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cimadevilla mariodi Jean Georges Almendras
Alla verità dello scrittore Juan Salinas si associa la verità di un ex funzionario pubblico

"La pista iraniana è debole. È più conveniente mantenere il sospetto sull'Iran che la verità. Insisto che la pista iraniana sia debole, ma bisogna fare delle indagini. Ma nonostante tutto, sia Stati Uniti che Israele preferiscono mantenere viva la coltre di sospetti sugli iraniani, piuttosto che si proceda fino in fondo per verificare se effettivamente c’entrano qualcosa. Ed il governo nazionale, sotto questo aspetto, adotta la stessa posizione degli Stati Uniti”.
Queste le parole pronunciate ai giornalisti del quotidiano Trelew dall'ex responsabile dell'Unità Speciale AMIA del Ministero di Giustizia, Mario Cimadevilla. Ma, se ciò non bastasse, in un testo di 50 pagine scritto di suo pugno, ha rivelato senza mezze parole che nel 2016 esperti dei servizi di intelligence stranieri hanno messo in discussione la pista iraniana, la partecipazione degli Hezbollah, l'esistenza del suicida nell'attentato contro l'AMIA e l'utilizzo di un veicolo che riconoscono si trovasse di fronte a Pasteur 633, ma che forse non si schiantò contro l’edificio, ma era carico di esplosivi che fecero saltare l’edificio comunitario israeliano.
Le esplosioni all'ambasciata di Israele, dell'anno ‘92 ed alla sede dell'AMIA, dell'anno 94 (a Buenos Aires, Argentina), hanno lasciato fino ad oggi una scia di intrighi indescrivibili. Intrighi e scorrettezze di diversa entità dove le responsabilità delle morti provocate sono connesse ad un intreccio in cui le mafie (e soprattutto le torbide attività degli uomini del potere deviato), l'azione dei servizi di intelligence dell'Argentina, Stati Uniti e lo stesso Israele, hanno avuto molto a che fare.
Al punto che, la metodologia operativa adottata dopo le esplosioni (ad opera di persone dello Stato argentino), tendeva più a coprire i veri autori materiali ed i mandanti che a far venire alla luce la verità su ognuno degli attentati.
Ma in questo viziato scenario è anche essenziale sottolineare la presenza di giornalisti di inchiesta indipendenti e funzionari dello Stato argentino che si sono impegnati nell’arduo lavoro non solo di smascherare il disgustoso insabbiamento, ma anche di aprire una strada per arrivare alla verità. Uno di questi pochi funzionari dello Stato è proprio l'ex senatore radicale per il Chubut, Mario Cimadevilla, il quale, a marzo del 2018 (secondo le parole dello scrittore e giornalista Juan José Salinas – anche lui totalmente impegnato nello smascheramento dei colpevoli – nel corso di un'intervista concessa ai giornalisti del programma Frecuencia Joven alla fine del 2018), fu allontanato da Mauricio Macri dall'Unità Speciale AMIA "con il pretesto di ridimensionare lo Stato e le segreterie, perché Cimadevilla ed i suoi si scontravano di continuo con il ministro Garavano, (Germán), perché il ministro aveva dato ordine di tutelare alcuni degli imputati per insabbiamento, come ad esempio i pubblici ministeri Eamon Mullen e José Barbacci".
Inoltre, il giornalista Salinas, dialogando con i giovani colleghi della radio aveva aggiunto anche: "Cimadevilla protestò perché non era disposto ad accettare questo imbroglio e così lo cacciarono. Per difendere la propria gestione Cimadevilla pubblicò una relazione che casualmente porta lo stesso nome del mio libro, Informe AMIA, ed è un resoconto sull’operato di quelli anni che lo videro a capo dell'Unità Investigativa del Potere Esecutivo, e in cui Cimadevilla riconosce che non c'è alcuna prova. Questo è ufficiale, non ci sono prove che ci sia stata un’autobomba, né un autista suicida, né partecipazione di Hezbollah, e neppure, e lo dice a malincuore, alcuna partecipazione dell'Iran. Non ci sono prove. Questa è la realtà degli attentati. Poi se uno vuole può ascoltare il giornalista reprobo, Daniel Santoro, del Clarín, può leggerlo, ma è tutto una menzogna dall'inizio alla fine, perché si è persa la vergogna”.
Sia Mario Cimadevilla che Juan José Salinas, anche se separatamente, ma entrambi con sufficienti elementi e dati in loro possesso, frutto di rigorose indagini, sono conversi sullo stesso punto: che all’epoca dell'attentato contro l'AMIA c’era, (si presume ci sia stato), un business di traffico di armi e affari illeciti, dietro le quinte (e come leit motiv), delle due deflagrazioni, rivolto a far ricadere i sospetti più su persone di origine siriana che di origine iraniana. Non bisogna dimenticare che a quel tempo operava il trafficante siriano Monzer Al Kassar, precisamente durante il governo di Carlos Menem.
La stampa argentina tirò fuori il voluminoso rapporto di Mario Cimadevilla sull'investigazione sull'attentato all'AMIA, quando ovviamente era al comando dell’"Unità Speciale AMIA" raccogliendo per due anni e due mesi, informazioni giudiziarie, di polizia e di intelligence.
Il quotidiano Pagina 12 pubblicò le conclusioni del documento che Cimadevilla inviò al presidente Macri, il quale alla fine lo allontanò dall'Unità Speciale: 1) "l'indagine sull'attentato è rimasta legata alle valutazioni precedenti di ipotesi di verità". (In altri termini Cimadevilla sostiene che le accuse sono state montate per rispondere ad interessi geopolitici e stranieri); 2) "Al momento dell'attentato, l'Hezbollah realizzava poche operazioni esterne alla propria zona di conflitto"; 3) "L'utilizzo di un veicolo non è stato mai messo in evidenza sostanzialmente, né investigato"; 4) "La geolocalizzazione di una chiamata di Mohsen Rabbani, nelle vicinanze dell'AMIA il giorno dell'attentato, è l'unico legame che è stato trovato tra Rabbani ed il camioncino. Non furono analizzate le altre chiamate". Cioè Cimadevilla mette in dubbio la pista Rabbani, l'addetto culturale dell'Ambasciata dell'Iran e principale sospettato secondo il giudice Juan José Galeano e secondo il giudice Alberto Nisman; 5) "Riguardo il supporto logistico e finanziario, ci furono importanti movimenti di denaro coordinati nella zona della Triplice Frontiera. Questo potrebbe indicare che la rete supportava interessi iraniani, ma stava svolgendo altri compiti non legati all'attentato".
Pagina 12 sottolinea che Cimadevilla parte dall’idea che ci fu un gigantesco insabbiamento che coinvolge il governo di Cambiemos, e la ragione è da cercarsi nel giro di affari del commercio di armi ed altri illeciti che si celano dietro l'attentato.
Ma nel testo di Cimadevilla viene precisata anche un'altra conclusione: "Che le indagini sugli attentati contro l'Ambasciata di Israele, contro l'AMIA e l'esplosione a Río Tercero devono essere congiunte".
Nel documento si legge ancora: "L'attribuzione dell’attentato contro l'Ambasciata di Israele ad organizzazioni palestinesi o iraniane ha concentrato la sorveglianza lecita ed illecita sulla comunità musulmana ed iraniana. Specialmente nella Triplice Frontiera, ad opera dei servizi di intelligence argentini, brasiliani, israeliani e nordamericani. Ammettere che si fosse potuto ripetere il modello di attentato significherebbe amplificare l'inefficienza dei servizi di intelligence".
Mario Cimadevilla e Juan José Salinas si muovono sulla stessa strada benché in ambiti lavorativi differenti: il primo, mentre era al comando dell'Unità Speciale AMIA fino ad un minuto prima che Macri lo mettesse da parte, ed il secondo, come giornalista che subito dopo l’attentato all'AMIA e per diversi anni a seguire ha indagato in modo approfondito su entrambe le esplosioni.
Con parole differenti, in scritti differenti, in ambiti differenti, ma non incongruenti, Cimadevilla e Salinas fanno fronte comune con ipotesi estremamente chiare.
Sembrerebbe che dietro l'attentato all'AMIA ad esempio, oltre ad esserci uno schema strettamente collegato al traffico di armi, non si esclude la possibilità che ci sia il coinvolgimento di imprese iraniane, sottolineando (in un chiaro riferimento a Menem, ed ai suoi fratelli Emir Yoma, Alfredo Yabrán, Monzer Al Kassar, Ibrahim all'Ibrahim, tutti collegati all'amministrazione dell'ex presidente degli argentini originario di La Rioja) che "un gruppo con vincoli familiari ed origini regionali in Siria acquisì una palese influenza e partecipazione nella Presidenza della Nazione, la Cancelleria, le dogane e i servizi logistici".
E Cimadevilla aggiunge inoltre nella relazione che ci fu un cospicuo movimento di denaro affermando che "organizzazioni illecite fanno parte dell’intreccio economico argentino ancora oggi e ciò spiega il continuo insabbiamento" sottolinea categoricamente che “non è esistita una massiccia cospirazione per compiere un attentato ma che lo stesso è maturato all’interno di un enorme giro di affari".
L'articolo giornalistico dei colleghi Raúl Kollmann ed Irina Hauser, di Pagina 12, si chiude con una riflessione molto grafica e determinante: "Dal punto di vista del fascicolo, Cimadevilla non apporta nessuna evidenza solida. Sembra piuttosto un'elucubrazione. Ma è significativo che l'uomo a capo dell'investigazione del caso AMIA descriva che tutto è subordinato ad interessi geopolitici e che le prove sono molto scarse. In questo punto coincide con il giudice della causa, Rodolfo Canicoba Corral, che più di una volta disse che le prove sono relazioni dei servizi di intelligence che non hanno sufficiente valore probatorio".
Cimadevilla ha puntato il dito (accusatore) direttamente verso Mauricio Macri, presidente della Nazione argentina, per "non essere disposto a impegnarsi nella ricerca della verità sull'attentato, per proteggere gli amici del Governo e legare (o subordinare, si potrebbe interpretare), le indagini agli interessi degli Stati Uniti e di Israele".
Il giornalista e scrittore Juan José Salinas (al di fuori dallo Stato), perché il ruolo che copre è molto diverso da quello di Cimadevilla, segue la stessa direzione: quella di denunciare questa perversa struttura di mafia e potere. Il suo recente libro "LaINFAMIA" risulta profondamente rivelatore e fondamentale per conoscere il cumulo di scorrettezze, dove morte e insabbiamento sono stati e continuano ad essere la culla che culla la corruzione ai più alti livelli.
Nel raccontare l'episodio dello scioglimento dell'Unità Speciale AMIA da parte di Macri, si legge in Pagina 12 che quella Unità ebbe quella sorte "nel bel mezzo di uno scandalo, quando furono revocati i poteri degli avvocati del Ministero di Giustizia che volevano chiedere condanne per tutti coinvolti nel processo sulle irregolarità nelle indagini iniziali".
Mario Cimadevilla dialogando con i giornalisti di Pagina 12 ha detto: “Io dissi a Macri che lo ringraziavo per avermi sollevato dallo svolgere un impegno che lui non era disposto ad assumersi”.
Riguardo il documento presentato da Cimadevilla, c’è da segnalare che l'Unità Specializzata, tra le sue molteplici mansioni, ne aveva una in particolare, quella di fornire la causa originaria dell'attentato, ancora impunito, senza alcun progresso, e procedere alla denuncia statale nel processo in atto per l’insabbiamento dell'attentato attraverso manovre nell'indagine originale, che vede imputati Carlos Saúl Menem, Hugo Anzorreguy, l'ex giudice Juan José Galeano, i pubblici ministeri Mullen e Barbaccia, l'ex commissario Jorge "Fino" Palacios, ex titolare della DAIA Rubén Beraja e Carlos Telleldín, accusati principalmente di avere montato una storia falsa per spiegare l'attentato. Telleldín fu pagato con fondi dell'ex SIDE affinché accusasse un gruppo di poliziotti.
A tale proposito nello scritto di Cimadevilla si legge: "L'Unità era sulla strada di trasformarsi in un’Unità di Insabbiamento. Di fronte a crimini di simile entità non sono legittimi il segreto, né il mistero, né la protezione di amici. L’indagine sull’attentato all'AMIA è rimasta affossata nelle determinazioni previe di ipotesi di verità, sulla base di decisioni precedenti che fa trapelare ingenuità epistemologica, bensì semplice inerzia, ipocrisia, vigliaccheria o direttamente complicità istituzionale. C'è un intreccio di reati, traffici e affari, strategici e diplomatici, che ruotano attorno all'attentato".
"L’operato dello Stato argentino nell'investigazione è lontano dall’essere efficace e concreto. Tutto il contrario, le centinaia di vite distrutte all’AMIA non sono riuscite a commuovere l'indifferenza dello Stato che, ben lontano dall’indagare e punire, si è gongolato in un'evidente convivenza delittuosa fino a degli estremi promiscui. L'analisi delle manovre di insabbiamento, che assunsero livelli smisurati, avalla l'ipotesi che è stata ostacolata l'investigazione riguardo i meccanismi dell'attentato per proteggere e mantenere occulto un profuso substrato di corruzione e le molteplici collusioni locali”.
Mario Cimadevilla e Juan José Salinas: il caso AMIA fa alzare ancora una volta il dito accusatore di entrambi per smascherare i responsabili materiali ed intellettuali, e anche per smascherare i complici di un sistema di corruzione che ha segnato con esplosivi e morte, una pagina nera della storia argentina.
Una pagina estremamente raccapricciante, per il cinismo che ha caratterizzato le indagini su entrambe le esplosioni partendo da una sola premessa: quella di occultare la verità costi quel che costi; quella di occultarla ed insabbiarla, costi quel che costi. Perché la rete dei coinvolti a diversi livelli è molto estesa.
È ripugnante da qualunque punto lo si guardi. E diventa ancora più ripugnante con il passare degli anni, quando ogni 365 giorni le istituzioni dello Stato, e dall’Esecutivo stesso mettono i bastoni fra le ruote, in modo che il carro avanzi a passo di lumaca in cerca della verità.
Dal '92 e dal '94, ogni giorno trascorso ha visto erigere una specie di bandiera dell'impunità, perché tutto attorno alle esplosioni vi è odore di zolfo mafioso e di funzionari di Stato corrotti (di vari paesi, compreso Israele), ed i servizi di intelligence (anche di vari paesi, incluso il MOSSAD), marci. Marci. Molto marci.
Mario Cimadevilla e Juan José Salinas hanno alzato il dito accusatore con proposito di denuncia.
Perché è già ora di un vero cambiamento per scalfire l’intricata rete mafiosa, e farla sgretolare.
Distruggerla affinché una volta raggiunto l’obiettivo si possano recuperare la dignità e la verità, di una società calpestata dal crimine.
Perché in sostanza, le due esplosioni sono semplicemente azioni mafiose ispirate dalla sete di potere e di denaro, attraverso affari sporchi, come ad esempio il traffico di armi.
(30 gennaio 2019)

Foto di copertina: www.página12.com

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