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di Matias Guffanti - Video
Dopo 30 anni di politiche restrittive nei confronti delle fasce meno abbienti e a tutto vantaggio delle famiglie più ricche del Paese il popolo cileno, capitanato dagli studenti e dai movimenti sociali si è recentemente ribellato all'attuale Presidente Sebastiàn Piñera. Una rivolta esplosa in seguito all'aumento del prezzo della metro, solo la scintilla che ha scatenato la reazione dei manifestanti scesi in strada per chiedere la fine del modello neoliberista attuato da diversi governi - sia di destra che di sinistra - dai tempi della dittatura di Augusto Pinochet fino ai giorni nostri.
Già da qualche tempo infatti gli studenti, in segno di protesta, avevano iniziato ad utilizzare la metropolitana senza pagare il biglietto, mentre in differenti zone della città si erano registrati anomali incendi e saccheggi nei centri commerciali. Episodi per i quali erano state ritenute responsabili le forze di sicurezza, ma che in seguito allo scoppio della protesta erano stati strumentalizzati al fine di giustificare la grande repressione messa in atto contro i manifestanti.
Anche i “cacerolazos” - caratteristici delle proteste in Sudamerica, che esprimono il loro pacifico dissenso e chiedono condizioni di vita più dignitose percuotendo coralmente comuni oggetti da cucina - si sono fatti subito sentire in tutto il Cile. Tanto che il governo ha deciso di rispondere con ancor maggiore violenza e repressione.
In seguito alle proteste il Presidente ha infatti dichiarato lo Stato d'emergenza, cedendo il controllo del Paese alle Forze Armate. Successivamente ha annunciato il coprifuoco vietando la libera circolazione dei cittadini per le strade e/o la permanenza in luoghi pubblici soprattutto negli orari comunicati, giorno per giorno, dallo stesso governo.
Da allora si sono registrate decine di morti, sparizioni di persone, stupri di donne, torture ad adulti, giovani e perfino bambini, rapimenti illegali e violenze assolutamente ingiustificate che hanno causato ferite gravi a migliaia di manifestanti pacifici.
Nonostante tutto questo il popolo non si è fermato. E lo scorso 25 ottobre il Presidente Sebastiàn Piñera si è trovato di fronte alla più grande manifestazione nella storia del Paese, con oltre un milione di persone scese in strada. Una situazione che lo ha costretto, nel tentativo di frenare la protesta, ad eliminare lo stato d'emergenza e il coprifuoco e a promettere, tra le altre cose, miglioramenti dei salari e delle pensioni e abbassamento delle tasse. Mentre ha provveduto alla sostituzione di otto ministri del suo Governo.
Misure che, lungi dal tranquillizzare la situazione, sono apparse come una beffarda provocazione. Un tentativo, quello del Presidente, di lavarsi dalle mani il sangue che lo rende responsabile e colpevole di tutte le violazioni ai diritti umani che il suo Paese è tornato a vivere, così come accadde nel 1973.
Non è sufficiente cambiare otto ministri per sostituirli, tra l'altro, con altri politici che sono parte della sua stessa cerchia di conoscenze di estrema destra.
Non bastano le promesse di un salario migliore o di una più alta pensione per cancellare le tante persone scomparse, torturate e assassinate in un presunto “Paese democratico” del 21esimo secolo.
Non è sufficiente nessuna misura politica se il dittatore Piñera non si dimette e non si sottomette al giudizio come massimo responsabile, insieme a tutta la sua squadra di governo, dei tanti crimini commessi. E se non vengono attuati i cambiamenti che il popolo chiede, dal Cile e dal mondo intero.
Anche noi chiediamo, uniti al popolo cileno, un'assemblea costituente per una nuova Costituzione; indipendenza dall'economia statunitense; plebiscito e democrazia diretta; indagini approfondite, condotte da una giustizia indipendente, sulla corruzione di politici e di importanti famiglie che detengono il potere in Cile; redistribuzione della ricchezza; rispetto per i nativi e per la loro cultura e restituzione delle loro terre; politiche di rafforzamento dei diritti umani.
Sappiamo che Piñera risponde a interessi statunitensi e chiediamo che confessi tutto ciò che sa sui veri mandanti esterni della militarizzazione di tutta l'America latina. Militarizzazione che ripudiamo e segnaliamo come il maggiore nemico del popolo.
Siamo con il Cile e con tutte le società in lotta, in Sudamerica e nel mondo, contro il potere. La coscienza del popolo è più forte di qualsiasi esercito e il sangue dei martiri, passati e presenti, ci insegna che la vittoria è già nostra. Che le idee di una società giusta vincono la morte e la sconfiggeranno fino a quando, quelle idee, non diventino realtà. E quel momento è arrivato.

Tratto da: ourvoice.it

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