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di Mattia Fossati
Dal petrolio ai diamanti: ecco lo scandalo di corruzione che coinvolge la figlia dell’ex Presidente

“Sarebbe la fine della politica per combattere la corruzione”. Sono parole d’acciaio quelle utilizzate da Cedesa (gruppo indipendenti di ricercatori) per criticare l’accordo di collaborazione che la Procura Generale dell’Angola sarebbe in procinto di offrire a Isabel dos Santos, figlia dell’ex Presidente José Eduardo dos Santos (in carica dal 1979 al 2017).
La dos Santos era stata tirata in ballo nella costola angolana della Lava Jato, la maxi indagine contro la corruzione in Brasile che negli ultimi anni si è estesa in altri 12 Paesi, tra America Latina e Africa. Inchiesta dalla quale l’imprenditrice, considerata una delle donne più ricche ed influenti del continente nero, deve difendersi dall’accusa di avere sottratto dalle casse dello Stato più di un miliardo di dollari, motivo per cui il 23 dicembre scorso il Tribunale Provinciale di Luanda le ha congelato parte dei beni.

L'ACCORDO
Per tentare di provocare l’effetto domino che ha determinato il successo dell’operazione Lava Jato in Brasile, la Procura Generale della Repubblica Angolana sembra intenzionata a presentare una proposta di collaborazione alla figlia dell’ex Presidente dos Santos, la quale oltre alle accuse dei magistrati è finita al centro anche del Luanda Leaks. Un’inchiesta giornalista che, carte alla mano, getta pesanti ombre sulle origini della fortuna della tredicesima donna più ricca dell’Africa.
All’accordo si è subito dichiarato contrario il gruppo di ricerca Cedesa, il quale ha ribadito che un’eventuale salvacondotto offerto all’imprenditrice costituirebbe la morte definitiva della lotta contro la corruzione in Angola. “Isabel dos Santos è il simbolo di questa battaglia” – tagliano corto i ricercatori. Il pericolo, secondo loro, è di far perdere credibilità all’indagine e ciò rappresenterebbe un segnale terribile per il futuro, dato che il Paese occupa già le ultime posizioni della classifica mondiale dell’indice di percezione della corruzione.

'LAVA JATO' ANGOLA

La vicenda contestata risale al 2016 quando la dos Santos venne nominata Presidente sia della Sonangol che della Sodiam, cioè le compagnie statali del Paese che si occupano di petrolio e diamanti. Secondo i magistrati, l’imprenditrice avrebbe usato la Sodiam per vendere un gran numero di pietre preziose alle proprie aziende ad un prezzo più basso rispetto a quello di mercato. Viceversa per il caso della Sonangol, Ia dos Santos avrebbe fatto sparire diverse centinaia di milioni dai libri contabili del gruppo per risanare i bilanci delle sue società.
Questi due colossi, controllati dalla figlia dell’ex Presidente, sono entrambi collegati alla Odebrecht, l’impresa brasiliana invischiata mani e piedi nella Lava Jato. Difatti, Sonangol è partecipata al 15% proprio dalla società di Marcelo Odebrecht mentre Endiama (che detiene il controllo di Sodiam) è detenuta per il 16,4% dalla compagnia verdeoro. Vari uomini dell’azienda, interrogati dalle autorità, raccontarono che la Odebrecht era solita corrompere i dirigenti del Partito dos Trabalhadores per ottenere prestiti faraonici dal BNDES (banca statale brasiliana che finanzia svariati progetti nei Paesi africani di lingua portoghese) al fine di portare a termine numerose opere di ingegneria civile in Angola.
Motivo per cui la Odebrecht tra il 2006 e il 2013 riuscì a firmare contratti in Angola per 261 milioni di dollari. Tutto ciò era possibile solo grazie al rapporto personale tra Lula e Eduardo dos Santos, i quali venivano ben ricompensati per la loro accondiscendenza. Difatti, come testimoniò Joao Santana (spin doctor degli ex Presidenti Lula e Dilma Rousseff), la Odebrecht contribuì con una ventina di milioni a finanziare la campagna elettorale del padre di Isabela dos Santos.

EUROPEAN CONNECTION
Oltre ai problemi giudiziari in Angola, l’imprenditrice deve affrontare ben otto processi per reati fiscali commessi in Portogallo, Paese nel quale ha varie interessenze economiche. Ad ascoltare gli uomini della Policia Judiciaria lusitana, Isabel dos Santos avrebbe riciclato grosse somme di denaro in relazione all’acquisto di Efacec, un carrozzone portoghese che spazia dall’energia ai trasporti. Ciò ha spinto il Ministério Publico ad autorizzare una serie di perquisizioni negli uffici delle sue società oltre nello studio dell’ex avvocato dell’imprenditrice, Jorge Brito Pereira.
Le cose potrebbero precipitare per la dos Santos poiché, oltre al Portogallo, anche l’Olanda ha aperto un’inchiesta su una società del marito dell’imprenditrice, la Exem Energy BV, azienda dei Paesi Bassi controllata per il 60% dalla Sonangol. In base ai dati dei magistrati, l’impresa olandese sarebbe solo la prima di una lunga serie di scatole cinesi usate per accaparrarsi delle fette dell’azionariato di Galp Energia, la principale petrolifera portoghese.
Isabel dos Santos ha sempre respinto con forza le accuse di corruzione o di irregolarità nella gestione delle sue imprese, facendo sapere di essere pronta a rivolgersi a corti internazionali per far valere le proprie ragioni.
Nel frattempo, l’Angola, soffocato dalla crisi economica, dall’epidemia di coronavirus e dagli scandali di corruzione, è sempre più distante dal sembrare un simulacro di democrazia.

Foto © Daniel Rodgrigues/Bloomberg

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