli agenti di polizia incaricati delle indagini: «Abbiamo sempre pensato che Daphne Caruana Galizia fosse stata uccisa per qualcosa che stava per rivelare, non per qualcosa che aveva pubblicato», ha detto un ispettore alla fine di agosto in tribunale.

Un’altra scoperta era stata fatta dall’instancabile giornalista maltese: “17Black”, una misteriosa società registrata a Dubai e utilizzata, a suo parere, dal governo per muovere denaro dentro e fuori Malta. Aveva appreso che la società doveva pagare quote all’allora capo di gabinetto del primo ministro, Keith Schembri, e all’allora ministro dell’Energia, Konrad Mizzi, in conti segreti a Panama. Gravi sospetti di tangenti, che non avrà nemmeno il tempo di dimostrare. Viene uccisa prima che possa scoprire chi c’è dietro la compagnia di Dubai. 17Black – come avrebbero poi rivelato Reuters e Times of Malta, membri del “Daphne Project” – è in realtà di proprietà di Yorgen Fenech. L’azienda funge come fondo nero.

Sollecitati dai membri del “Daphne Project”, gli avvocati del signor Fenech affermano che il loro cliente «nega qualsiasi coinvolgimento nell’omicidio» e sottolineano che «le prove di Melvin Theuma sono piene di affermazioni inaffidabili e contraddizioni inspiegabili. Siamo convinti che un processo equo continuerà a mettere in luce la falsità delle sue affermazioni – proseguono – Fenech non ha mai cercato di fuggire da Malta o di eludere il processo. È fiducioso che un’attenta indagine dimostrerà la sua innocenza».

La trama che porta a Keith Schembri
Se, a Malta, la verità sul caso Daphne Caruana Galizia sta gradualmente emergendo, rimane comunque aperta una domanda importante: Yorgen Fenech, se colpevole, ha agito da solo o nell’ambito di un piano coordinato dagli ambienti politici locali, desiderosi di sbarazzarsi della giornalista? Fenech ha detto agli investigatori di essere vittima di un complotto ordito da Keith Schembri, l’ex capo di gabinetto dell’ex primo ministro Joseph Muscat, costretto a dimettersi a causa di un altro scandalo lo scorso gennaio. Keith Schembri era suo amico e confidente: a credere alla versione dell’imprenditore dunque, sarebbe il politico, la vera mente dell’operazione.
Durante il suo interrogatorio con la polizia, Yorgen Fenech ha anche accusato l’ex capo di gabinetto di aver pagato 80 mila euro ai tre sospettati dell’omicidio della giornalista (oltre al già citato Vince Muscat, anche Alfred e George Degiorgio, ndr). Secondo Fenech, Schembri lo avrebbe tenuto informato sugli sviluppi delle indagini di polizia, dal giorno dell’assassinio fino a quando lo stesso Fenech è stato arrestato a largo di La Valletta. Va detto che Keith Schembri ha assistito a tutti i briefing durante i quali la polizia ha informato l’ex primo ministro Joseph Muscat sull’andamento dell’indagine. Yorgen Fenech sostiene di essere stato «continuamente informato» a sua volta: l’arresto dei sospetti attentatori e poi quello dell’intermediario (il tassista Melvin Theuma), la richiesta di immunità da parte di uno degli assassini, le intercettazioni telefoniche di telefoni, compreso il suo. Secondo fonti vicine alle indagini, Fenech e Schembri avrebbero scambiato circa 800 messaggi sull’applicazione WhatsApp, nel 2019. Malgrado ciò, Keith Schembri ha dichiarato sotto giuramento «di non aver mai informato Yorgen di nulla al riguardo». Ha semplicemente ammesso di non «aver detto a nessuno della loro amicizia», ​​nemmeno alla polizia.

Poco prima del suo arresto, però, Yorgen Fenech ha parlato con Schembri al telefono per 24 minuti. Cosa si sono detti esattamente? Mistero. Resta il fatto che l’uomo d’affari accusa l’ex capo del personale di avergli passato segretamente, pochi giorni dopo, una lettera di quattro pagine tramite il medico che hanno in comune. Yorgen Fenech è stato in seguito rilasciato su cauzione, per motivi medici, sotto la supervisione di questo stesso dottore. Quest’ultimo, ha confermato agli inquirenti di essersi recato effettivamente, su richiesta di Yorgen Fenech, da Keith Schembri, il quale gli ha mostrato i quattro fogli da passare all’amico. Una lettera che Yorgen Fenech descrive in tribunale come «un copione da seguire» per accusare qualcun altro dell’omicidio. Di fronte a questi fatti Keith Schembri smentisce tutto: questa lettera, ha dichiarato ai magistrati, «non l’ho scritta io, né l’ho trasmessa».

L’ex capo di gabinetto Schembri, come l’ex primo ministro di Malta Muscat, dimessosi lo scorso gennaio, ha sempre affermato di non avere nulla a che fare con l’assassinio di Daphne Caruana Galizia. Arrestato brevemente alla fine del 2019 durante le indagini sull’omicidio, Keith Schembri è stato subito rilasciato senza che gli venissero mosse accuse formali. Il 22 settembre è stato arrestato di nuovo, ma solo nel contesto di una diversa indagine, un caso di corruzione riguardo la concessione di passaporti “di comodo” a ricchi stranieri. Seppure il tassista Melvin Theuma indichi sistematicamente Yorgen Fenech come «l’unico sponsor» dell’omicidio, ha fornito alla polizia altre informazioni inquietanti che lasciano pensare che lui stesso godesse della protezione di Schembri. Non ultima, la foto che lo ritrae assieme a Keith Schembri nell’ufficio del primo ministro, scattata pochi giorni dopo il presunto contatto con i killer.

A quel tempo, Theuma aveva ottenuto un lavoro fittizio per il governo, come dimostra un contratto depositato agli atti del tribunale di cui Schembri nega di essere a conoscenza. L’intermediario sostiene inoltre di aver ricevuto, dopo l’arresto dei tre sospetti attentatori, la visita di un collaboratore dell’ex premier, che gli ha chiesto di trasmettere messaggi agli assassini in carcere. Incontri confermati anche da altri testimoni. Keith Schembri ha ammesso alla corte di conoscere questo collaboratore, ma ha negato di «averlo mandato a incontrare Theuma o di discutere con lui dell’omicidio».

L’eredità di Daphne
A tre anni dalla morte di Daphne Caruana Galizia, diventata un’icona nella lotta alla corruzione nel più piccolo Stato dell’Unione Europea, cosa uscirà da questo imbroglio, tra prove e smentite, in uno Stato compromesso fino ai suoi vertici da soldi sporchi e corruzione? Al peggio non c’è mai limite, ma la giustizia maltese potrebbe riservare qualche sorpresa. Il fatto di aiutare una o più persone a sfuggire dalle accuse di omicidio, eliminando ogni traccia, non costituisce reato sull’isola. Nessuno può quindi dire a cosa porteranno i procedimenti in corso. È in questo contesto di incertezza, con il timore che la verità non venga mai a galla, che la famiglia della giornalista e blogger ha creato un’organizzazione alla sua memoria: la Fondazione Daphne Caruana Galizia, che si propone di onorarla facendo pressione sulle istituzioni maltesi.

«Se dovessi lasciare le indagini solo nelle mani della polizia e del pubblico ministero, non andrei da nessuna parte», dice il figlio maggiore di Daphne Caruana Galizia, Matthew, che ha preso in mano la pesante fiaccola un tempo portata dalla madre e che sta ora lottando per fare luce anche sul suo assassinio. «Dobbiamo lottare per la giustizia, per l’omicidio di mia madre, ma anche contro la corruzione, che ne è alla radice. Si potrebbe pensare che la polizia faccia il suo lavoro, ma bisogna monitorare costantemente».

D’altronde, le autorità maltesi hanno impiegato oltre un anno per arrestare e incriminare Melvin Theuma, sostenendo di aver incontrato difficoltà a raccogliere prove contro di lui, mentre il tassista già scriveva le sue confessioni da mesi.

Secondo diverse fonti, Europol, frustrata dall’inerzia della polizia maltese, ha dovuto minacciare di ritirarsi dall’indagine nel caso in cui l’intermediario non fosse stato arrestato. Europol ha preferito non commentare quest’informazione, ma ci tiene a ricordare «di aver offerto centinaia di giorni di lavoro» e a far sapere che continua a essere attivamente coinvolta nell’indagine.

Un’altra tragica svolta minaccia l’esito del procedimento giudiziario. Infatti a metà luglio, Melvin Theuma, il pentito su cui si basa gran parte del procedimento giudiziario, ha cercato di uccidersi tagliandosi la gola. È stato trovato in un bagno di sangue, con la gola lacerata e l’addome trafitto da diverse coltellate autoinflitte. Sebbene fosse in una casa protetta, sotto costante sorveglianza della polizia e avesse un’udienza il giorno successivo, diverse fonti concordano nel ritenere che il tassista volesse suicidarsi, circostanza che rivela la sua fragilità psicologica.

Theuma è sopravvissuto, ma le sue corde vocali sono danneggiate. Nessuno sa quando potrà tornare alla sbarra per spiegare i contenuti delle ultime registrazioni depositate a processo. Sul suo letto d’ospedale, dopo aver ripreso conoscenza, il tassista ha scritto un messaggio in stampatello su un pezzo di carta: «Spero che i figli di Daphne mi perdonino».

* Fonte: IrpiMedia in partnership con Forbidden Stories

Tratto da: liberainformazione.org

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