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di Piero Innocenti
Di fronte all’aumento dei casi di contagio da Covid-9 che si andavano registrando in Brasile, il 10 aprile scorso, per cercare di contenere l’epidemia, il governo del presidente Bolsonaro aveva avviato una vera e propria “negoziazione” con i narcotrafficanti e i paramilitari che controllano le centinaia di “favelas” intorno alla capitale Rio de Janeiro e nelle altre grandi città. Sono, così, apparsi, nelle strade, messaggi sul “toque de queda” (coprifuoco) con la criminalità che ordinava agli abitanti di non uscire di casa dopo le 20 con la minaccia di adeguati “provvedimenti” nei confronti di chi non avesse rispettato l’ordine. Vivendo nelle misere condizioni delle favelas l’epidemia, tuttavia, non ha rallentato e, anzi, al 30 aprile, con oltre 80mila contagiati e più di 5mila morti, il paese è quello con il maggior numero di casi rilevati in tutta l’America Latina e l’undicesimo nel mondo. Lo spaccio di droga nelle favelas è sempre l’unica fonte di sostentamento per i milioni di brasiliani che vivono abbandonati in vere e proprie “cittadelle”, sacche di attività illecite. In Brasile ci sarebbero almeno una trentina di gruppi criminali, ma il “Primeiro Comando da Capital” (PCC), il “Comando Vermelho” (CV) e la “Familia do Norte” (FdN), sono senza dubbio le organizzazioni criminali che sovrastano tutte le altre. In particolare il PCC che, secondo analisti brasiliani, conta circa 30mila membri, molti detenuti nelle carceri (ad aprile 2020 si contano complessivamente circa 750mila reclusi, il numero maggiore al mondo dopo Stati Uniti e Cina) da dove l’organizzazione dirige gran parte delle attività criminali - omicidi, furti, sequestri di persona, narcotraffico - utilizzando “pizzini” consegnati ai familiari in visita nei penitenziari.
Il narcotraffico è sicuramente la principale attività del PCC, che controlla tutti i porti da dove partono le navi portacontainer con destinazione Usa, Europa, Asia (Cina e Hong Kong), Africa (in particolare verso alcuni Stati di lingua portoghese come Capo Verde, Guinea Bissau e San Tomè). Il 90% delle circa 48 tonnellate di cocaina sequestrata nel 2019 è avvenuto nei quattro porti, in particolare in quello di Santos (il più grande dell’America Latina), di Paraguanà e di Natal e in tutti casi la cocaina era stata occultata nei container con destinazione finale nei porti di Anversa e di Rotterdam e, in un caso, verso il Marocco.
L’azione di controllo e di repressione è migliorata sensibilmente rispetto ad una ventina di anni fa, se si pensa ai sequestri di cocaina di quei tempi (mediamente una decina di tonnellate l’anno), grazie anche a sistemi di scanner utilizzati per verificare l’interno dei container.
L’esportazione della cocaina (proviene soprattutto dalla Bolivia e dal Perù e in misura minore dalla Colombia) segue anche le vie fluviali per raggiungere le regioni del nord fortemente interessate dal narcotraffico e in direzione del Suriname.
Il Brasile, oltre ad essere un ponte internazionale importante del commercio di cocaina verso l’Europa, è anche il luogo prediletto di molti mafiosi colombiani, italiani, giapponesi. Non dimentichiamo, negli anni passati, la cattura a San Paulo di Tommaso Buscetta, di Lelio Paolo Gigante, di Antonio Salomone (esponente della famiglia dei Greco) e la residenza, per lunghi periodi, di Gaetano Badalamenti, Nunzio Guida e Antonio Bardellino, personaggi di spicco della criminalità mafiosa di “casa nostra”, ma anche altri latitanti italiani di minore spessore criminale che hanno scelto il Brasile per concludere “affari” nel mercato delle droghe.
E’ sempre San Paolo la sede della principale “borsa” dove si incontrano rappresentanti delle varie organizzazioni criminali per definire i prezzi degli stupefacenti, fare previsioni di mercato, stabilire rotte sicure per l’esportazione della cocaina. E così, da anni, senza grandi problemi.

L’Argentina del dopo Macrì
Terminando, a dicembre 2019, il suo mandato quadriennale, il presidente Mauricio Macrì (di origini italiane, suo nonno emigrò dalla Calabria in Argentina nel 1948) ha voluto ricordare anche i risultati conseguiti durante il suo governo nella lotta al narcotraffico evidenziando, tra l’altro, anche il contenimento dei livelli di violenza che, con un rapporto di 5,1 omicidi per 100mila abitanti del 2019, ha rappresentato il valore tra i più bassi della regione e di quello nazionale degli ultimi venti anni. E’ toccato, quindi, alla Ministra della Sicurezza uscente riepilogare i dati antidroga più significativi dei quattro anni passati che hanno portato al sequestro complessivo di 805 ton. di marijuana (128 ton. solo nel 2019), di 33 ton. di cocaina (6,9ton nel 2019), di 626.698 pasticche di droghe sintetiche, all’arresto per narcotraffico di 107.257 persone. Dati che indicano un consumo di stupefacenti che è andato aumentando negli anni grazie alla crescente disponibilità di cocaina.
Toccherà, quindi, al nuovo presidente Alberto Angel Fernandez, continuare con fermezza nell’azione di repressione al traffico di stupefacenti e già in questi quattro mesi vi sono stati segnali incoraggianti. Tra le varie operazioni antidroga condotte dalla Polizia Federale va segnalata quella di febbraio scorso (op. Rodillo de Cristal) condotta in collaborazione con la Polizia spagnola che ha portato al sequestro di 41kg di MDMA in polvere, con cui si sarebbero potute produrre circa un milione di pasticche di ecstasy. Un problema serissimo questo della produzione di droghe sintetiche che ha avuto una conferma, sempre a febbraio, con la scoperta di un laboratorio clandestino, nei pressi dell’esclusivo Jockey Club Golf della capitale, dove un esperto chimico (e la moglie) utilizzava una sofisticata apparecchiatura in grado di produrre fino a 5mila pillole di ecstasy l’ora. La presenza di laboratori clandestini non è una novità. Cinque anni fa ne furono individuati molti che lavoravano la pasta base di cocaina rendendo il prodotto finale più facilmente reperibile e ad un costo inferiore rispetto al passato (diffuso il consumo di “paco” che è, appunto, un prodotto di scarto nel processo di trasformazione della pasta base di cocaina in cloridrato). Il paese, straordinario e coinvolgente per molti aspetti, è anche un eccellente punto per l’invio all’estero delle droghe grazie alle piste di atterraggio clandestine dislocate soprattutto nelle province settentrionali e ai porti di Buenos Aires, di Mar de la Plata e di Rosario che ben si prestano all’invio via mare, utilizzando navi portacontainer, verso i mercati americano ed europeo.
Il nostro paese, poi, è una delle mete preferite grazie anche ad una presenza mimetizzata di cellule della criminalità organizzata nostrana nel contesto di una laboriosa e numerosa comunità italiana - oltre 900mila i cittadini italiani residenti in Argentina, più di 200mila solo nella capitale - che ne fanno la più grande al mondo di residenti all’estero.
Eccellente la collaborazione nel settore antidroga tra le polizie italiana e argentina come risalta dalle tante operazioni condotte negli ultimi anni sia in Italia che in Argentina (Yemen 2016, Pescado Blanco, Salgar, Mephisto, Cuervo, Piedras Blancas, Tesla, Magma).
Qualche criticità sembra rilevarsi nel sistema nazionale antiriciclaggio. Nel 2017 il Parlamento promulgò una legge che consentiva una sanatoria per tutti i capitali detenuti illegalmente sia nel paese che all’estero da persone fisiche e giuridiche, da immettere nell’economia argentina per il finanziamento di operazioni immobiliari o di investimento nei settori delle infrastrutture e dell’energia. Un provvedimento che si ritiene abbia consentito alle grandi organizzazioni criminali di riciclare denaro sporco attraverso il mercato finanziario argentino.

Tratto da: liberainformazione.org

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