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di Claudio Rojas
All'età di 88 anni è deceduto nella sua abitazione nella Comunità La Minga il sacerdote Mariano Puga, conosciuto come il "prete operaio". Dall'anno scorso, era affetto da un cancro linfatico che si era aggravato negli ultimi giorni. La morte del sacerdote è stata confermata dalla stessa Comunità La Minga, che, attraverso un comunicato, ha scritto: "Si è allontanato dalla sua amata Minga all'incontro con Cristo, colui che egli ha tanto amato e che lo ha ispirato e spronato a dedicare la propria vita ai poveri e agli oppressi”.
In mezzo ad una curia corrotta, all’interno della Chiesa Cattolica esiste un sacerdote rispettato e amato dal suo popolo e dalla sua parrocchia, un perseguitato dai suoi superiori perché era un teologo della liberazione, "un comunista estremista", un "anarchico", che dopo aver realizzato una messa nei cortili dei tribunali di garanzia per chiedere la liberazione di oltre 3.500 prigionieri politici, detenuti senza un processo, senza motivo, senza un'imputazione, era stato oggetto di una sanzione ecclesiastica delle autorità farisaiche della Chiesa.
Il giorno in cui fu reso noto che la chiesa cattolica aveva deciso di sanzionare padre Mariano Puga per "uso arbitrario della liturgia" ci fu una reazione immediata contro quella misura che causò l’indignazione dalle reti sociali, e numerose critiche verso l'istituzione ecclesiastica in difesa del "prete operaio”.
Ecco chi era il sacerdote Mariano Puga, un sacerdote diocesano cileno conosciuto come il "prete operaio", ex parroco di La Legua, fondatore della Parrocchia Universitaria e difensore dei Diritti umani durante la dittatura militare, attività che lo portò ad essere arrestato e fatto prigioniero a Villa Grimaldi e nel centro di detenzione Tres Álamos. Successivamente, fu esiliato in Perù e al suo ritorno lavorò al Vicariato della Solidarietà. Fu allora che sentì la necessità di prendere nuovamente posizione a favore degli umili e delle persone in attesa di giustizia. Queste le sue parole:
È l'ora dei poveri..!!!
Mariano Puga, dalla sua Comunità Cristo Liberador di Villa Francia, ci aveva inviato questa lettera che ci invitava a riflettere sui fatti accaduti nella Cattedrale di Santiago sabato 11 gennaio:
"In Cile stiamo vivendo un'esplosione. Quelli di noi che sono discepoli di Gesù possono comprendere che la felicità che promise agli affamati e agli assetati di giustizia non poteva più rimanere in silenzio, con timore, con paura. È questo il messaggio trasmesso attraverso un abbraccio fraterno che si è esteso da nord a sud. Abbiamo ritrovato sogni in cui la giustizia, la fratellanza e l'equità sono possibili. Forse la gioia di sentirci vivi ritornerà a specchiarsi nei volti e l'odio e la vendetta potranno essere scacciati. Basta aprire gli occhi per vedere che qualcosa di nuovo sta accadendo in Cile. E questo ci dà l'opportunità di avere un cuore aperto e occhi compassionevoli. Così, possiamo fare del Cile il nostro paese”.
"Ieri, nella Cattedrale di Santiago assumeva la sua carica il nuovo Arcivescovo, il nostro pastore Celestino. Mentre veniva distribuito il sacro corpo di Cristo, durante la messa, due giovani sono stati fermati dai Carabinieros nell'indifferenza dei nostri pastori, per aver buttato a terra cartucce di pallettoni e bombe lacrimogene. La nostra fede ci dice che quelle cartucce hanno mutilato, flagellato, ammazzato e accecato per tutta la vita le nostre sorelle e i nostri fratelli, che sono anche, soprattutto in questo momento, il corpo di Gesù Cristo che ci grida "tutto quello che fai a tuo fratello lo hai fatto a me”.
Ci sono molti volti di Cristo inchiodati sulla croce nella Cattedrale. Le pallottole, la violenza usata con accanimento, non sono i chiodi di ieri che crocifiggono oggi il popolo? Perché non li tiriamo fuori, perché non osiamo tirarli fuori? Se non è permesso al popolo denunciare nelle strade, non possiamo farlo dentro i nostri templi? O sono per caso templi dove il popolo non si sente più a casa? Bisognerebbe chiedere a Gesù chi caccerebbe oggi fuori dal tempio a sferzate?
"Il fatto è che i due giovani che ci hanno aiutato a scoprire il volto di Cristo nelle vittime di sparatorie e violenza sono stati fermati, portati dai Carabinieros al commissariato e come al solito non sappiamo esattamente di cosa sono accusati né quale sarà il loro destino. Sappiamo solo che Gesù li incoraggia e dice loro “per causa mia siete attaccati”. Dove sono invece quelli che, a differenza di questi giovani, hanno sparato contro il popolo, ferito e reso cieche oltre duecento persone? L’atto compiuto da questi giovani non potrebbe essere definito, pensando a Gandhi e a Mandela "la violenza dei pacifici?". Questi giovani che ci ricordano il volto di Gesù in ogni essere umano, non meritano la nostra lode più che la prigione? Non si meritano la gratitudine dei pastori e di tutti noi perché ci ricordano quel Gesù oltraggiato in tanti esseri umani nel momento stesso in cui facciamo la comunione con il corpo e il sangue di Cristo?"
"In Cile stiamo vivendo un momento privilegiato benché molti abbiano il diritto di non vederlo così. Tuttavia, quelli di noi che credono in Gesù di Nazaret e nella speranza che ci ha lasciato, colui che aiuta i poveri, che consola chi piange, che nutre gli affamati, che purifica i nostri cuori, vedono in questo caos un momento meraviglioso per chiederci umilmente: “Stiamo adempiendo al comandamento di Gesù ‘fai a tuo fratello quello che vorresti fosse fatto a te’?”.
Mariano Puga verrà compianto da molte persone di posizioni diverse, dalle diverse sensibilità politiche e diverse classi sociali. Forse sarà una delle ultime volte che saremo testimoni di questo. Credo che ci vorrà del tempo prima che la Chiesa riunisca in maniera così trasversale cileni e cilene, ciò è molto bello e dobbiamo viverlo.
Mariano è importante perché per tutta la vita è stato molto coerente nel mettere in pratica la fede. Lui ha unito perfettamente la fede e la vita, non l’ha mai separata in termini di politica, a livello sociale, economico, ecc. Per il vangelo di Mariano questa era la chiave. Il suo impegno era nella realtà umana, non era astratto.
Per provare a capirlo, bisogna guardare La Legua e Villa Francia (quartieri popolari). Ad un paio di isolati da dove viveva, all'angolo dell’Avenida 5 de abril con Yelcho, c'è un murale che ricorda l'arrivo di papa Francisco in Cile nel 2018 e che Puga stesso si occupò di fare dipingere
Con il corpo indebolito, ma con l'aspetto forte, ricordò lì i giorni trascorsi a Tres Álamos e quanto gli fu difficile perdonare i "suoi fratelli" in uniforme che lo avevano rinchiuso, quel giorno fece parlare quasi tutti e abbracciò una madre il cui figlio era appena riuscito a ritornare a casa, anche se agli arresti domiciliari.
Non ha parlato a mezzi stampa, se n’è andato senza eccessi, ma mai in silenzio. Quella messa ha provocato in lui il dispiacere di sentire che la fede da lui professata stava venendo meno ad essere solidale con il suo popolo. "Quanto vale la fede se non ci sono le opere?", chiese ai sacerdoti nella sua lettera più recente, la stessa che ha redatto nell'ospedale che lo ha ospitato in questi giorni.
L'anno scorso, l’instancabile sacerdote ha continuato il suo impegno missionario viaggiando in Europa, ma al suo ritorno il Cile ha preferito tornare nuovamente a vivere nella comunità di La Minga. In quel periodo partecipò anche ad un documentario sul sacerdote Rolando Muñoz, diretto dal documentarista e professore di religione, Cristián Rosales.
Il "suo desiderio profondo era di gioire di questo momento con Gesù", diceva un comunicato che nelle prime ore del mattino attestava la sua morte.
Mariano Puga sapeva molto bene che il ministero si esercita sullo stesso piano dove sono i fedeli, mai da pulpiti tappezzati di porpora e in liturgie inaccessibili. Il sacerdote operaio vive ora la sua Pasqua ed è in pace tra i suoi cari.

*Foto di Copertina: www.soychile.com

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