Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

20180630 naufragio libia tre bambini c getty imagesdi Francesco Piccinini
Ci sono almeno tre bambini tra i morti del naufragio di questa mattina al largo delle coste della Libia. Il barcone, carico di circa 120 migranti, è affondato a est di Tripoli. Più di cento persone risultano disperse e solo sedici sono state salvate. I tre bambini recuperati senza vita avevano meno di un anno e mezzo
Avevano un anno o poco più, sono morti nell’ennesimo naufragio avvenuto a est di Tripoli. I migranti dispersi (a questo punto potremmo dire deceduti) sono oltre cento.
Siamo diventati questo, degli habitué del più grande olocausto del XXI secolo. Non ci indigna che uomini muoiano in mare, non ci indigna che bambini neonati muoiano perché nessuno li ha salvati.
Nessuno li ha salvati perché la politica definisce chi salva le vite "tassisti del mare". Come se quelle imbarcazioni portassero "acqua" e non vite umane. Come se portassero pacchi e non persone in carne e ossa che muoiono sul fondo del Mediterraneo. Secondo il sito Alwasat l’imbarcazione è affondata a sei chilometri dalla costa. Sei chilometri, niente.
Sono morti perché nessuno li ha percorsi quei sei chilometri. Una distanza risibile, la stessa che separa San Pietro da Termini. Eppure nessuna nave è arrivata. Perché quando parliamo della "Guardia costiera libica" parliamo di questo: di niente. Di qualcosa che non esiste. Di un corpo militare che fa capo a una parte politica che controlla solo una porzione di paese. Di un corpo militare che non in grado neanche di intercettare un'imbarcazione a sei chilometri dalla propria costa.
E così ci abituiamo a leggere il bollettino ufficiale che parla del ripescaggio “dei corpi di tre bambini”. Lo leggiamo e passiamo oltre come se fosse normale, come quell'olocausto non stesse avvenendo a pochi chilometri da casa nostra. Stiamo voltando la testa come molti all'inizio del secolo scorso.
No, io non ci sto. Non voglio girare la testa, non voglio leggere di un sopravvissuto yemenita - paese oggetto di una guerra - che racconta della morte di venti donne e dieci bambini e far finta di niente. Voglio continuare a provare ad accendere un faro su chi muore in mare. Su chi, pur di sfuggire alla guerra e alla fame, sale su “una barca di legno rovesciatasi perché vecchia”.
Non posso stare zitto mentre il mio paese chiude i porti e lascia che che si muoia in mezzo al mare. Non posso accettare che, solo nel 2018, oltre mille persone abbiano perso la vita mentre cercano di cambiare il proprio destino. Non posso accettarlo perché in 653 sono deceduti sulla rotta del Mediterraneo centrale tra l'Africa del nord e l'Italia.
Non posso accettarlo perché non posso immaginare di vivere in un paese che si commuove davanti "La vita è bella" e gira la testa dinanzi a tutto ciò.
Non posso accettarlo perché voglio restare umano.

Tratto da: fanpage.it

Foto © Getty Images

TAGS:

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos