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Quando a novembre dell'anno scorso, furono resi noti i risultati elettorali, tutti gli uruguaiani sono stati testimoni del trionfo della coalizione di partiti che sostenevano l’attuale presidente della Repubblica Luis Lacalle Pou e che la casta militare si era insediata nel sistema politico, (al Parlamento Nazionale, sotto l'ala di un partito chiamato "Cabildo Abierto", il cui leader è un ex Comandante in Capo dell'Esercito Nazionale, Guido Manini Ríos. Non abbiamo sbagliato a sottolineare, segnalare e portare all’attenzione che in realtà, non era altro che una delle tante dimostrazioni che in Uruguay si stava insinundo, (in un contesto ovviamente legale) l'impunità per i militari responsabili di gravi violazioni dei Diritti Umani prima, durante e dopo la dittatura.

Nelle ultime ore, il rifiuto del Senato uruguaiano (a seguito di un dibattito particolarmente acceso) di accogliere la richiesta di un pubblico ministero di revocare l’immunità parlamentare e di indagare Manini Ríos, su un suo possibile coinvolgimento  nel occultare informazioni riguardanti indagini su delitti di lesa umanità, come nel  caso delle sparizioni di detenuti in dittatura, non fa altro che mettere in evidenza la cultura dell'impunità, della democrazia uruguaiana, ancora oggi nel 2020. La democrazia uruguaiana che si ritiene “perfetta”, “esemplare”.

Un dibattito durato oltre 13 ore. Mentre all’esterno del Parlamento le madri e i familiari dei desaparecidos uruguaiani e i cittadini che conoscono e condividono la loro lotta, esibivano le foto dei desaparecidos. Un dibattito mediatico. Mediatico, perché l'argomento centrale era il futuro del senatore Manini Ríos. Una questione che riguarda il sistema politico, ma non necessariamente la ricerca della verità sulla localizzazione dei resti dei desaparecidos. Di fatto, il tema dei Diritti Umani in Uruguay è ancora un tema di secondo piano.

Un dibattito in cui soprattutto gli interventi di coloro che sono stati compatti nel sostenere che la destituzione non fosse la strada giusta, hanno seguito alla lettera un copione. Quello dell'autoritarismo subdolo. Della democrazia ipocrita. Quello di una democrazia che si dice perfetta, ma che è ben lontana dall’esserlo. Il copione della casta militare, arrogante e machiavellica, che disegna la cronaca di una morte annunciata, perché i dadi,  di questa arida questione dei desaparecidos e delle violazioni di Diritti Umani, sono già stati lanciati nel momento stesso del trionfo della coalizione del governo di Luis Lacalle Pou.  Nel momento stesso in cui la casta militare ha ottenuto la sua rappresentanza parlamentare grazie a Cabildo Abierto, che è in realtà il passaporto per l'impunità in un paese dove la morte di molti uruguaiani sembrerebbe importare ben poco o niente, e nessuno al potere mostra alcuna sensibilità al riguardo. Come se si fosse già voltato pagina. 

L’intervento dell'attore principale, Manini Ríos, ha dimostrato ampiamente che l'impunità regnerà ancora, e con prepotenza. Le sue parole e quelle dei senatori che lo hanno sostenuto, rivelano ostilità. Ostilità verso le madri e i famigliari dei desaparecidos e verso la democrazia uruguaiana. Ostilità alla pretesa di giustizia e alla Giustizia stessa. Ostilità verso la memoria recente. Ostilità verso chi ha votato a favore della revoca dell’immunità parlamentare che avrebbe permesso di mettere Manini Ríos alle strette di fronte alla Giustizia in uno stato di Diritto coerente con la nostra democrazia, sulle ragioni e le circostanze che lo indussero, come Maggiore dell'Esercito e con pieni poteri per rendere tutto pubblico, a scegliere di omettere ed occultare le confessioni sul Piano Condor del militare José Gavazzo davanti ad un Tribunale d’Onore, quando nell’aprile 2018 riconobbe che a marzo del 1973 - in pieno periodo di pre dittatura civico militare - fece sparire il corpo dell’attivista tupamaro Roberto Gomensoso. Ostilità che ha offeso la sensibilità dei famigliari delle vittime del terrorismo di Stato quando Manini Ríos stesso, poche ore prima del dibattito, ha dichiarato alla stampa: “Ci sono familiari ancora prigionieri di un odio che li ha guidati tutta la vita. Per tutta la vita hanno cercato un nemico e ora Cabildo Abierto viene attaccato perché è l'unico che dice le cose come stanno”.

Le argomentazioni di coloro che dal potere politico favoriscono l’impunità cadono sotto il loro stesso peso. Non vanno oltre il reato inconsistente rivolto agli operatori della giustizia e si cullano sui tecnicismi. Screditando le persone, pavoneggiandosi con precisazioni esclusivamente di taglio legale, consoni alla dialettica parlamentare. Ma i fatti rimangono intatti. Non si aprono le porte perchè si faccia Giustizia. I dibattiti si fanno in sede legislativa, mentre in realtà dovrebbero essere fatti in sede giudiziaria. Ma Manini Ríos gode dell'impunità, e la casta militare, con l’appoggio del potere politico, ha vinto una battaglia, ma nient'altro che una battaglia. 

Quando Elena Zaffaroni, di Madri e Familiari di Detenuti Uruguaiani Desaparecidos, diceva che il rifiuto di Manini di comparire davanti alla Giustizia lo rende colpevole, diceva una grade verità. Quando Manini Ríos offende la lotta di Madri e Familiari e di tutti coloro, compresi noi, che reclamano giustizia per la violazione dei Diritti Umani e i delitti di Lesa Umanità durante la dittatura, in realtà non fa altro che rafforzare la nostra lotta mentre lui disonora sé stesso e l'uniforme che indossava. Il suo atteggiamento lo avvicina sempre di più alla figura di un uomo ipocrita che si dice democratico. La sua lettera di presentazione è l'autoritarismo e il sostegno agli assassini che negli anni settanta, dalle sedi del potere, stabilivano: prima la violenza di Stato, poi la dittatura civico militare e successivamente, in democrazia, l'impunità. Contribuire all'impunità significa rendersi complice. 

L'impunità continua ad essere la bandiera di chi ora, seduto sulle poltrone di una coalizione di governo, in sessione al Senato sulla revoca di immunità di Manini Ríos, ha purtroppo perso l'opportunità di dimostrare al popolo uruguaiano e al mondo che la Giustizia è ancora un valore prezioso che deve essere difeso dal seggio che occupano, favorendo l'apertura di vie che conducano alla verità e alla punizione di chi ha le mani sporche di sangue. 

Ancora una volta la democrazia uruguaiana è stata tradita dagli spietati di sempre: quelli che 47 anni fa consegnarono il paese ai militari e quelli che, dal potere civile, 47 anni dopo, continuano a lavorare con impegno criminale per la cultura dell'impunità.  Questa la cosa più grave, la più riprovevole. La più subdola. 

Chi è veramente prigioniero dell’odio? Loro o noi? 

Le nostre democrazie che si definiscono perfette ed esemplari sono così tanto perfette ed esemplari che abusiamo delle stesse e osiamo porre ostacoli alla verità, proprio in tempo di democrazia.  

Foto di Copertina: www.radiomontecarlo.com

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