di Jean Georges Almendras e i giovani di Our Voice
Intervista* esclusiva al sacerdote gesuita spagnolo che ha fatto del Paraguay la sua terra prescelta
Per arrivare alla casa-famiglia dove abita il sacerdote gesuita spagnolo Francisco Oliva, nel quartiere conosciuto come Bañado Sur ad Asuncion, abbiamo dovuto letteralmente aprirci la strada lungo sentieri dove l'asfalto è solo un'illusione e le buche (o crepe), a volte colme di acque reflue e altre di immondezza, sono una costante. Senza lasciarci vincere dalle difficoltà ci siamo addentrati in una delle zone più degradate della periferia della capitale paraguaiana. In ogni tratto del nostro percorso abbiamo chiesto in vari modi e a diverse persone dove potevamo trovare il religioso che dall'inizio degli anni sessanta si è sempre di più trasformato in un paraguaiano, ma un paraguaiano che si è distinto per la sua peculiarità di abbracciare con molto amore i più bisognosi di una società nella quale gli oppressi sono la normalità e gli oppressori uno spietato carnefice. E le nostre domande in quella ricerca hanno trovato sempre risposta, perché lì tutti conoscevano pai Oliva.
E lo conoscevano molto bene. Sia uomini che donne ci hanno indicato come trovare il luogo dove abita: un casolare ampio a cui si accede dalla strada 35 Proyectada, e dove c’è un'insegna che dice Centro di Formazione Integrale Solidale Rapé (che vuole dire “cammino”). Questa è la base della sua opera sociale oltre che la sua casa. Il religioso che tutti in Paraguay e nel mondo conoscono come Pai Oliva. Il religioso che non appena si stabilì ad Asuncion, proveniente da Siviglia, diventò un incondizionato protettore dei poveri e dei perseguitati. Il religioso che negli anni del dittatore Stroessner fu espulso dal paese trasformandosi in un perseguitato politico che fu al punto di venire assassinato e che dovette lasciare il Paraguay a bordo di una barca diretta in Argentina, da dove dovette nuovamente fuggire dopo l’istaurazione della dittatura di Videla, stabilendosi in Nicaragua. Finalmente, dopo questa odissea, invece di ritornare in Spagna, suo paese natale, decise di ritornare nel suo caro Paraguay da dove non si è mai più allontanato. Pai Oliva ci ha accolto nel suo casolare, a Bañado Sur, nel giorno stesso del suo 90º compleanno, per parlarci di lotta e di resistenza, senza perdere la prospettiva della sua fede e delle idee di impegno a favore della vita.
Ci ha parlato innanzitutto dell’immenso coraggio avuto in quelli anni per superare gli ostacoli che di volta in volta venivano posti sul suo cammino nell’intento di scoraggiarlo e sottometterlo, senza però riuscirci. Circondato dall'affetto delle umili genti di Bañado del Sur, di collaboratori, amici, autorità municipali, da Antimafia Dos Mil, e dai ragazzi di Our Voice Matias Guffanti e Leandro Gómez, pai Oliva ci ha concesso un'intervista inedita. Guardandoci negli occhi e mettendo la sua anima in ogni parola pronunciata, ci ha offerto una testimonianza preziosa senza tralasciare le realtà mondiali consapevole dei pericoli che incombono. Ci ha parlato con franchezza, senza giri di parole, sottolineando in special modo il coinvolgimento dei giovani nel mondo di oggi.
Padre Oliva, lei si è dedicato a stare vicino ai più bisognosi, i più disperati, i perseguitati, come faceva Cristo, si identifica in Gesù Cristo come ispirazione nel suo lavoro sociale?
Moltissimo, quando mi chiedono perché faccio tutto questo, rispondo che ci sono due cose che mi motivano: una è la mia fede in Cristo, l'altra è vedere gli occhi della gente che soffre. Due motivi differenti ma che si intrecciano.
A cosa si deve tanta povertà?
Questa è una domanda che ci poniamo sempre di più, perché noi in Paraguay abbiamo terre fertili, estese quanto quelle della Spagna, solo che la Spagna ha 40 milioni di abitanti e sessanta milioni di turisti che arrivano ogni anno; qui, che siamo sette milioni potremmo vivere nella gloria. Sette milioni di abitanti per 400mila km2. Ma dalla Grande Guerra ha preso piede una campagna per assegnare la terra a poche persone, e ci troviamo che l’80% della terra è in mano a un 2%. Praticamente abbiamo perso la terra, perché fino a qualche anno fa gli aspiranti ad un pezzo di terra erano circa il 50% della popolazione, tre milioni, ma ora, visto che non trovano terra, essendoci soltanto un 20% disponibile alla compravendita, si sono trasferiti in città. Nella città ci sono dalle 40 alle 70 baraccopoli. Orribile. La povertà è frutto della disuguaglianza, dell’ambizione di alcuni, del modo di organizzare il mondo, del neoliberalismo.
Padre, come vede lei l'America Latina dalla sua realtà vicino ai poveri di Bañado del Sur?
Guarda, dieci anni fa c'erano delle nazioni che in qualche modo si occupavano dei poveri, adesso, a parte Bolivia e Venezuela, Uruguay, che sono quelli che fanno meno danni, oggi tutti si strutturano in altro modo, non a favore dei poveri, ma della classe dirigente. L'America Latina sta attraversando un momento difficile. E questo momento si prolungherà se questo uomo, Bolsonaro, vince in Brasile.
Qual’è il ruolo degli Stati Uniti?
Le corporazioni nazionali sono quelle che comandano, queste corporazioni ogni giorno hanno meno nazionalità, in fondo molte dipendono dal capitale nordamericano e soprattutto dal governo. Allora per esempio l'ambasciata quí ha un'importanza enorme, al punto che è una cosa naturale chiedere: “non hai visto l'ambasciatore"?. Questo a me dà molta pena, e mi chiedo, cosa c’entra un ambasciatore (degli USA, ndr.)? Che lo lascino tranquillo e che lascino tranquilli noi; ma non lo fanno. Noi siamo un paese piccolo, ma lo stesso succede in quelli grandi. Perché in fondo ci sono gli USA che difendendo il loro podere. E non ci lasceranno tranquilli a meno che ci sia un’ecatombe interna.
Come vede l'Europa un uomo nato in Spagna e poi trapiantato in Paraguay?
È difficile. In Europa ci sono molte nazioni dipendenti dagli Stati Uniti; d'altra parte, in Europa, ci sono alcuni paesi molto antichi che hanno la propria personalità, con migliaia di anni di storia, dai romani, i greci. Questa personalità si impone. Ma economicamente la forza non sta in Europa, è una vicenda molto difficile che non si sa come finirà; ci sono troppe nazioni e troppo egocentriche. Inizialmente aiutavano molto le nazioni povere europee; ad esempio, Portogallo, Spagna, Irlanda furono aiutate e prosperarono, ma ora le nazioni sono molte, è impossibile.
La guerra nucleare la preoccupa?
No, perché il giorno in cui ci sarà finisce tutto, allora per quale motivo dovrei preoccuparmi se dopo non ci sarà più niente; perché una guerra nucleare tra due nazioni spazzerebbe via almeno due terzi dell'umanità. È un'assurdità che non dovrebbe succedere mai.
Sembra che stia risorgendo il colonialisno, perché c'è una propensione alla persecuzione contro i popoli originari, i popoli poveri. C'è una corrente di criminalizzazione delle proteste sociali. Episodi che si vedono in Argentina, Brasile, Paraguay ed in altri paesi. Come vede lei questo punto?
Per me il colonialismo in America Latina non è altro che gli Stati Uniti che vogliono difendere loro podere. E fanno tutto il possibile per opprimerci. L'esistenza del colonialismo di oggi è opera anche delle multinazionali. A mio modo di vedere, nel mondo le multinazionali sono le padrone; influiscono anche collateralmente tra due o tre paesi forti economicamente; ma nel momento della verità, chi è più potente? La Cina o le multinazionali? Io credo le multinazionali perché alla lunga sono quelle che hanno i soldi per muovere tutto.
Padre, io faccio parte di un movimento culturale che cerca in qualche modo di affrontare queste problematiche. Quali sono le cause delle ingiustizie che si vivono in America latina ed in altre parti del mondo (chiede Matías Guffanti, coordinatore di Our Voice Sudamerica).
La cultura ha una grossa incidenza in questo, perché esiste una cultura selvaggia, una cultura individualista, consumistica, egoista. Noi avremmo dovuto risolvere già tutto questo in America; ma non possiamo, perché vedi…, un 40% ha votato Bolsonaro, Macri è stato votato da una maggioranza, e quello che è successo a noi, non dico che è un'assurdità, ma una canagliata, perché qui hanno fatto una macchinazione tremenda. Ormai non si comprano più i voti, ma essendo il Tribunale Superiore di Giustizia elettorale a fare le liste per le elezioni, hanno fatto copie di schede elettorali, una dove la gente votava ma che non veniva conteggiata, sostituendo tutte le schede che hanno potuto con altre compilate da loro. Così ci siamo trovati all'improvviso con gente che aveva un aumento di voti enorme ed altri che ne avevano zero, o uno. Votazioni strane. Quando andavano a controllare le liste vedevano che il loro voto non era stato conteggiato…
La mia domanda era proprio su questo che lei sta spiegando: qual’è la causa di tali ingiustizie secondo il suo punto di vista? Dov’è l’origine?
In fondo quello che siamo riusciti a fare è creare una società che è in mano a pochi che hanno un forte potere economico e non hanno alcun senso umanitario. Ora perché siamo caduti nelle mani di questi signori? Perché il paese in generale non ha molta coscienza e permettiamo che con il tempo loro ci ingannino e votiamo ingannati. Cioè, il fatto che tutto sia in mano a poche persone è il risultato di un percorso. Loro hanno guadagnato terreno nel mondo e ora ne hanno tanto.
Il nostro è un movimento giovanile che denuncia queste problematiche attraverso l'arte, secondo lei qual’è il modo per affrontare queste situazioni?
Se io lo sapessi mi avrebbero fatto presidente degli stati uniti dell'America Latina. Ma posso dare delle indicazioni. La prima è creare le basi, rendere la gente il più possibile consapevole. Un'altra è organizzarci, anche su aspetti diversi. Ed un'altra ancora, la più difficile di tutte, è che ci dobbiamo unire. Ci può essere un'unione tattica, ma non abbiamo neanche questa. Se ci sono venti organizzazioni non si uniscono perché sono diverse in alcune cose, ma in altre generalmente sono d’accordo, per questo motivo dovrebbe esserci un'unione tattica. Questo è essenziale e si farebbe un importante passo avanti, ma si teme persino questo.
Che messaggio darebbe alla gioventù?
I giovani sono importanti. Se hanno potere, sono il collegamento tra il passato ed il futuro. Se non si organizzano, significa che non sono niente altro che un prolungamento del passato. Ma se c’è un'identità, prenderanno il meglio dal passato e lo uniranno a quello che loro stessi realizzeranno. Guarda, è una cosa curiosa, stiamo in un cambiamento di epoca, la gioventù ha barlumi di speranza, più che gli adulti, perché è meno segnata; ma attenzione, sono barlumi, nient'altro, semi, ma quel seme deve svilupparsi nel futuro. E finché questo non avverrà non sapremo come va.
All’inizio ci ha parlato della persecuzione che lei ha vissuto, e che lei andava avanti perché aveva molta fede; ma cosa lo motivò a compiere la prima azione? E, inoltre, lei si aspettava la portata che avrebbe raggiunto?, chiede Leandro Gómez, di Our Voice.
Guarda, è difficile questo, perché se prendiamo sul serio che la realtà è molto complessa, io non so come era quando avevo la vostra età, non lo avevo chiaro, ma la realtà mi superava. Ebbi 18 anni di formazione, dopo avere finito il liceo, a volte trovavo compagni di scuola che erano già genitori o addirittura avevano già nipoti ed io ero ancora in università, dove rimasi fino ai 37 anni. Ma era molto difficile, nonostante avessi avuto una formazione rigida, ero ben preparato, ma era una formazione che molte volte apparteneva al passato, anche se in qualche occasione ti apriva delle porte. Poi, quando ti trovi di fronte alla vita, ti rendi conto che forse l'etica che io avevo non ha niente a che vedere con l'etica di cui si ha bisogno ora. I problemi erano molto diversi di quelli attuali; ma mi hanno formato, quindi ero preparato ad esempio per affrontare qualsiasi problema etico diverso e cercare di trovare una soluzione.
Nonostante tutto, sono arrivato in Paraguay abbastanza retrogrado, ma aperto, quello è stato il frutto della formazione, avere un'apertura. Quando mi sono trovato in una scuola con ragazzi dell'ultimo anno che passavano all'università e mi vedevano come un universitario - insegnavo all’'università e fondai il corso di laurea di Comunicazioni all'Università Cattolica - c'era molto contatto con la gente che, avendo vissuto la dittatura, mi insegnavano cose che io ignoravo completamente. Perché la formazione che io avevo ricevuto aveva fatto di me una persona aperta, con i miei propri criteri, che se ad un certo punto reputo falsi li abbandono all’istante, non mi interessano più. O quanto meno rispetto quelli degli altri se sono tanto validi come i miei. A me hanno fatto rinascere in Paraguay, questa è la questione.
Padre Oliva, lei è stato un grande combattente all'epoca della dittatura di Stroessner, è stato anche esiliato, quale è la sua visione riguardo il Crimine organizzato in Paraguay? In che modo sta influendo attualmente dentro lo Stato? (chiede Jorge Figueredo).
Guardi, abbiamo lottato 35 anni per liberarci della dittatura; saggiamente, l'ambasciata e altri fecero in modo che non fossimo noi ad abbatterla, bensì niente meno che il consuocero del presidente, perciò significa abbatterla fino ad un certo punto, toglierne il nome, le sue manifestazioni più cruente, ma comunque sono gli stessi; gli stessi che c’erano prima c’erano anche dopo, mancava solo il dittatore. Quello non è cambiato, è ancora uguale. Vedi, è assurdo che abbiamo come presidente un ragazzino che non ha alcun merito personale, ma è figlio del segretario di Stroessner, che lo prendeva letteralmente a calci, quando si arrabbiava. Ma era il segretario di Stroessner. Stroessner era una bestia, quando non gli piaceva qualcosa dava schiaffi a chiunque… Trattava come un cane il suo segretario. Ma era il suo segretario, allora ugualmente ne traeva benefici. Che adesso suo figlio sia il presidente è assurdo. Ed attorno a lui ci sono tutti i discendenti dei collaboratori di allora. In poche parole non è cambiato niente.
Padre, lei è stato un uomo perseguitato, esiliato prima in Argentina, dopo dovette fuggire in Nicaragua, che ricordi può condividere con noi di quel periodo di persecuzione, di quando fu fermato dalla polizia e portato a Clorinda? Ci racconti in breve quei momenti difficili che ha vissuto come perseguitato politico.
Dopo la mia espulsione da qui e l’esilio in Argentina, sono stato a punto di essere ucciso in due occasioni, e non mi ammazzarono solo perché non era arrivata la mia ora. Perché lungo il percorso accompagnato da sei poliziotti e un ufficiale avrebbero potuto affogarmi mentre attraversammo il fiume e dopo raccontare qualsiasi bugia; perché eravamo semplicemente a bordo di una lancia. In Argentina, quello stesso giorno, di sera, liberarono i poliziotti che erano in carcere per avere introdotto armi in Argentina; ma verso le dodici arrivarono altri poliziotti con l’ordine del governo dicendo che potevo ritornare quando volevo e che loro stessi mi avrebbero riportato ad Asuncion; era per uccidermi lungo la strada. Ci furono due momenti chiave.
Un altro momento chiave fu in Argentina, durante la dittatura, sono rimasto un anno e mezzo dormendo da solo, in un seminterrato. Un’altra occasione chiara: eravamo quattro persone, c’era una signora che adesso è qui che era la mia segretaria -era molto giovane- c’era anche una suora francese ed un paraguaiano; il paraguaiano fu sequestrato e ucciso, anche la suora francese fu sequestrata ed uccisa, rimaneva lei che era quasi una ragazzina, una bambina, ed io. Ed eravamo in lista; era questione di tempo. Infatti, quando fui invitato dalla Chiesa Anglicana per consigliare i vescovi dell'Inghilterra come impiegare il denaro in aiuto all'America, mi portarono lì. Quando stavo per ritornare –il giorno dopo- quella notte arrivò un camion di soldati argentini che non erano al corrente che io ero fuori perché non erano in contatto con i poliziotti. Non si parlavano, pertanto, non si passavano i dati. E non mi trovarono.
Ha avuto paura in qualche momento? Oggi ha paura?
No, e prima neanche, ora io sto attento e faccio di tutto affinché non mi trovino o non mi prendano, ma io vivo qui e mi proteggo lì, nella stanza; c'è allarme, ci sono faretti, ci sono lucchetti, ma se vogliono ammazzarmi mi ammazzano. Questo è chiaro. Non voglio morire, ma non ho paura della morte. Cioè sono tre cose: primo che non voglio morire, secondo che vale la pena morire per una causa se è necessario. Ma la terza è che faccio tutto il possibile affinché non ce la facciano con me. Anche se, se vogliono, lo possono fare, è evidente.
Sinteticamente, come riassume il lavoro che svolgete qui a Bañado Sur? Cosa fa e come si sente lei dopo oltre vent’anni di lavoro qui?
Di quello che abbiamo fatto, la cosa più preziosa è stata unirci il più possibile; unire tutte le organizzazioni e i movimenti che ci sono a Bañado per fare passi avanti.
Fare passi avanti in che senso?
Lottare, non c'è elettricità in tutta l'estate, non c'è acqua in tutta l'estate, e altre cose; nella polizia abbiamo cambiato tanti commissari grazie alle proteste - anche se poi ne arrivava un altro uguale - pazienza.
E state lottando affinché non vi sfrattino, perché vogliono sgomberare queste proprietà?
Sì, c'è un progetto molto serio per sgomberare tutti gli abitanti di Bañado.
Padre, la ringraziamo molto; a novanta anni la vediamo circondato da molto amore, da molti giovani e gente che la ama. Questo popolo paraguaiano le vuole molto bene. Cosa può condividere con noi arrivato a novanta anni di vita e con tutte queste esperienze, di cui ci ha parlato. Cosa resta ancora da fare?
Moltissimo, tutto; abbiamo fatto moltissimi progressi, ma serve ancora più unione, unione tattica, ma non c'è unione. Sono nate tante organizzazioni questo ultimo anno, ma ognuna chiusa in se stessa, non c’è unione. Ma l'idea è che vinceremo; cosa significa "vinceremo?", che vinceremo. Un giorno finirà tutta la porcheria che c’è.
*La presente intervista fu realizzata nell’ottobre del 2018 a Bañado Sur, Asuncion, Paraguay.
Foto © Leandro Gómez di Our Voice