di Paola Becco dal Brasile
"Le enormi catastrofi che ci minacciano non sono semplici processi di indole fisica o biologica, bensì avvenimenti psichici. Ci minacciano in misura terrificante guerre e rivoluzioni che non sono altro che epidemie psichiche. In qualsiasi momento milioni di uomini possono essere colpiti da una nuova pazzia ed allora avremo un'altra guerra mondiale o una devastante rivoluzione (…) Un dio del terrore vive nell'anima". (Jung. Conferenza di Vienna 1932 presagendo la seconda guerra).
Sono molte le analisi di taglio sociopolitico che sono state avanzate sul fenomeno di Jair Bolsonaro in Brasile, sull'ascesa di un leader acclamato dalle masse per la sua natura esplicitamente amorale. La verità è che si ha la sensazione di essere testimone di una vera crisi psicotica su scala collettiva. Le argomentazioni analitiche dei migliori specialisti riescono a mala pena a tracciare le ragioni per le quali un personaggio secondario e grottesco, da decenni insediato all’ombra della politica brasiliana, da un momento all’altro diventa un presidente sostenuto da una schiacciante maggioranza.
L’ascesa vertiginosa di Bolsonaro dovrebbe avere sicuramente una qualche relazione con qualche oscuro segreto ben custodito nel cuore dei brasiliani per anni. Un albero di odio è appena fiorito in questo presente incerto e fosco. Un sentimento generato a livello sociale che ha saputo aspettare pazientemente l'emergere di un personaggio disgustoso, come strumento che lo rappresenti. Il problema è che questa caricatura tratta dal copione di un brutto film di bassa lega, stereotipo di un super criminale nazista, prima passava inosservato come una creatura folcloristica all'interno dell'establishment politico. Ma ora il suo personaggio si riempie di contenuto. E quello che meno interessa sembra essere adesso quello che dice o quello che pensa. La sua vera funzione è quella di dare via libera a tutto quel risentimento accumulato a causa di un sistema di dominio senza via d'uscita.
Il Brasile, decima potenza mondiale, custode dell’Amazzonia, motore economico dell'America latina, è ora governato da un pazzo. Non rinnego le cause politiche, cioè, la posizione interessata dei settori di potere che vedono in una società stupida l'opportunità di manipolarla. Non rinnego neanche del piano di una strategia continentale e sistematica da parte dell'impero che cominciò con Zelaya (Honduras), Lugo (Paraguay) e Temer (Brasile) e continua ancora. Ma niente di questo sarebbe successo senza una società così malata, da dover abbassare la discussione politica agli aspetti fondamentali di ciò che è ovvio, dove per assurdo vediamo una parte che cerca di spiegare all'altra perché non è giusto ammazzare i neri o i poveri.
Oggi in Brasile si vive questo, l’atmosfera nelle strade è carica di violenza latente. Gli elettori di Bolsonaro esultanti sono capaci delle peggiori reazioni. Parlare pubblicamente in maniera contrastante e dire quello che uno sente è una sfida che può essere interpretata come una provocazione. Una furia irrazionale invade gli elettori di Bolsonaro che si comportano come un branco di cani; sono padri e madri di famiglia, bianchi e neri, ricchi e poveri, cristiani evangelici o laici, che sono capaci di linciare un indifeso o di passarti di sopra con la macchina.
Anche l'ascesa del nazismo era piena di elementi irrazionali e cause apparenti, di sentimenti eroici e nazionalisti intessuti di pensieri appartenenti ad un substrato mistico. Che davano un’immagine di concretezza nel loro insieme ma occultavano quello che non si poteva dire, una specie di dolore non depurato che emerge mostrando una ferita piena di marciume. Nelle strade del Brasile, quasi un secolo dopo, in un altro continente, l’incubo peggiore si ripete nuovamente.
(29 ottobre 2018)
Foto di copertina: www.diariodejuarez.com
L'ascesa della follia
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