di Carlotta Becchi
Riflessioni sull’intervista all’ex esponente dei clan mafiosi giapponesi
La Yakuza, mafia giapponese, sicuramente non può essere considerata solo come una “mafia”, ma anche un modo di vivere. Non si nasconde, anzi, ha sedi ufficiali, edifici interi con tanto di insegne, loghi e biglietti da visita. Molti, quindi, preferiscono considerarla più una massoneria che una vera e propria mafia.
È solita agire abbastanza in libertà e alla luce del sole nella società giapponese, coprendo un ampissimo numero di settori. Nell’ambito del contrabbando non si limita a tabacco, droga e armi, ma controlla anche gli ‘’stampo’’ dei bollini governativi, che attestano la disoccupazione e consentono di accedere ai sussidi. Detiene le famigerate liste illegali delle famiglie di Burakumin (i senza casta), che sono molto ricercate soprattutto dai datori di lavoro, i quali non li vogliono assumere per non portare disonore nella loro attività.
Da quello che si evince dall’intervista, la Yakuza è composta da una vastissima varietà di persone diverse. Si passa da semplici business man agli appartenenti delle caste più basse, alcuni anche Burakumin o persone escluse dalla società giapponese le quali, non avendo più nulla da perdere e bassissime speranze di essere reintegrate nella stessa società, decidono di unirsi alla Yakuza. Non avendo nulla da perdere, per l’appunto, non si preoccupano di svolgere i lavori e le mansioni più infime che il resto della società giapponese non sarebbe disposta a fare. È stata proprio la Yakuza ad aver avuto gli appalti per la decontaminazione a Fukushima, dopo il disastro nucleare; infatti ha mandato suoi membri o ha pagato senzatetto per andare a ripulire le zone contaminate. L’omertà in Giappone è moltissima. Le persone preferiscono non doversi sporcare mai le mani al fine di sembrare sempre pulite, onorevoli e rispettabili; preferiscono far fare il lavoro sporco ad altri, a chi la reputazione l’ha già persa: i reietti, gli emarginati, i mafiosi.
La Yakuza non ha problemi a mostrarsi alla luce del sole e ormai è diventata una cosa normale per i cittadini giapponesi. Tutti sanno che esiste. Spesso, nel quartiere cerca di prendere il posto della polizia e si propone come protettrice del popolo e degli indifesi. Che io sappia, non ci sono grandi gruppi anti-mafia o attivisti contro la Yakuza. Molti sanno che può anche far comodo alla società giapponese e ogni persona preferisce vivere facendosi i fatti propri, piuttosto che inimicarsi un clan mafioso. Ad esempio, se dovesse esserci un pub disturbato da due ubriachi che importunano i clienti ogni sera, chiamando la polizia si risolverebbe poco, perché quest’ultima interverrebbe in modo troppo pacato e la sera successiva gli ubriachi tornerebbero a dare fastidio nel locale. L’unica soluzione sarebbe chiedere aiuto alla Yakuza, che manderebbe dei suoi uomini per tener fuori gli ubriachi poco graditi o, con varie intimidazioni, non li farebbe più tornare. In cambio del servizio offerto, il locale dovrebbe iniziare a pagare un pizzo alla Yakuza. Nel caso in cui non si volesse più pagare, qui la cosa diventa interessante, non ci sarebbe un riscontro violento, come succede in Italia. Alla Yakuza basta minacciare il locale di mandarvi tutte le sere un numero ingente di ubriachi, per creare disagio e problemi al pub; questo è sufficiente a far sì che il pizzo continui a essere pagato. Tutti sanno che funziona così, tutti sono abituati e ormai è considerata una cosa completamente normale. O le persone usufruiscono dei suoi servizi o preferiscono ignorare la sua esistenza.
Trovo tutto ciò particolarmente assurdo, soprattutto il fatto che la Yakuza neanche provi a nascondersi, ma sia così intrecciata con la società civile e immischiata con lo Stato stesso; di come farne parte sia considerato come un normalissimo lavoro dove hai il tuo contratto e se vuoi licenziarti dai la lettera di dimissioni.
Fatico anche a considerare completamente giusto e corretto dare una seconda possibilità a tutti coloro che decidono di uscire dalla Yakuza. So quanto possa essere dura la società giapponese, quante poche occasioni ci siano di essere reintegrati per chi si pente e vuole soltanto redimersi e rifarsi una vita lontano dalla criminalità. Se la società fosse meno opprimente e rigida, poche persone cadrebbero in disgrazia; se lo Stato non voltasse loro le spalle, meno persone cercherebbero una vita migliore nella Yakuza. Nonostante questo, non trovo giusto che qualcuno possa decidere di uscire dalla Yakuza senza subire un processo e una pena per i crimini commessi, più o meno gravi che siano, e per aver fatto parte e agito in un’organizzazione a stampo mafioso.
Il professor Masahiro Tamura, ex poliziotto e attualmente professore universitario e avvocato, nel suo saggio “ Regole di esclusione delle bande criminali e leggi penali in Giappone ” ha dichiarato che il governo giapponese in passato ha emanato delle legislazioni, come la “legge sulle intercettazioni” e la legge sulle “Punizioni della criminalità organizzata”, ma sono normative risultate non abbastanza efficaci contro la criminalità organizzata. Non esiste una legge vera e propria che bandisca l’esistenza di un’organizzazione criminale a stampo mafioso. É anche difficile avere denunce o testimonianze di crimini commessi dalla Yakuza, perché le persone hanno sempre troppa paura delle possibili ripercussioni e quindi non vogliono collaborare in un’indagine o in un processo, preferendo l’omertà; così un reato finisce per non essere considerato tale. I membri della Yakuza, inoltre, hanno parecchie attività commerciali illegali e i comuni commercianti credono che fornire benefici alle bande criminali sia una soluzione economica più razionale, per non essere schiacciati dalle stesse.
Attraverso queste leggi, inizialmente, il numero di gangster, da circa 90.000 è andato a diminuire, ma poi negli anni è tornato ad aumentare per stabilizzarsi intorno agli 80.000 membri. Anche se la Yakuza dovesse ridurre il suo potere, esisterebbe lo stesso l’aumento di gruppi criminali organizzati che commetterebbero i crimini senza ‘’sfoggiare’’ la propria esistenza (come di fatto fa la Yakuza). Molti gruppi criminali provengono dall’estero essendo più difficili da intercettare.
Al Parlamento giapponese è stata sottoposta la proposta di adesione alla Convenzione Internazionale per la prevenzione del crimine organizzato, ma non è stata approvata. Secondo il professor Tamura è necessario stabilire requisiti rigorosi per assicurare che la libertà costituzionale non si estenda alle organizzazioni criminali: come in Italia e in altre parti del mondo, le vere e proprie bande sono solo delinquenti.
Dov’è dunque la vera giustizia, dov’è veramente lo Stato? Perché non viene fatto di più se ci si accorge che le leggi vigenti non sono sufficienti? A causa delle gravi mancanze della società in cui si nasce, è possibile biasimare un uomo e/o una donna che si uniscono alla mafia, perché questa è considerata l’unica realtà che possa garantire qualcosa di apparentemente migliore? Non è accettabile che lo Stato non tuteli in toto i suoi cittadini, poiché a causa di questo essi, spesso, sono costretti a darsi alla criminalità. In una società troppo competitiva e rigida, gli studenti non vedono possibilità di brillare; viene detto loro che non potranno mai fare nulla nella vita, pertanto preferiscono unirsi e lavorare per la Yakuza la quale, apparentemente, gli offre tutto: dai soldi alle donne, ma soprattutto il prestigio a cui un giovane tanto ambisce.
Non è accettabile che uno Stato sia così legato alle organizzazioni mafiose, seppur negandolo, e che la mafia abbia una tale libertà di azione, quasi indisturbata, per la maggior parte delle volte. Non è possibile che ci siano menefreghismo e una grande omertà dei cittadini, ma, nuovamente, da parte dello Stato. Il Giappone dovrebbe prendere più in considerazione questo fattore sociale, questo parassita che è la mafia, in ogni paese, in ogni sua forma e combatterla, invece di scendere a patti con essa o ancor peggio di ignorarla completamente.
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