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jeroen dijsselbloem eurogruppodi Simone Santini
Il capo dell'Eurogruppo non ha mai detto che i paesi del Sud-Europa sperperano i soldi in alcol e donne. Semmai ha detto qualcosa di più grave, di cui nessuno parla 
Cominciamo con un dato di verità, visto che ormai viviamo di post-verità. Jeroen Dijsselbloem, capo dell'Eurogruppo (cioè l'organismo che riunisce tutti i ministri dell'economia e finanze dell'eurozona), presidente del consiglio dei governatori del MES (Meccanismo europeo di Stabilità, cosiddetto Fondo Salva Stati) nonché ministro delle Finanze olandese finora in carica, ovvero uno degli uomini più potenti della tecnocrazia europea... non ha mai detto che i paesi del Sud-Europa, tra cui l'Italia, sperperano i soldi in alcol e donne. Semmai ha detto qualcosa di più grave, che i piani alti europei dicono sempre, senza che nessuno si scandalizzi, e qualcosa di nuovo ed estremamente preoccupante, che ovviamente i giornaloni e commentatori nostrani hanno perfettamente e scientemente ignorato.

Andiamo per ordine.
In Olanda ci sono state recentemente le elezioni e il partito di Dijsselbloem (socialdemocratico) ha avuto un tracollo, perdendo i 3/4 dei voti. La sua riconferma al ministero dell'economia del futuro governo di coalizione appare davvero in bilico, ciò che avrebbe ripercussioni anche sul suo ruolo europeo. Per cercare sostegno dagli alleati di sempre (puntualmente arrivatogli dal potentissimo ministro dell'economia tedesco Wolfgang Schäuble), il nostro ha rilasciato una intervista al più importante quotidiano tedesco, Frankfurter Allegemeine Zeitung. Tra i diversi temi toccati, Dijsselbloem si è intrattenuto sul concetto di solidarietà europea. Ed ha ripetuto la visione ricorrente che ci arriva da Bruxelles: «Nella crisi dell'Euro i Paesi del Nord della zona Euro si sono mostrati solidali con i Paesi in crisi. Come socialdemocratico, ritengo che la solidarietà sia molto importante. Ma chi la chiede, ha anche dei doveri. Io non posso spendere tutti i miei soldi in alcool e donne e poi chiedere aiuto a lei. Questo principio vale a livello personale, locale, nazionale ed anche a livello europeo».
Con una metafora magari colorita (e nemmeno poi tanto) si ribadisce il concetto che la solidarietà europea è un dare-avere. I nostri maggiordomi si stracciano le vesti sulla forma espressa da Dijsselbloem, di fatto manipolandone le parole, ma si guardano bene dal mettere al vaglio di una dura critica la sostanza, che viene invece data per scontata.
Non dovrebbe essere così. La solidarietà non è una concessione. Tanto più la solidarietà non è una concessione benignamente elargita per avere in cambio qualcosa.
La solidarietà europea, se ci trovassimo all'interno di una Comunità politica, dovrebbe essere piuttosto un meccanismo semi-automatico utile per riordinare, riarmonizzare, eventuali storture e disequilibri che si determinano in seno all'Unione Europea. Se qualcuno rimane indietro, non tanto per sua colpa, ma perché è l'architettura europea che, complessivamente, crea disparità strutturali, allora è doveroso che le stesse istituzioni europee intervengano in maniera solidale. Semmai la discussione dovrebbe vertere sul se, quando, come e perché tali disparità strutturali si creino, e quindi quando sia opportuno far scattare la dovuta e necessaria solidarietà.
Questa solidarietà europea, invece, non sembra affatto solidale. Usando metafore colorite alla Dijsselbloem, mi verrebbe da dire che la solidarietà europea assomiglia alla solidarietà dell'usuraio che ti presta denaro non perché ti vuole bene ma perché vuole lucrare su sostanziosi interessi; o quella del mafioso che ti dà i soldi per salvare la tua azienda in crisi, ma poi vuole diventarne socio fino a costringerti a lavorare per lui. E fin qui, come si diceva, siamo ancora nell'alveo di ciò che Bruxelles dice sempre, senza determinare scandalo tra i maggiordomi.

Ma Dijsselbloem, nella stessa intervista, va ben oltre. E di ciò nessuno parla. Il tecnocrate olandese lancia una proposta innovativa: l'Europa non vuole certamente rinunciare alla sua solidarietà (quando mai si è visto un usuraio che rinunci a fare prestiti?) ma tale ambito non dovrebbe più essere governato dalla Troika bensì direttamente dal MES. Alcuni ricorderanno che durante la crisi greca la Troika (Fondo Monetario Internazionale, Banca Centrale Europea, Commissione Europea), a un certo punto, si mosse in maniera ondivaga e con contrasti al proprio interno. Ciò è normale perché le tre istituzioni che la compongono possono rispondere ad esigenze, interessi, centri di potere diversi. Tanto più in questa fase di crisi e sommovimenti tettonici nelle élite finanziarie e politiche transnazionali. Ecco, dunque, la necessità di non avere slabbrature, di non concedersi tentennamenti. Il MES è lo strumento perfetto, e spietato, per il recupero crediti. È un carrarmato giuridico. Se finisci nel suo abbraccio amorevole puoi star sicuro che non ti salvi. Continuando con le metafore ardite, la Troika è il diavolo travestito da gentiluomo; il MES è il diavolo con tanto di corna, forcone, coda, zoccoli e puzzo di zolfo. Di questo dovremmo parlare in Italia, ma noi preferiamo cianciare di ubriaconi e mignotte.

Tratto da: megachip.globalist.it

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