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maldonado santiago fiumeLa vita dell'attivista intrecciata alla causa del popolo Mapuche
di Jean Georges Almendras
Settantotto giorni dopo la scomparsa di Santiago Maldonado, che aveva partecipato il 1° agosto alla mobilitazione della comunità mapuche nel ‘Pu Lof Cushamen’, provincia di Chubut, a circa 80 km dalla città di Esquel, ecco la notizia del ritrovamento di un corpo nelle acque del fiume Chubut lo scorso 17 ottobre.
Ma chi è Santiago Maldonado? Artigiano argentino e tatuatore di 28 anni, il giovane decise un giorno di esplorare l’Argentina e altri paesi del Sudamerica. Si sosteneva grazie alla sua abilità nel produrre oggetti artigianali e facendo tatuaggi, in questa sua avventura per conoscere il mondo, per coltivare amicizie e affacciarsi alla vita in un modo differente rispetto a quello della gente comune. Amante della natura, veniva da una famiglia dove aveva imparato i valori della vita, ma soprattutto quello della solidarietà e della giustizia, sempre pronto ad offrire il suo appoggio alle persone e alle cause giuste.
Santiago si era così avvicinato alla comunità mapuche del ‘Pu Lof Cushamen’, istaurando con alcuni dei suoi membri un legame di amicizia e militanza. Il suo buon carattere e il suo modo di pensare lo trasformarono immediatamente in un amico della comunità, che ne stimava molto la disponibilità e l'energia, oltre alla ferma convinzione nel sostenere la causa mapuche.
"Lo Stregone", come lo chiamavano i suoi amici più vicini ed i membri mapuche, decise quindi di partecipare alla mobilitazione sulla ‘rotta 40’ il 1° agosto. Una data che si rivelò poi fatale, non solo per lui, ma anche per la comunità di Pu Lof Cushamen e per la democrazia argentina.  
Quel giorno la Gendarmeria Nazionale mise in atto una dura repressione, una delle tante che da mesi attuava contro i mapuche, prima e dopo l'arresto del loro leader Facundo Jones Huala, accusato di terrorismo e di cui sono in corso le pratiche di estradizione per il Cile. Le irruzioni sono sempre state costanti, con un enorme saldo di feriti, danni materiali e violazioni dei diritti umani. Anche quella fu una giornata carica di tensioni e di vessazioni, che culminarono però nella sparizione forzata del giovane Santiago.  
Come hanno riferito i testimoni mapuche – e dimostrato i filmati ufficiali ed i cellulari di alcuni funzionari – quando le forze della Gendarmeria irruppero nella proprietà di Pu Lof Cushamen i membri della comunità fuggirono verso l'altro margine dal fiume Chubut: era impossibile affrontare gli agenti armati di fucili e pistole di grosso calibro.  
Testimonianze e registri grafici sono molto eloquenti: mostrano i mapuche inseguiti a breve distanza da uomini armati che guadagnano terreno, non senza prima distruggere le abitazioni che trovano sul loro passo, un evidente atto di violenza poliziesca. Come se i mapuche facessero resistenza armata, quando in realtà non avevano altro che mani, pietre e fionde artigianali per difendersi.
Il duro assalto della Gendarmeria costò persino una vita. Alcuni agenti inseguirono poi i mapuche fino alla sponda del fiume. Gli indigeni, con i gendarmi alle calcagna, non ebbero altra scelta che entrare nelle fredde acque del fiume Chubut: fu proprio in quelle circostanze che i gendarmi riuscirono a catturare uno di loro.  
Un testimone diretto dichiarò al Giudice Otranto che una persona che stava fuggendo dai gendarmi era proprio "lo Stregone", e che quando questo capì che era inevitabile attraversare il fiume decise di non proseguire perché non sapeva nuotare, preferendo nascondersi tra alcuni rami nella vegetazione della zona.  
Il testimone raccontò al magistrato di aver sentito lo sparo di un fucile e delle grida, per poi vedere che Maldonado era stato catturato e colpito. Correndo come poteva raggiunse l’altra sponda e raccontò quanto era successo ai suoi compagni.  
Da quel momento, Santiago non è stato più visto in vita. Nel frattempo, i mapuche iniziarono a cercarlo nella zona con la speranza che i Gendarmi lo avessero abbandonato sul posto. Poi però notarono, da un punto sopraelevato sulla sponda opposta del fiume Chubut, che un veicolo Unimog entrava nella proprietà per poi allontanarsi, mentre un cordone di gendarmi si disponeva in una specie di sipario, apparentemente per sollevare un peso (un corpo umano), avvolto in un telo, caricandolo su un camioncino bianco che poi si allontanò lungo la rotta 40.  
Era l'inizio di un episodio che ha colpito terribilmente la comunità mapuche, la famiglia Maldonado, la società argentina e la comunità internazionale. Le organizzazioni dei Diritti umani, in testa APDH (Assemblea Permanente per i Diritti Umani), e tutti i cittadini liberi dell'Argentina e del mondo, hanno qualificato l'episodio come una sparizione forzata in democrazia. Un delitto di lesa umanità. Un fatto estremamente grave e da ripudiare. Di fronte al quale ha destato profonda indignazione la posizione del governo, del Ministro di Sicurezza Patrizio Bulrich e dei gerarchi al suo comando che miravano a coprire e proteggere la Gendarmeria Nazionale.  
Dalle file ufficiali del Potere Esecutivo e di ambienti giudiziari c’è stata anche una costante (e per niente discreta) tendenza a minimizzare il fatto, a demonizzare la comunità mapuche e  ad allontanare qualsiasi responsabilità dalla Gendarmeria Nazionale sulla sparizione, al punto che in nessun momento il giudice della causa Guido Otranto considerò, dopo la sparizione, di dover interrogare i gendarmi ed effettuare delle perizie sui loro veicoli, così da sviscerarne i dubbi. Invece, lasciò trascorrere il tempo permettendo in questo modo che i camioncini fossero lavati e che fossero manomessi i registri della polizia cancellando qualsiasi traccia.    
A questo è seguita la propensione a paralizzare le investigazioni, e solo dopo 14 giorni dalla sparizione forzata il Giudice Otranto dispose la realizzazione di perizie e rilevamenti nei distaccamenti della Gendarmeria. Ma era già tardi, perché tutto era stato già cancellato, ed i risultati furono negativi.
Mai, fino a quel momento, il magistrato focalizzò la sua attenzione sulla Gendarmeria Nazionale come soggetto sospetto. Il suo atteggiamento di parte arrivò al punto di omettere di interrogare un alto gerarca del governo, subalterno del Ministro della Sicurezza, per domandargli del ruolo avuto nel Pu Lof Cushamen e nella città di Esquel il 1° agosto. Stiamo parlando di Pablo Nocetti, presente prima e durante la repressione, perché la sua missione era quella di coordinare le azioni riguardanti la causa dei membri della comunità mapuche. Com’è possibile che il magistrato lo escludesse dall'elenco delle persone da interrogare?
Tutti questi aspetti sono stati sottolineati e opportunamente denunciati dalle organizzazioni di DDHH argentine, dalle Madri e Nonne di Plaza de Mayo e dalla famiglia Maldonado, tramite il suo avvocato Verónica Heredia ed altri legali difensori. Nel frattempo oltre ad Esquel, a Buenos Aires e nell'Argentina sono state organizzate altre mobilitazioni, di cui due in Plaza de Mayo, alle porte stesse della Casa Rosada, residenza del presidente Mauricio Macri.
Il caso della sparizione forzata di Santiago Maldonado ha avuto tale eco che persino l'ONU e l'OEA, insieme a numerose organizzazioni di Diritti Umani locali e straniere, hanno preteso dallo Stato argentino risposte urgenti ad una domanda che ha fatto il giro del mondo: dov’è Santiago Maldonado? Mai si sono messi in modo i meccanismi del governo nazionale per rispondere a questo interrogativo. Macri ha guardato dall'altra parte, ignorando sia il popolo che le organizzazioni internazionali.
Questa domanda che irritava il governo veniva perfino ridicolizzata da alcuni personaggi del sistema politico macrista e dal giornalismo pacato e servile al governo, che cerca costantemente di distorcere la verità sulla causa mapuche, una comunità che non fa altro che lottare legittimamente per recuperare le terre dei loro antenati, oggi usurpate dall'impero Benetton e da gruppi finanziari legati strettamente al governo Macri. Le irregolarità e negligenze del giudice Otranto, le intimidazioni ai testimoni e alla comunità mapuche che ha subito l’irruzione e la sottomissione con la forza e il terrore da parte dei gendarmi e delle forze di polizia, sono state all’ordine del giorno.
Le mobilitazioni per trovare Santiago Maldonado si sono moltiplicate nella regione e nel mondo; le denunce degli organismi internazionali hanno dato vita a serie proteste e richiami al governo Macri per la mancanza di risposte alla richiesta di comunicati ufficiali e per la concretezza di investigazioni serie, complete e imparziali. Gli avvocati querelanti e la famiglia Maldonado, principalmente, hanno ricusato il Giudice Otranto ed hanno anche espresso serie critiche nei confronti del pubblico ministero del caso, Silvina Ávila.  
Mentre ancora si ignorava la sorte del giovane Maldonado, il Tribunale di Appello aveva accettato la ricusazione di Otranto designando un nuovo giudice: Gustavo Lleral, lasciando comunque al suo posto Silvina Avila. E proprio quando l’arrivo di un nuovo giudice lasciava intravedere qualche tenue luce di speranza che le indagini potessero fare luce sulla verità, improvvisamente l'incertezza sulla sorte di Santiago si è frantumata, quando nel pomeriggio del 17 ottobre è stato trovato un cadavere che a giudicare dalle prime osservazioni (in attesa dei rapporti forensi) sarebbe quello di Maldonado.
In caso sia confermata l'identità, questo segnerebbe l’inizio di una nuova tappa nelle indagini e di un nuovo capitolo del caso, che raddoppia i suoi interrogativi. Come è morto? Dove e quando? Che indizi sono stati trovati negli esami?
Sono molte le domande che sorgeranno con il trascorrere dei giorni. C'è una convinzione generalizzata (anche oltre le frontiere dell'Argentina) che il ritrovamento del cadavere sia stato architettato. Come provarlo? Con la stessa rettitudine e la saggezza giuridica dimostrata dagli avvocati che difendono la causa mapuche e la quella di Maldonado, per abbattere le impunità ed i delitti commessi dai responsabili materiali ed ideologici della sparizione forzata del giovane artigiano. È arrivato il momento che dall'ufficio del giudice Lleral sia data la giusta attenzione al testimone protetto (un amico di Santiago) che ha fatto una chiamata al cellulare dell'attivista il 2 agosto, ricevendo risposta da una persona rimasta in silenzio per 22 secondi, che ha lasciato il cellulare accesso. Cosa si sentiva? Che luogo era? E soprattutto, Santiago era ancora vivo?  
La battaglia per la verità contro un'impunità che ricorda i tempi delle dittature militari entra ora in una nuova fase.

Foto copertina: www.quepasasalta.com.ar

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