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Dura lettera di padre De La Serna, religioso e teologo
di Jean Georges Almendras
A nessuno viene impedito di scrivere una lettera ad un presidente della Repubblica, a qualunque dei suoi collaboratori del Potere Esecutivo, o funzionario pubblico. In un regime democratico, dovrebbe essere qualcosa di normale. A meno se non si intenda la comunicazione come un modo di approfondire problematiche che riguardano la società per portare a conoscenza di chi è alla guida di un paese il pensiero della popolazione. Precisamente quella popolazione che ha portato al potere i destinatari della missiva.
A nessuno viene impedito di scrivere una lettera ad un presidente della Repubblica. Sia ben chiaro. Ma quello che veramente non è molto chiaro è: in primo luogo se il presidente della Repubblica leggerà personalmente quella lettera (che potrebbe rimanere sul vassoio dei segretari o dei “filtri” di turno del potere); e secondo: che il presidente della Repubblica possa rispondere espressamente e personalmente al mittente della missiva. Una missiva che può essere di elogi e lodi al governante, o di critiche o discrepanze verso la sua gestione in alcuni o in tutti i settori della sua amministrazione di governo.  
Recentemente, nella Repubblica Argentina, un sacerdote ha scritto una lettera al Presidente della Nazione Mauricio Macri. Veramente una seconda lettera, perché la prima la scrisse l’anno scorso, indirizzata ai funzionari pubblici. E c’è stata un’altra lettera di un altro sacerdote, anche lui sulla stessa linea di impegno sociale.
Il giornale argentino Pagina 12 pubblicò le lettere perché, in definitiva, i rispettivi autori - al di là dei destinatari delle lettere - appartengono alla chiesa cattolica e la loro opinione risulta alquanto preziosa, perché riguarda i settori clericali impegnati nei gravi problemi sociali che soffrono alcuni settori della società sopraffatti dalle difficoltà, cioè i settori più vulnerabili della società argentina. Comunità umane soffocate dai disagi economici ed educativi, che soffrono visibilmente carenze nutrizionali, mancanza di abitazioni ed assistenza medica basilare per vivere. In un secolo dove avere accesso ad una buona qualità della vita dovrebbe essere una costante, abbiamo solo dolorose pagine di una civiltà che si vanta dei suoi progressi in tutti gli aspetti.   
Pagina 12 riporta: “Lettera di un prete di frontiera a Macri”. “Il teologo e coordinatore del ‘Grupo de Curas en la opción por los Pobres’, Eduardo de la Serna, ha inviato una lettera all'attuale mandatario Mauricio Macri rimproverandolo di non aver adottato un solo provvedimento a favore del popolo".  
Non è stato né un insulto, né una calunnia, né tanto meno un rimprovero folle.  
È la pura verità. Che piaccia o non al signore Macri.  
È già da tempo che il popolo argentino, con le tante proteste sociali, scrive a Macri ed al suo governo, e la risposta è stata una sola: la repressione lungo le strade, alle porte delle fabbriche o di luoghi di lavoro di centinaia di lavoratori. Lavoratori che si sono mobilitati in massa  protestando e facendo delle rivendicazioni a chi ha in mano il destino del paese. Centinaia di lettere tradotte in striscioni, canti ed assemblee corporative e comunitarie.   
Il sacerdote De la Serna non è uscito in strada ma la franchezza e la sincerità della sua lettera potrebbe ben interpretarsi come una mobilitazione, per l’intensità del suo contenuto. 
Contenuto che la nostra Redazione riporta integramente, perché riflette l'opinione di molti di noi; riflette e mette in evidenza l'indifferenza del governante Macri, così come la sua prepotenza, il suo autoritarismo e la sua insensibilità verso i problemi e le penurie degli argentini che vivono in quartieri di operai, in villaggi o nel cono sud del grande Buenos Aires.  
La lettera del sacerdote è una sintesi perfetta, che rispecchia integramente il nostro sentire. Uno scritto inevitabile e, se si vuole, già annunciato, perché già qualche mese prima un altro religioso della stessa pasta, Francisco Oliveira, scrisse un’altra lettera - non meno tagliente di quella di Padre de la Serna - alla vicepresidente dell’Argentina. Una scia di rivendicazioni e proteste per il modo in cui il governo sta affrontando certi temi e certe realtà del paese. Era da prevedere che da un momento all’altro i sacerdoti impegnati nel sociale a favore di uomini, donne e bambini avrebbero fatto sentire la loro voce, nel costatare che non sono per niente uguali per tutti le opportunità di vita e di progresso, con l’aggravante di essere derisi, ingannati ed esclusi da parte delle istituzioni di potere.
C’era da aspettarsi che quella parte della chiesa cattolica impegnata nei settori sociali più poveri  e che lavora per loro e insieme a loro, tramite i loro sacerdoti che prendono parte alle proteste sociali, avrebbe espresso pubblicamente la loro visione? Sì.
Era da aspettarsi che quei sacerdoti avessero qualcosa da dire - pubblicamente - ai responsabili della situazione attuale? Sì.
Ed è così che il sacerdote e teologo Eduardo de La Sarna ha scritto la sua lettera, che dà voce a migliaia di argentini e non.

"Signor presidente,
mi rivolgo a lei con il rispetto che merita la sua carica. Una carica che lei disonora giorno per giorno, glielo devo dire. Non ho la speranza che lei legga la mia lettera, e – per quello che si dice che non c’è ‘peggior sordo’- non ho neanche speranze che lei sappia leggere.  
Pochi anni fa, quando uscì alla luce (di proposito tardivamente, in modo che la notizia fosse pubblica dopo le elezioni), lo scandalo internazionale del "Panamá Papers" io dissi che lei si doveva dimettere. Stando a quanto dice uno dei mediocri cosiddetti giornalisti che le fanno la corte, lei chiese ai vescovi argentini che lei ha salutato in quei giorni, chi ero io, ed uno di loro le disse che ero "un prete marginale”. Devo dirle che uno dei migliori, se non il miglior libro sulla figura storica di Gesù, si intitola precisamente "Un ebreo marginale" per cui credo di non meritare tale elogio episcopale che apparentemente mi hanno dedicato.  
Chi crede nella democrazia la intende come "governo" del popolo, è il popolo a esprimersi periodicamente nelle cabine elettorali da dove vengono assegnati alcuni dei poteri della Repubblica come quello legislativo e direttivo. Non sto qui a commentare di quando ci furono dei tentativi per permettere al popolo di avere voce anche nel potere giudiziario, ma quest’ultimo lo vietò asserendo ad strana motivazione che lo costituiva praticamente in giudice e parte lesa. Ma chi crede nella democrazia non accetta che questa si limiti semplicemente a votare ogni due anni e restare spettatori passivi di quello che gli eletti fanno a loro capriccio. Specialmente quando tutto sta a indicare che sono stati scelti perché avevano detto che avrebbero fatto delle cose ma poi hanno fatto assolutamente il contrario.
Sarebbe una democrazia molto assurda quella dove il popolo non ha voce. Devo dire che ho fatto degli sforzi, e mi sono persino confrontato con compagni ed amici e fino ad oggi, nei suoi oltre due anni di governo non abbiamo trovato un provvedimento, nemmeno uno, a beneficio del popolo. Nel frattempo, lei ed i suoi (non mi azzarderei a chiamarli amici, neanche lei lo fa poiché riferendosi a "Nicky" lo chiama "fratello della vita”), si arricchiscono, si aggrappano al potere al tempo che si prendono gioco di tutti con discorsi assurdi o con slogan vuoti (qualcosa che, devo riconoscerlo, vi caratterizza da sempre; vuoti come palloni).  
Dicevo che lei disonora non solamente la sua carica prendendosi gioco sistematicamente del povero e delle vittime che questo modello impone, ma anche per frasi come “non c’è un'altra strada”, "a me dispiace dover prendere questi provvedimenti" o battute simili. Tutti sappiamo, anche se a volte non lo ricordiamo che c'è un'altra strada, e che a lei non le fa male per niente prenderle. La disoccupazione nelle nostre comunità e quartieri aumenta sempre di più, le speranze di crescere vengono recise con la chiusura di piani specifici come quello di ‘Conectar Igualdad’, che realmente non sono mai stati chiusi ma nemmeno attuati (…). Il tanto decantato  "sostegno all’imprenditorialità” e alla "meritocrazia" non funzionano nei quartieri dove non possono aprire un piccolo negozio per le tasse che non potranno mai pagare, ma lei non può sapere tutto, perché quando vengono a farsi timbrare si assicurano di andare ai posti giusti, o si fanno accompagnare da “la Doce”, che a un tempo era popolare. E - certo - tutto ciò dovutamente presentato in un packaging adeguato: tolgono il pane dalle mense asserendo che “bisogna dare il meglio ai nostri ragazzi”. L’inetta governatrice non indossa più stivali per andare a visitare gli inondati e si compiace del fatto che nessuno le chieda o ribatta alle sue assurde risposte, persino il capo di gabinetto, quando ha un momento tra trolley e call centers ci dice che la gente non va ai mercati perché acquista su internet, e mi piacerebbe sapere come fanno i vicini del mio quartiere.
Non pretendo che lei si dimetta: dovrebbe interessarle il popolo (che lei chiama gente), non pretendo che adotti dei provvedimenti in favore dei poveri, non pretendo che lei smetta di interferire nel potere giudiziario, già opportunamente cooptato ed ossequente. Una volta eravamo orgogliosi della Corte Suprema (il giudice Carlos Rosenkrantz emetterà un giorno sentenza a favore dei poveri?) Solo una cosa: sarebbe molto chiederle di non parlare? Di smetterla di prendersi gioco dei poveri e delle persone che sono accanto a loro? So che mi daranno del “populista” (chi si troverà a leggere queste righe), parola controversa (in caso non lo sappia, questa parola si può intendere in vari modi e significati), parola vacua, di marketing e stigmatizzante quando pronunciata da lei e dai suoi. Non si preoccupi, non si logori, lo so già. Oso chiederle solo un unico gesto di rispetto verso i poveri che sono vittime del suo governo. Ma sospetto che non otterremo nemmeno questo, ci siamo rassegnati. Ma non ci rassegniamo nel continuare a lottare per la giustizia, per la pace e per un governo per il popolo (tanto diverso dal suo!.  
La saluto cordialmente.
Bernal, 26 aprile 2018"

Il teologo e coordinatore del Grupo de Curas en la Opción por los Pobres, Eduardo de la Serna, già nel dicembre dello scorso anno aveva avuto l'opportunità - in un'altra lettera - di contestare il governo di Macri. Una lettera che come quella di oggi che diceva la verità e fa delle puntualizzazioni che erano e sono ancora punta di lancia della resistenza e della denuncia proveniente da un settore della società attraverso i religiosi nella lotta sociale. Un settore della società letteralmente stufo di tanta ipocrisia, di tanta insensibilità e di tanta intolleranza, principalmente proveniente dall’ambito del governo, dal partito al potere, dove non sono pochi i funzionari che si dicono cristiani, ma a giudicare dalle loro azioni sono ben lontani dall’esserlo.
A nessuno viene impedito di scrivere una lettera ad un presidente della Repubblica. A nessuno.  
I sacerdoti di frontiera hanno troppe e solide ragioni per farlo. Lo hanno fatto. E continueranno a farlo.  
Sono i più indicati per affrontare il potere, anche, se purtroppo, ci sono anche quelli che non lo hanno mai fatto e non lo faranno mai.
Di tutto c’è nella vigna del Signore.
(3 Maggio 2018)

Foto di copertina: www.vocesyapintes.com Programma radio “Tarde para todo” di Frecuencia Patagonia 99.3

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