di Jean Georges Almendras e José Guzmán
Le vie per trovare la verità, in qualsiasi campo della vita, richiedono certi elementi o requisiti indispensabili. E la via per individuare nella provincia di Chubut dove si trova Santiago Maldonado, non sfuggono alla regola. In questo particolar caso, tanto lo Stato come tutte le persone coinvolte nell’episodio di presunta “sparizione forzata” del cittadino argentino (che sosteneva la lotta della comunità Mapuche di Lof Cushamen, a 80 km. dalla città di Esquel, lungo la statale 40) c’entra molto. Vuol dire che tanto i presunti responsabili dei fatti (agenti della Gendarmeria Nazionale e testimoni oculari), non devono essere assenti nel processo legale per far luce sull’intera vicenda. Vuole dire anche che lo Stato non può permettersi di essere assente per far luce su un fatto che ha assunto i connotati di una vicenda scandalosa e complessa da ogni punto di vista. Ergo, non devono mancare le perizie, ne tanto meno le testimonianze.
Le perizie realizzate non hanno portato alcuno esito, ma le testimonianze sono ancora una materia in sospeso, e è possibile che ad ora uno dei testimoni dei fatti, abbia già fornito la propria versione davanti al giudice Federale Guido Otranto e al magistrato Silvina Ávila. Ad ogni modo, il giovane attivista non è ancora stato rintracciato. Quindi, stando ai fatti, e nonostante le perizie realizzate, il caso sembrerebbe scivolare verso l'incertezza più che verso la verità. Una prospettiva che riteniamo possa dipendere anche dalla mancata presa di posizione delle autorità di governo e della magistratura. Forse perché si tratta di un caso strettamente legato ad un conflitto tra una comunità indigena e lo Stato.
Un conflitto dove gli interessi economici avrebbero esercitato la loro nefasta influenza per inclinare la bilancia a svantaggio dei mobilitati e a favore dei potenti? Al punto di rischiare di incorrere, coscientemente o meno, in uno sfacciato ed obbrobrioso atto proprio dei tempi dei terrorismi di Stato (il che significherebbe un vero danno o un vero attentato contro la democrazia argentina dei nostri giorni)?
Dalle prime ore del mattino di giovedì 10 agosto, la sede della Squadra 36 della Gendarmeria Nazionale della città di Esquel è stata scenario di un inusitato spiegamento di agenti della polizia scientifica della Polizia Federale e di altre dipendenze, e di operatori giudiziari e della procura. Le perizie in questione, per le quali la polizia si è servita di unità cinofile, secondo versioni ufficiali non hanno portato a risultati positivi. Ciò significa che le indagini sono ancora al punto zero. Durante le perizie erano presenti anche Fernando Machado, difensore della giustizia federale e Verónica Heredia, che rappresenta la famiglia di Santiago Maldonado.
Quest'ultima, avvocato difensore del giovane scomparso, ha dichiarato ai giornalisti che le perizie sono state effettuate a dieci giorni dall’operazione di polizia che si sospetta fosse irregolare e che ha portato alla sparizione dell'artigiano. Allo stesso tempo ha spiegato che gli indizi organici appartenenti al giovane scomparso, dovevano ancora essere rilevabili sul posto, invece non sono stati trovati. E l'avvocato, personalmente, ha dichiarato che i risultati dell’intero lavoro di perizia sono stati negativi.
Da parte sua, il giudice Guido Otranto ha optato per il silenzio, mantenendosi distante dalle domande giornalistiche. Il magistrato Silvana Ávila, invece, ha spiegato alla stampa che le indagini proseguiranno ma non ha apportato ulteriori dettagli sui prossimi passi.
I fatti fin qui esposti ci fanno pensare immancabilmente che il caso in sé ha molti nodi poco chiari.
Da un lato abbondano gli interrogativi sulla sorte del giovane artigiano Santiago Maldonado, sui particolari dell’episodio (al quale parteciparono agenti della Gendarmeria Nazionale ed è quindi vitale avere nell’espediente le testimonianze dei testimoni oculari), sull’azione della polizia, sui motivi che hanno portato al conflitto (di vecchia data) nella zona di El Bolsón, tra comunità mapuche e potenti imperi finanziari che usano quelle terre che i popoli originari reclamano come proprie da tempi ancestrali. Sorgono dei dubbi anche sulla posizione di cautela nel rilasciare dichiarazioni di fronte alla Giustizia da parte dei testimoni oculari e l’importanza ed il significato della lotta mapuche, una lotta che intendiamo ha solidi fondamenti storici che non sono compresi né valorati, da file governative e da certi settori della società, del giornalismo argentino e dell’imprenditore Luciano Benetton.
I fatti così esposti ci fanno pensare, immancabilmente, che la persecuzione dei popoli originari non compromette solo l’Argentina, ma tutta l’America Latina, perché in definitiva è uno scottante tema culturale ed economico. Un tema che richiede sia ai soggetti statali che a coloro che rivendicano le terre, coerenza, equilibrio, sensibilità, intelligenza e, soprattutto, etica. Nella protesta e nelle dinamiche di risposta alla stessa da parte delle autorità.
Una protesta e una rivendicazione che non si risolvono con la repressione né con la demagogia, né con le intolleranze degli eruditi e dei dottorati dalle file dello Stato. Di uno Stato che non ha diritto in assoluto ad agire con le metodologie del terrore e della violenza dittatoriale.
L’episodio di presunta sparizione forzata dell’artigiano Santiago Maldonado è la punta dell’iceberg di un conflitto alimentato nella matrice culturale da un atteggiamento da parte dello Stato obsoleto e paranoico, che non sa scegliere tra la sopravvivenza delle ricche culture originarie e la sopravvivenza di una cultura capitalista e divoratrice di uomini, donne, bambini e anziani. O peggio ancora, divoratrice di speranze, di sogni, di risorse naturali e di una convivenza umana pacifica.
Foto © Sergio Lopez