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di Claudio Rojas
Quattro mesi fa, più di un milione e duecentomila persone sono scese in strada per dire basta! Basta ai salari miserabili, basta alle pensioni poverissime, basta ai tagli dell'istruzione pubblica, basta alle privatizzazioni assurde come quella dell'acqua, basta ai tagli sulla salute pubblica a favore dell'impero commerciale della sanità privata, basta ai poliziotti che entrano ogni giorno negli istituti scolastici per picchiare e maltrattare gli studenti, basta ai ministri che si prendono gioco delle necessità del popolo, come quel ipocrita del ministro dell’educazione che propose di "organizzare dei bingo" per sistemare le aule allagate, o un'altra luminare che suggerì di alzarsi prima" per risparmiare sul costo del trasporto, o quell'altro esperto che, di fronte ai rialzi sui beni di prima necessità, consigliò di "comprare fiori perché sono economici". Oltre un milione e duecentomila persone hanno gridato basta ad un governo presieduto da un fantoccio inetto e con precedenti penali accertati.
Con Sebastián Piñera il paese è stato definitivamente consegnato alla voracità degli uomini d'affari e delle multinazionali, qualcosa che si incominciò a forgiare durante la dittatura e in seguito fu intensificato da tutti i governi post-dittatura. Hanno seminato povertà, precarietà, abbandono e disperazione, convinti che la forza del potere avesse anestetizzato per sempre gli abitanti della nazione. Fino a quando la rabbia è scesa sulle strade a dire: basta!
Ora, l'inetto, decisamente stupido presidente, lo stesso che annunciò "siamo in guerra" e portato i soldati sulle strade, ora dichiara che il milione e duecentomila persone scese in strada lo hanno riempito di gioia, annuncia cambi di ministri e, come un padrone che mette mano al portafoglio, dice che è disposto ad aumentare i salari e le pensioni, a frenare gli aumenti di elettricità, acqua e trasporti, e persino di considerare che i ricchi paghino alcune tasse allo Stato.
Immediatamente dopo, vedendo che le mobilitazioni continuavano anche dopo che il Governo aveva affermato di aver compreso e si era impegnato a lavorare ad un programma sociale, (cosa che non ha fatto né farà) hanno fatto un accordo tra quattro mura senza la partecipazione popolare, per indire un plebiscito per il prossimo 26 aprile con l’intento di cambiare la Costituzione, controllando loro stessi la procedura.
Durante questi mesi le mobilitazioni sono continuate e loro hanno iniziato ad avere paura, per l'imminente sconfitta nel plebiscito; come sempre il Governo scommette sul logoramento e sulla repressione. Inizia una serie di attacchi per criminalizzare la protesta e un’immensa campagna di comunicazione contro il rifiuto di un cambio di Costituzione che vede nella paura il protagonista principale.
È per questo che, oltre l'operazione fraudolenta di cui fa parte, il plebiscito del 26 aprile è chiamato a costituire un evento politico rilevante, il cui significato sarà impossibile da ignorare. Di fronte a ciò, politicamente ci sono solo due opzioni: esortare a partecipare massivamente o fare un appello a boicottarlo, impegnandosi poi a raggiungere un risultato positivo nell'opzione scelta. Ciò che chiaramente non si può fare è ignorarlo.
Quale di queste due opzioni è quella che permette di dare maggior impulso alla lotta per un cambiamento rivoluzionario della società in cui viviamo? Quale di esse è quella che, nel contesto dell'attuale congiuntura, si accorda più chiaramente con la lotta per i diritti, e le aspirazioni che hanno mobilitato il popolo lavoratore? Quale può aiutarci maggiormente ad elevare gli attuali livelli di coscienza, organizzazione e mobilitazione popolare?
L'opzione del boicottaggio sembra avere a suo favore la possibilità di denunciare meglio il carattere fraudolento del processo costituzionale che l'infame e reietta casta politica ha furtivamente elaborato. Ma, nonostante l'ampio rifiuto dei cittadininei loro confronti, sembra altamente improbabile che una chiamata a boicottare il plebiscito possa raggiungere l'adesione pressoché unanime necessaria per vincere.
A giudicare dai sondaggi, l'alternativa di chiamare a partecipare al voto nel plebiscito del 26 aprile per le opzioni "approvo" e "convenzione costituzionale" ha buone probabilità di risultare vincente, ma dovrà poi affrontare le diverse difficoltà che interesseranno il processo costituzionale successivo, la cornice istituzionale e legale derivata dall'accordo menzionato prima.
Per contrastare questo discorso, oltre a denunciare e respingere la brutale e folle violenza della polizia, la sinistra deve condannare fortemente anche i saccheggi e gli incendi a chiese, autobus e treni, azioni che, prive di giustificazione politica, che inevitabilmente hanno generato uno spontaneo e generalizzato rifiuto nella popolazione, e sono state prontamente utilizzate dal potere borghese per giustificare un'intensificazione delle sue azioni repressive. Oggi è più che mai necessario unire tutte le forze del paese in una lotta poliedrica e permanente per la democratizzazione reale e profonda della società a tutti i livelli, un'unità che può e deve verificarsi solo sulla base del riconoscimento pieno e senza restrizioni della sovranità popolare come unico fondamento possibile di un sistema politico effettivamente democratico. La volontà sovrana del paese è quella che deve prevalere.
È lì, nella rivendicazione chiara, decisa e coerente del principio della sovranità popolare, fonte di ogni legittimità democratica, che le forze che si considerano di sinistra devono incentrare tutto il loro discorso al fine di aprire un canale progressivo per la mobilitazione popolare attualmente in corso. E per questo devono anche utilizzare tutte le tribune e contendersi tutti gli spazi, senza cedere neanche un solo millimetro alle forze della opposizione.

Foto di copertina: www.tnprensalatina.com

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