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jara victorI militari ti hanno ucciso, ma non sono riusciti a strappare la tua anima, le tue idee, il tuo canto
di Jean Georges Almendras
La sua sensibilità, la sua intelligenza, il suo talento artistico, il carisma da educatore e la leadership da combattente erano i tratti distintivi della sua vita. Un insieme di virtù che hanno costituito un vero tesoro per coloro che hanno avuto la possibilità di conoscerlo e sentirlo cantare. Perché la sua voce e le sue composizioni sono sempre state un canto d'amore, un canto alla vita, di impegno, di denuncia.
Un privilegio, soprattutto per coloro che hanno avuto la gioia di condividere qualcosa con lui. Perché Victor Lidio Jara Martínez, nato il 28 settembre del 1932 nella città di Chillán, nella regione di Bio Bio, in Cile, è stato un rivoluzionario integro nel vero senso della parola. Un caudillo tra i caudillos degli anni Sessanta, la cui vita è stata falciata dai militari pochi giorni dopo il colpo di Stato in Cile. Che non è stato dimenticato e tantomeno ignorato.
Gli assassini materiali e i mandanti volevano che Víctor Jara scomparisse dalla faccia della terra. Lo martirizzarono brutalmente, in uno degli spogliatoi dello Stadio del Cile, nella capitale cilena (Stadio che oggi porta il suo nome). Lo colpirono alle mani con il calcio dei fucili, lo pestarono e lo finirono con 44 spari. Ma non riuscirono a cancellare la sua memoria, a relegare la sua vita all’oblio delle generazioni che sopravvissero al colpo militare di Augusto Pinochet.
Ogni giorno, in tutto il mondo, la sua musica e i temi a lui cari sono cantati da gruppi e solisti. Non c’è giorno in cui un artista popolare o un cittadino del mondo, soprattutto in America Latina, non lo evochi o citi il suo nome, come emblema dei migliaia di cileni uccisi e che hanno patito torture e soprusi durante la dittatura.
L’omicidio di Víctor Jara, come quello di altri migliaia di cileni e stranieri in quei giorni di terrore, fu la dimostrazione più cruda della filosofia e delle idee antimarxiste di un pinochetismo criminale, che ha lacerato una democrazia legittima a colpi di cannone dei carri armati, bombardamenti aerei, massacri, sparizioni, detenzioni, pestaggi, torture e tutta una serie di bestiali vessazioni di taglio fascista e nazista. Vessazioni aventi il timbro criminale dell’impero statunitense, palese nel momento in cui venne sabotato il governo di Salvador Allende, scatenando una dittatura caratterizzata dalla crudeltà e dall’accanimento, fomentati e patrocinati da Washington sotto la sinistra tutela della CIA e di un personaggio oscuro del governo yankee: Henry Kissinger.
Oggi è difficile mettersi nei panni di chi è stato recluso lungo le gradinate dello Stadio Cile o nelle tribune dello Stadio Nazionale, entrambi scenari di morte della dittatura militare. E ancor di più in quelli di Víctor Jara, nel momento in cui fu riconosciuto e identificato da uno degli sbirri della giunta golpista.
Per i suoi carnefici, quell’uomo ricco di valori era un nemico da calpestare, colpevole di essere un artista capace di smuovere coscienze. Che per anni ha sensibilizzato il popolo con il suo canto e i suoi poemi.
L'hanno fatto a pezzi. Ma non sono riusciti a distruggerne il ricordo.
I mandanti del suo omicidio hanno nome e cognome. Il principale è Augusto Pinochet morto nell’impunità a 91 anni, il 10 dicembre del 2006. Gli assassini materiali hanno anche loro nome e cognome.
Quanto ai killer, a distanza di anni e di una serie di istanze giudiziarie, sono stati comunicati i risultati delle indagini alla vedova di Víctor, la coreografa inglese Joan Turner, (che adottò il cognome Jara) e alle figlie Manuela (dal primo matrimonio di Joan) e Amanda (dal matrimonio con Jara).
A metà del 2016 l’ex militare cileno Pedro Pablo Barrientos (di nazionalità statunitense) fu ritenuto colpevole della morte del cantautore, avvenuta il 16 Settembre del 1973 nello Stadio del Cile, e condannato a pagare un indennizzo di 28 milioni di dollari, secondo la sentenza del tribunale federale della città statunitense di Orlando. Barrientos, che ha sempre negato di essersi trovato nello Stadio, secondo altri militari testimoni, oltre a torturare Víctor e sparargli due volte alla testa con una pistola Lugger, si vantò in seguito di averlo ucciso. Si presume che dopo quei due spari, l’oggi imputato avrebbe ordinato ad altri militari presenti di sparare quei 44 colpi sul corpo dell’artista. Barrientos è stato giudicato secondo la Legge di Protezione delle Vittime della Tortura, che permette i familiari di persone sottoposte a torture o esecuzioni extragiudiziarie in altri paesi di fare causa nei tribunali degli USA. Si attende ancora, però, la possibilità dell'estradizione del militare.
La Giustizia del Cile ha ordinato l'apertura di un processo per diversi militari ormai in pensione. Dopo tre anni di indagini sono stati processati dal giudice Miguel Vázquez Plaza, per presunta complicità in reati di sequestro e omicidio (sia di Jara che del direttore delle Ferrovie dello Stato Littré Quiroga Carvaja) gli ex militari Hugo Sánchez Marmonti, Raúl Jofré González, Edwin Dimter Bianchi, Nelson Haase Mazzei, Jorge Smith Gumucio, Ernesto Bethke Wulf, Juan Jara Quintana, Hernán Chacón Soto e Patricio Vázquez Donoso. Precedentemente erano stati indagati dalla Giustizia Cilena gli ex militari José Paredes Márquez e Mario Manriquez: il primo confessò il proprio coinvolgimento per poi ritrattare, il secondo fu ritenuto estraneo al delitto.
Giuridicamente parlando il crimine di Víctor Jara non è rimasto impunito. Ma è proprio vero, se a non essere mai stato processato né condannato fu proprio Pinochet? Sono trascorsi 44 anni dal colpo di Stato e non si può essere ignari delle conseguenze. Perché i repressori e i golpisti di quella terra andina ricca di colori, culture e valori, appartengono ancora a quelle ideologie mai veramente sradicate dall’America Latina dei giorni nostri. Come un condor che, anche in tempi di democrazia, continua a sorvolare le nostre teste ed a garantire l'impunità di assassini, torturatori e responsabili di lesa umanità in Cile, Argentina, Paraguay, Brasile e Uruguay.
Non possiamo essere ignari del martirio di Víctor Jara, che pagò a caro prezzo il suo essere comunista, fedele alle idee politiche e vicino al governo Allende. La sua morte è ancora fonte di rabbia, dolore e senso di impotenza.
Ma non sono riusciti a cancellare le sue idee e il suo canto.
Un giorno prima di morire, con il volto tumefatto e insanguinato dal pestaggio subito, le mani ancora incolumi ma sprofondato nella solitudine dello spogliatoio, pienamente consapevole di avere le ore contate, senza farsi vedere dai carnefici Víctor Jara scrisse su un foglio stropicciato la poesia “Stadio del Cile”

Siamo in cinquemila, qui,
In questa piccola parte della città.
Siamo in cinquemila.
Quanti siamo, in totale,
Nelle città di tutto il paese?
Solo qui
Diecimila mani che seminano
E fanno marciare le fabbriche.
Quanta umanità
In preda alla fame, al freddo, alla paura, al dolore,
Alla pressione morale, al terrore, alla pazzia.

Quel foglio stropicciato, Víctor riuscì a consegnarlo ad un compagno, il quale era cosciente che quello era l’ultimo respiro della sua arte e della sua denuncia, scaturito dal suo cuore e dalla sua anima. Un compagno che, di quella poesia, ne ha fatto tante copie, poi diffuse in strada e nel mondo intero.
Questa è l'ultima poesia di Víctor Jara prima della sua uccisione, avvenuta il 16 settembre 1973. Una descrizione dolorosa e poetica di quanto egli stesso stava vivendo con tutti i suoi compagni, che insieme a lui si trovavano nello Stadio del Cile.
Il nostro Víctor Jara, che i militari della dettatura non sono riusciti a far scomparire del tutto.
Il nostro Víctor Jara, non il loro.

*Foto di Copertina: www.elclarindechile.com

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