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di Marta Capaccioni

Our Voice protesta contro la nuova legge del governo (LUC): “La urgente legge dei ricchi la combattiamo in strada”.

“La storia si ripete”, dicono in tanti. Ancora, nel XXI secolo, il martello che opprime, che soffoca e tiranneggia bussa alla porta, assillante. Insiste e persiste, quella dittatura che vuole rientrare nel suo paese a tutti i costi. Sembra una profezia, un futuro inevitabile. Una necessità per i più ricchi, per chi può entrare in una cabina elettorale e lasciare un voto. Ma che potenza quel voto! Decidono di convivere con i fucili dei militari, con il narcotraffico sotto casa e con la mafia come amica.
Questo è il pericolo che sta vivendo l’Uruguay con la nuova legge “di misure urgenti” (LUC), presentata a gennaio dal nuovo governo eletto di estrema destra, il Partito Nazionale, insediatosi alla guida del Paese lo scorso ottobre con il Presidente Luis Alberto Lacalle Pou.
Una legge composta da più di 500 articoli in cui si proteggono esclusivamente i privilegi del 10% della popolazione, ossia di coloro che possiedono il 60% della ricchezza del paese. “I poveri sono responsabili della loro povertà”. Queste accuse sono sufficienti per convincere un intero paese alla necessità di questo piano politico che “assicura la convivenza pacifica delle persone che vivono in Uruguay”.
Non importa se è una legge impopolare che modifica in modo intollerabile gran parte del codice penale, che impone nuove misure fiscali ed economiche e prescrive misure inaccettabili in materia di diritto al lavoro, di educazione e di salute.
Non importa se è una legge antidemocratica per il suo carattere di urgenza, perché elimina ogni opportunità di discussione reale sugli argomenti. L’esistenza futura del paese vive in questi articoli che le due camere parlamentari dovranno dibattere in soli 90 giorni. Una manciata di ore per avanzare contro-proposte e ascoltare, se rimane tempo, il parere dei cittadini. O almeno così prevederebbe la Costituzione.
Sicuramente ieri, centinaia di persone non hanno perso tempo ad aspettare chiamate ufficiali e sono scese in piazza con striscioni, cartelli e tamburi, proprio davanti al Palazzo Legislativo. È stata la prima marcia dopo l’insediamento in ottobre del governo di Lacalle Pou. Una protesta a cui ha partecipato anche il Movimento Our Voice: “Continueremo a mobilitarci, continueremo gridando che non vogliamo nessuna militarizzazione”.
Il pericolo questa volta è davvero alle porte. La profonda crisi sociale ed economica dell’Uruguay, soprattutto in seguito all’emergenza sanitaria dovuta al Coronavirus, sta mettendo in ginocchio chi vive in condizioni precarie e non possiede nemmeno il necessario per sopravvivere.
Di fronte ad una situazione così drammatica, il governo ne è cosciente e vende menzogne proponendo un progetto di legge insostenibile. Nell’economia favorisce i grandi capitali e privatizza le imprese industriali e la produzione di idrocarburi. Nel lavoro limita il diritto di occupazione e di sciopero e vieta i cortei in strada, opprimendo il diritto di espressione e di protesta dei movimenti sociali.


Una legge che “criminalizza la povertà” per assicurare la sicurezza pubblica. “Questo progetto di legge presenta come uniche misure per combattere la “insicurezza” l’aumento delle pene, la creazione di nuovi delitti e la riduzione delle garanzie individuali”, hanno dichiarato i collettivi in protesta.
La repressione è valutata da questo governo come l’unica soluzione: si lascia nelle mani esclusive della polizia il controllo sociale, permettendole di sopprimere le manifestazioni pubbliche e le marce di protesta, e di interrogare e detenere qualsiasi persona senza l’intermediazione dell’autorità giudiziaria e soprattutto senza la presenza della difesa per la parte accusata. Così non si diminuisce il crimine, bensì si alimenta e si rinforza. Così si violano fondamentali diritti umani.
“Si abilita il ministero degli interni a chiedere informazioni alle imprese di telecomunicazioni senza partecipazione giudiziale e inoltre la segreteria di intelligenza passa nelle mani del potere esecutivo”. Misure che fanno paura.
Ma ciò che più spaventa è l’offensiva terrificante sferrata all’educazione pubblica. La storia insegna: il primo interesse di un progetto autoritario è l’indottrinamento della gioventù nelle scuole e nelle università, allo scopo di produrre macchine omologate e pensanti che creano consenso. Un attacco al cuore della libertà di espressione, per lo sviluppo della coscienza critica. Preoccupante. Molto preoccupante.
Adesso i grandi fini dell’educazione saranno definiti dai settori politici che rappresentano gli interessi dei militari, dei nemici dei sindacati, degli omofobi e dei vincitori dell’imperialismo, degli adulatori di Bolsonaro e degli ammiratori della politica economica di Macri, di quelli che si ispirano al modello cileno fondato sui privilegi dei grandi imprenditori. Le istituzioni militari saranno all’interno dei progetti di formazione, finanziando l’educazione. Il Consiglio di Educazione sarà comandato da un’unica persona che deciderà arbitrariamente. E ancora, tutti gli insegnanti saranno valutati a seconda della loro aderenza o meno al “compromesso con il progetto”: per i docenti, non essere allineati al programma nazionale stilato dai capi politici significherà essere giudicati con un “voto peggiore” e quindi avere minori opportunità lavorative.
Quindi, è davvero possibile che tutto questo possa succedere? Evidentemente sì.
Già movimenti sociali, associazioni, avvocati e organismi internazionali che lavorano per la protezione dei diritti umani hanno denunciato la minaccia pericolosissima rappresentata da questa legge.
Anche noi, come Our Voice, ci uniamo e scendiamo in strada gridando: “No alla LUC”.

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