Per la settima volta spostata la data dell'udienza per la 17enne palestinese
di Jean Georges Almendras
Che intenzioni hanno le autorità israeliane rinviando ancora una volta il processo e quindi la sentenza contro la combattente palestinese Ahed Tamimi? Perché costringerla ancora a vivere nell'incertezza sulla sua sorte?
Per la settima volta, infatti, hanno rinviato il processo e non sembra sia dovuto a una crudele burocrazia, quanto a motivi extragiudiziari, cioè politici. Un rinvio che obbedisce ad una dottrina repressiva.
Ahed è una prigioniera politica in ogni senso. Ecco perché è oggetto di mortificazioni e prepotenze: bisogna allungare le istanze del processo e mantenerla relegata in una cella. Una sorta di ammonimento e di punizione per aver affrontato i soldati del regime. Furono filmati mentre uno di loro riceveva lo schiaffo di Ahed, i calci e le proteste per essersi introdotti nel cortile di casa sua, considerato dai palestinesi spazio libero.
Ahed Tamimi non è una prigioniera comune. La sua storia è nota a tutto il mondo e ciò disturba parecchio il regime sionista, preso dall’ira, che preferisce coprire e nascondere tutto, non importa come.
I nazisti facevano la stessa cosa, prima di essere scoperti. Prima che l’olocausto fosse noto a tutti, bisognava darle un altro volto: quello degli ebrei catturati e portati in centri per rifugiati, di rieducazione, quando in realtà venivano caricati in vagoni come bestiame e portati ai campi di sterminio.
Sembra che i sionisti non abbiano dimenticato quelle pratiche. Perché adesso sono proprio loro a commetterle contro il popolo palestinese, in un altro tempo e con altri metodi, non meno crudeli.
A febbraio Ahed fu portata di fronte al Tribunale Militare per essere giudicata in merito ad una decina di imputazioni. Quel giorno i giornalisti locali e internazionali furono mandati via dalla sala dove si teneva l’udienza, insieme al pubblico. L’udienza si svolse a porte chiuse, senza le garanzie del diritto a giusto processo, trattandosi di una minorenne arrestata a dicembre dello scorso anno. Quel giorno si decise di rinviare il processo all'11 marzo. Ma anche in questa occasione tutto è stato fatto all’insegna del segreto e dell’arbitrarietà.
Nuove proteste sono giunte dal suo avvocato, dai familiari e compagni di lotta, per poi estendersi sul territorio nazionale. È una protesta che viene da lontano, dal 1948, quando la Palestina iniziò ad essere calpestata e spazzata via. E sono 70 anni che la situazione non cambia.
Nonostante tutto, si è diffusa nel mondo una notizia gratificante: Ahed Tamimi ha ricevuto il Premio della Lotta per la Liberazione della Palestina assegnato dall'Intergrupo del Congreso Español, di cui fanno parte diversi partiti politici,
L’avvocato di Ahed, la dottoressa ebreo-messicana Gaby Lasky, ha detto che il Tribunale Militare sta “cercando delle prove convincenti” per poter infliggere una sentenza esemplare contro l’attivista.
Nel frattempo, sembra proprio di assistere ad un processo creato per dettare una sentenza aggiustata a normative e parametri utili al gioco politico.
Ahed Tamimi attende, con la pazienza della combattente e della rivoluzionaria, lo svolgersi degli eventi. Ma non è sola, né isolata, nonostante si trovi in una cella da circa 90 giorni e non ci sia nessuno con lei. Privata dalla sua libertà fisica, ma non dalla sua libertà di coscienza.
Insieme a migliaia di noi, che siamo già milioni, sparsi in tutto il mondo.
Foto di copertina: resumenlatinomaricano.com
Processo Ahed, perché un nuovo rinvio?
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