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di Margherita Furlan
Dopo il colpo di Stato che ha costretto alle dimissioni il Presidente, Evo Morales, in Bolivia le numerose mobilitazioni che attraversano il Paese si trovano ad affrontare una brutale repressione da parte delle forze armate e della polizia. Gli agenti utilizzano gas lacrimogeni, sparano a distanza ravvicinata con armi da fuoco, picchiano i manifestanti e arrestano persone sospettate di appartenenza al Movimento verso il socialismo (MAS). Sono le stesse forze che hanno chiuso gli occhi di fronte agli atti di violenza commessi da gruppi di destra contro membri del MAS mentre sostenevano blocchi stradali e scioperi nei giorni successivi alle elezioni generali. Ora l'apparato repressivo addestrato dagli Stati Uniti in Bolivia è stato completamente attivato per impedire al popolo boliviano di chiedere il rispetto del voto e le dimissioni dell’auto proclamata Presidente, Jeanine Añez.
Secondo un rapporto compilato dal Centro latinoamericano per l'analisi strategica (CLAE), dal Comitato internazionale della gioventù per la pace in America Latina e dalla generazione Evo, l'escalation della violenza dopo il colpo di stato civile-militare è già costata 23 morti e 715 feriti.
La città di El Alto, che confina con la capitale La Paz e i cui abitanti sono per lo più indigeni e classe operaia, è il centro delle mobilitazioni a sostegno di Morales. I manifestanti marciano quotidianamente da El Alto verso la capitale per chiedere le dimissioni della senatrice dell'opposizione Jeanine Áñez, auto proclamatasi "presidente ad interim" lo scorso 12 novembre.
Il Comitato Esecutivo della Confederazione Unita Sindacale della Bolivia (CSUTCB), la Confederazione Sindacale delle Comunità Interculturali della Bolivia, la Federazione dei lavoratori contadini 'Ponchos Rojos', le Sei Federazioni del Tropico di Cochabamba, tra gli altri, hanno manifestato il loro completo sostegno a Morales e hanno dichiarato che non si fermeranno fino a quando Morales non tornerà a coprire la sua carica di Presidente.
Un giovane membro dell’organizzazione, che preferisce restare in anonimato, ha così riferito: “Il 15 novembre del 1781 è stato ucciso il nostro grande leader, Tupac Katari, perché era forte, perché ha combattuto per la classe contadina e per le nazioni indigene in Bolivia (Aymaras, Quechuas e Guaraní). E cosa hanno fatto? Per dare una lezione a tutta la classe contadina, ha proseguito il manifestante, lo torturarono legandolo a quattro cavalli, ma Tupac Katari era così forte che dovettero usare il machete per smembrare il suo corpo.”
Per questo manifestante e per molti altri, la resistenza consiste nel portare avanti l'eredità della resistenza anticoloniale di Katari e di molti altri leader indigeni: “Vengo dalla terra di Tupac Katari, dalla provincia di Aroma e non mi arrenderò. Resisteremo fino all’ultimo minuto perché abbiamo già allontanato Gonzalo Sánchez de Lozada, in esilio negli USA. Ora hanno portato la loro studentessa Jeanine Añez, così come Luis [Fernando] Camacho… ma pagheranno perché possono zittire le persone solo per un periodo di tempo molto limitato, perché abbiamo una memoria e non siamo disposti ad arrenderci, noi lotteremo e anche se dovessimo morire, moriremo.
Nel frattempo, Ruddy Uria, direttore delle comunicazioni della polizia nazionale, ha dichiarato il 13 novembre scorso: "Organizzeremo gruppi in tutte le città in cui esiste il più alto livello di violenza, andremo ai punti focali che sono stati identificati e riprenderemo le città. Chiedo ai cittadini di collaborare con noi e alle persone che non sanno che la democrazia è tornata nel nostro Paese, che si astengono dal commettere eccessi, procederemo agli arresti, prenderemo tutti i capi che stanno creando caos nel nostro Paese.” Anche i medici cubani che lavorano in Bolivia sono stati presi di mira da funzionari governativi. Nello stesso giorno, quattro membri della Brigata medica cubana di El Alto sono stati arrestati e accusati di finanziamento e istigazione di proteste contro il colpo di Stato.
La Commissione interamericana per i diritti umani (Cidh) ha così condannato il governo di Añez per aver emesso un decreto che esenta da ogni responsabilità penale i soldati che prendano parte alla repressione delle proteste. Eppure l’Unione europea, un tempo grande riserva di valori democratici, ora resta miope alla violenza, ala sofferenza e infine alla volontà dei popoli. Tanto che, Federica Mogherini, Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza di Bruxelles ha dichiarato che il desiderio dei 28 paesi che compongono il blocco è che “tutte le parti del Paese esercitino contenimento e responsabilità e portino pacificamente e con calma il paese verso nuove elezioni credibili per i boliviani per esprimere la loro volontà democratica".

Foto © Reuters

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