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di Piero Innocenti
L’Africa è diventata ormai un importante hub per i traffici di stupefacenti a livello mondiale ed il mercato delle droghe sta offrendo interessanti opportunità per le mafie anche nel settore del riciclaggio di denaro.
Il continente nero, dunque, è diventato, con il trascorrere degli anni, un’area geografica di rilevante interesse criminale per molte organizzazioni criminali e, su tutte, quelle delle mafie italiane.
Negli anni passati, i paesi maggiormente interessati dalle rotte delle droghe erano stati quelli dell’Africa occidentale, in particolare la Guinea, Guinea Bissau, Gambia, Senegal, Nigeria, Benin, Ghana, Togo. Più di recente, anche gran parte dell’Africa orientale e meridionale si è definitivamente trasformata in area di passaggio degli stupefacenti diretti in Europa (cfr. anche la relazione annuale della DCSA del 2014).
Attratti da una situazione estremamente favorevole – frontiere poco controllate, corruzione diffusissima tra i vari apparati di polizia e delle dogane, sostanziale impunità derivante da un sistema giudiziario controllato dalla politica – diversi esponenti delle mafie italiane sono emigrati in Africa e vi si sono insediati stabilmente.
Così, a Casablanca, hanno “trovato la Mecca” i camorristi dei Marano e dei Casalesi, mentre a Dakar fanno “la pacchia” le cosche dei Morabito e degli Arena di Capo Rizzuto e in Namibia, a Ensuru e Windohek, se la godono le famiglie mafiose di Partinico Cinisi e Terrasini. Persino a Lagos (Nigeria), zona difficile per la presenza già ingombrante della mafia nigeriana, la camorra è presente con Di Giovine e Morabito.
I servizi informativi europei ed americani segnalano presenze criminali di “casa nostra” anche in Egitto, Somalia, Tunisia e persino in Ghana, nella capitale, ci sono “interessi” delle ‘ndrine Pelle Vottari e dei Coco-Trovato.
Per tutti, naturalmente, il mercato mondiale degli stupefacenti si conferma, anche nell’anno che sta terminando, l’attività criminale più redditizia. Si tratta, comunque, di riuscire a penetrare meglio, attraverso indagini che possono svilupparsi solo con una collaborazione vera con le polizie, le realtà di questi paesi ed è sicuramente un compito non facile.
Anche dall’esame delle varie relazioni redatte negli anni dalla Direzione Investigativa Antimafia (DIA) si evidenziano pochi e scarni riferimenti (ne ho trovati solo nel 2009 e nel 2012) a possibili scenari di cooperazione di reciproco interesse con alcuni paesi africani.
Particolare interesse ha, invece, suscitato di recente (cfr. la relazione secondo semestre 2018 della DIA, presentata a giugno 2019) gli Emirati Arabi Uniti che, insieme all’Arabia Saudita, già nel 2014 avevamo avuto occasione di segnalare come due paesi in cui si erano registrati consistenti sequestri di cocaina.
In particolare, la DIA annota “le evidenze degli interessi delle organizzazioni criminali di tipo mafioso italiane verso gli Emirati Arabi Unit.” collegate, soprattutto, alle difficoltà di estradizione di diversi latitanti che sono stati localizzati in quel paese.
Punto che dovrebbe superarsi dopo l’approvazione, nell’ottobre 2018, della legge di ratifica del Trattato di estradizione e di mutua assistenza in materia penale tra il nostro Governo e quello degli Emirati Arabi Uniti. Vedremo come andrà a finire sul punto dopo che sono state rinnovate, agli inizi del 2019, alcune richieste di estradizione e si sta cercando, tra non poche difficoltà (nel paese operano, in due “zone franche”, migliaia di società multinazionali e di società commerciali individuali), di approfondire alcune forme di reimpiego di capitali illeciti nel settore immobiliare.

Il ruolo dei nigeriani
La posizione geografica fa del continente africano un’utile area di passaggio degli stupefacenti, dalle zone asiatiche della produzione ai mercati di consumo, nei paesi dell’Occidente industrializzato.
L’eroina del Triangolo d’Oro segue la rotta africana per giungere in Europa e negli USA; ma anche la cocaina colombiana passa attraverso le coste o l’entroterra di diversi paesi africani. Allarmi che giungono dagli stessi esperti per la sicurezza della Direzione Centrale per i Servizi Antidroga (DCSA) presenti in alcune sedi africane tra cui Dakar che sottolinea come “l’intenso traffico dei container provenienti dal Sudamerica e dal Sud est asiatico (..) veicolati attraverso i porti di Dakar, Tema (Ghana), Lagos (Nigeria), Cotonou (Benin), Lomè (Togo) e Douala (Camerun), costituisce terreno fertile per dissimulare la cocaina proveniente dall’America Latina e altre sostanze stupefacenti destinate ai porti europei (..) nonché eroina (..) destinata verso gli Stati Uniti” (cfr. la relazione annuale DCSA 2019).
E problemi analoghi si rilevano nella vicina Mauritania, in Mali, nella Guinea Bissau e nel Gambia, tutti paesi nei quali è forte la presenza di narcotrafficanti internazionali. Per non parlare del Marocco che pur rimanendo il maggior paese produttore al mondo di cannabis è interessato “anche per il transito di quantitativi di cocaina proveniente dal Sudamerica a bordo di container o trasbordata da navi in alto mare” (rel. DCSA, cit.).
Certo il consumo di cannabis è venuto aumentando (Nigeria e Ghana si contendono il primato della produzione africana di marijuana) assieme a quello di eroina, cocaina, amfetamine e allucinogeni, come pure il traffico di metaqualone tra l’India e l’Africa del sud. E’ anche vero che l’emigrazione africana nei paesi dell’UE costituisce, tendenzialmente, una rete ideale per la distribuzione, ma non mancano legami con la malavita estera.
Nel continente nero il primato delle organizzazioni criminali spetta a quelle nigeriane che riescono a controllare gran parte dei traffici illeciti (ed è ben noto, ormai, come la criminalità organizzata nigeriana che in diverse inchieste giudiziaria ha assunto anche le caratteristiche mafiose, si sia insediata anche in molte regioni italiane) tra cui quelli della gestione e dei traffici locali di cocaina che, per esempio, in Ghana, hanno consentito,a partire dal 2013, “varie connessioni con le organizzazioni criminali presenti in Europa”.
I nigeriani non sono più soltanto spacciatori o “muli” ma, da tempo, ormai, agiscono come fornitori, organizzatori, mediatori e corrieri in Italia, Belgio, Olanda, Austria, Germania, Svizzera, Inghilterra, India, Pakistan, Romania, Thailandia, Turchia, Usa e Brasile.
Che i nigeriani nel panorama del narcotraffico siano importanti in Brasile fu accertato, già nel 2001, da un’apposita Commissione parlamentare d’inchiesta che nella sua relazione finale fece riferimento ad una “borsa della droga” esistente a San Paolo dove erano proprio i nigeriani a fissare giornalmente il prezzo della cocaina.
Importanti connessioni sono emerse nel corso di indagini in UE anche con trafficanti libanesi e mediorientali in genere, dal momento che, da alcuni decenni, esistono colonie di queste etnie in Nigeria.
I nigeriani hanno uno spiccato senso degli affari nel commercio degli stupefacenti (lo dico anche per esperienze di servizio dirette) e, in tema di destrezza e capacità nel settore dei circuiti finanziari telematici, per trasferire denaro, non sono secondi a nessuno.
Per quanto riguarda l’Italia, di solito l’eroina arriva direttamente dalla Nigeria in piccole quantità trasportata dal singolo in “visita turistica”. Può essere il “servizio” di un individuo isolato che si appoggia a connazionali residenti, ma più spesso si tratta di corrieri che vengono ingaggiati dai “baroni” nigeriani in collegamento con le “confraternite” (cults) e gruppi criminali ormai stanziali sul nostro territorio (sul punto si veda la relazione semestrale della DIA presentata a luglio 2919).
Gli “affari” vanno bene nonostante l’azione di contrasto delle forze di polizia italiane che ha portato, nel triennio 2016/2018, all’ arresto di 4.531 nigeriani per traffico /spaccio (dati di fonte SDI/SSD, Dipartimento della Pubblica Sicurezza).

Tratto da: liberainformazione.org

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