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guaido juan venezueladi Francesco Ciotti
Un gelido spettro aleggia da decenni nel Sud America. La sua sagoma getta ombra su ogni principio che non sia la violenza, la violazione dei diritti fondamentali, la depredazione delle risorse, la ragione economica, il denaro come unico valore assoluto e la distruzione dell’ambiente e dei popoli come sacrificio per questo sacro Dio, che impera ormai in ogni angolo del globo.
Il fantasma dimora più a nord, negli Stati Uniti d’America. L’origine delle trame è tanto oscura quanto evidente a tutti e la lista di missioni, andate a buon fine nella storia passata, è oramai sterminata. Come dimenticare le pacifiche azioni organizzate dalla Cia in Sud America?
Le ricordiamo: colpo di Stato in Guatemala nel 1954 al fine di rovesciare Jacobo Árbenz Guzmán, il quale aveva intrapreso una politica di nazionalizzazione delle principali infrastrutture del Paese; il colpo di Stato del Cile datato 11 settembre 1973 che ha visto la morte di Salvador Allende per far posto alla temibile dittatura sanguinaria di Pinochet; infine la “guerra sporca” argentina degli anni Settanta, una repressione violenta nei confronti dei “dissidenti” marxisti e peronisti, organizzata da una giunta militare capeggiata dal generale Videla.
Tutte le azioni sovversive sono state accompagnate dalla formula economica varata dal decantato Milton Friedman: la “terapia dello shock”, per approfittare della destabilizzazione della società civile e applicare privatizzazioni, tagli alla spesa pubblica, liberalizzazioni dei salari ed eliminazione della responsabilità sociale delle imprese. Il copione è sempre lo stesso.
Oggi, saranno cambiati i propositi imperialisti al di là del muro messicano? Analizzando la situazione venezuelana di questi giorni, sembra proprio di no.
Durante la manifestazione anti Maduro, organizzata il 23 gennaio a Caracas, l’esponente dell’opposizione Juan Guaidò si è autoproclamato Presidente con l’appoggio incondizionato di Donald Trump, del Brasile e dell’Argentina. I vari governi occidentali tuonano in modo corale: “Via il dittatore! Si torni alla democrazia!”, coadiuvati dalla risonanza delle varie testate giornalistiche che da anni denunciano i soprusi e le angherie dell’uomo nero.
Non è mancata nemmeno la dichiarazione post cenone romagnolo di Matteo Salvini, il quale ribadisce: “Prima se ne va, meglio è” e aggiunge “Auspico un percorso democratico che rispetti libertà di espressione e volontà popolare”. Evidentemente, c’è una dissonanza cognitiva mentre si parla di percorso democratico che rispetti la volontà popolare. In pochi forse ricordano che Maduro è stato rieletto il 21 maggio 2018 con il 67% dei voti, nonostante i giornalini sponsor del bombardamento etico umanitario abbiano accusato brogli ed elezioni farsa. Tutti gli osservatori internazionali presenti e il mediatore internazionale Zapatero hanno riconosciuto la correttezza del voto che utilizza un sistema elettronico con riconoscimento dell’elettore tramite documento e impronta digitale. Tra gli osservatori vi era anche il sindacalista Giorgio Gremaschi, che non ha nascosto la propria vergogna nel parteciparvi, e il membro dell’Unione Europea Federica Mogherini, nelle vesti di rappresentante per la politica estera, la quale si è rifiutata di riconoscere le elezioni senza aver inviato osservatori per verificarne la validità.
Se traduciamo l’espressione “transizione democratica del Venezuela che rispetti la volontà popolare” con le parole del generale Hamilton Mourao, ora Vicepresidente del Brasile, tutto diventa coerente. Il 6 dicembre 2018 egli ha affermato che ci sarebbe stato un colpo di Stato in Venezuela e una volta rovesciato Maduro: "Le Nazioni Unite dovranno intervenire attraverso le truppe di pace (...) e il ruolo del Brasile sarà quello di guidarle".
Bisogna riconoscere che il copione sta procedendo come si deve e nella vicina Colombia, invece, tutto è già nella norma: le basi USA sono al loro posto. Nelle elezioni del 27 maggio, la Missione di Osservazione Elettorale (MOE) le ha considerate "vulnerabili per frodi da parte di funzionari pubblici e partiti politici" ed è stato ucciso l'ennesimo rappresentate del partito di Petro, il candidato delle sinistre.
D'altronde, come perdonare al Venezuela il suo ruolo di primato per essere detentore delle riserve petrolifere più grandi al mondo? Quale grande potenza non sarebbe desiderosa di intervenire al processo di autodeterminazione di un popolo con questi grandi tesori nel sottosuolo?
Non sono poi da trascurare le politiche del compianto comandante Hugo Chavez, che negli anni passati avevano indirizzato il Paese verso una transizione socialista.
In poco tempo la mortalità infantile dei bambini sotto i cinque anni si era ridotta dal 22,40% al 17,03% (INE, 2011) e il tasso di povertà era passato dal 62,1% al 36,3% (INE, 2011) ); dati di merito che si contrappongono, purtroppo, all’oscura trama dei fondi derivanti dal narcotraffico.

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Contrabbando di valuta


Il governo Maduro, reo di aver fatto seguire la stessa politica sociale del suo predecessore, è stato investito da fenomeni di corruzione legati al traffico di cocaina, di cui il Paese costituisce una delle vie di transito favorite. Emblematico il caso dei parenti del Presidente, arrestati ad Haiti con 800 kg di polvere bianca. Luci e ombre, insomma, di un potere che deve essere riformato, ma il cui processo di evoluzione dovrebbe essere deciso dal popolo venezuelano, non dagli Statu Uniti d’America.
Come dovremmo porci di fronte alle notizie di pennivendoli indegni che infestano da anni i quotidiani accusando il Presidente di non fornire i medicinali alla popolazione, quando magari apprendiamo che a causa delle sanzioni e dell’embargo statunitense sono stati restituiti 39 milioni di dollari al sistema finanziario internazionale, impedendo l’acquisto di cibo e medicine ?(9). Cosa pensare nel leggere a titoli cubitali che Maduro riduce alla fame la sua popolazione, quando emerge che tonnellate di alimenti del programma alimentare del Paese vengono sequestrati da bande criminali e rivenduti in Colombia al mercato nero?.
A Cúcuta, città al confine con il Venezuela, la quantità di prodotti esportati illegalmente dal Venezuela e rivenduti in Colombia è sterminata: benzina, medicine, prodotti alimentari e per l’igiene personale, comprese le banconote.
Ogni mese la Banca centrale venezuelana distribuisce 208 miliardi di bolivar, di cui solo una percentuale del 25% torna alle banche, mentre grandi quantità di banconote sono state trovate in Brasile, Spagna, Hong Kong, Paraguay, Repubblica Ceca e Ucraina. E’ emerso che alcune Ong assumano gruppi criminali organizzati per prelevare denaro cartaceo dal territorio, operazione già utilizzata anche in Paesi come l'Iraq e la Libia; l’obiettivo chiaro di questa strategia è generare una crisi sociale lasciando il Venezuela senza liquidità. Che ci sia la trama della Casa Bianca dietro questa guerra economica è oggi ben evidente, come riporta il Sole 24 Ore in merito al mancato rimpatrio dell’oro di Caracas, depositato alla Bank of England. E’ chiaro che non siano intervenuti semplici “problemi procedurali”. Il Paese sud americano ha dato in pegno oro a vari Paesi per farsi finanziare nell’acquisto di farmaci, beni alimentari e di consumo a causa del boicottaggio statunitense. La Deutsche Bank ha ricevuto diciassette tonnellate d’oro dal Venezuela a garanzia di un prestito con un contratto “swap”. Esattamente in queste ore, in concomitanza con la crisi diplomatica sulla legittimità della presidenza Maduro, tutto l’oro è stato consegnato alla Bank of England; mentre il Venezuela, a causa della chiusura non prevista del contratto, è stato costretto a ripagare il debito usando valuta pregiata.
Chi siamo noi per applicare sanzioni e decidere di intervenire nel processo democratico di un Paese che, fino a prova contraria, è caratterizzato da libere elezioni? Come possiamo ancora credere alla semplicistica realtà orwelliana dell’uomo nero che affama il suo popolo? Una realtà che ben si adatta a un pubblico che ha smesso di pensare, riflettere, di avere ideali e si è affossato la mente; oramai persa nella spettacolarizzazione data dal cinema, da una demenziale serie TV, dalle luci stroboscopiche di una cultura fuori dalla realtà. Il primo diritto di cui un individuo si deve riappropriare, oggi, è il diritto alla verità.
Intanto, in queste ore emerge che il nostro eroe rivoluzionario Guaidò abbia confermato i colloqui precedentemente negati, perché minacciato di vedere resi pubblici gli audio delle sue conversazioni; dopo aver rigettato le accuse mosse da parte del ministro Jorge Rodriguez, per aver incontrato i rappresentanti del governo Maduro e aver denunciato pressioni telefoniche statunitensi. Nel mentre, l’agenzia di stampa americana, Associated Press (AP), ha rivelato che il dissidente del superdittatore avrebbe preparato il golpe durante un tour segreto nel dicembre 2018 negli Stati Uniti, in Colombia e Brasile.
Insomma, che lo spettacolo abbia inizio! Nel 2017 l’attore Oscar Perez vi aveva deliziato sequestrando un elicottero della polizia, con un commando di forze ribelli e conducendo un attacco a suon di granate contro il Ministero dell'Interno e la Corte Suprema, per annunciare l'inizio della lotta contro il regime del presidente Nicolas Maduro. Questa volta esplosioni e deflagrazioni di democrazia potrebbero arrivare direttamente da Hollywood!

Tratto da: ourvoice.it

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