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copertinaArgentina: Benetton rivendica una terra che non gli appartiene
di Jean Georges Almendras
Un senso di ripugnanza mi invade alla notizia della repressione messa in atto dalla polizia contro i membri di una comunità indigena. Ancora più forte nel sapere che la comunità indigena - dai repressori etichettata come sovversiva e terrorista - stava semplicemente difendendo le sue terre.
Una storia che si ripete da molto tempo a questa parte nella nostra America Latina, che parla di intolleranza e di politiche colonialiste al servizio di mentalità deviate del blocco europeo o statunitense. Una storia che degrada una civiltà che si vanta di essere avanzata e moderna. Una storia di cattivi e "buoni". Dove questi ultimi hanno sempre il coltello dalla parte del manico, forti del potere dissuasivo del manganello, delle armi da fuoco e del denaro, e dove i “cattivi” devono pagare i ‘piatti rotti’, perché sono i nullatenenti, i contadini o gli esclusi. In questo caso, i “cattivi” erano le comunità mapuche di Chubut, prese a bastonate, ferite e saccheggiate, ed i “buoni”, coloro che hanno difeso energicamente terre che non appartengono loro, ma per le quali detengono il potere (usurpate a base di timbri e formalità tendenziose o fraudolente ai popoli nativi), o in mano ai potenti di turno, in questo caso: l’azienda Benetton.
I fatti si sono verificati nelle terre abitate da membri della comunità mapuche Pu Lof, nel Dipartimento di Cushamen, Chubut, Repubblica Argentina. Fatti del genere non sono oramai una novità, ma lo è stata la violenza esercitata nella repressione. Il conflitto per le terre è di vecchia data.
I popoli nativi sono stati da sempre (e lo sono ancora oggi) il sassolino nella scarpa del conquistatore prima, in quella del colonizzatore dopo, e dell’imperio finanziario trasnazionale adesso. Un impero che veste all'europea, esteso nel mondo come un cancro difficile da sconfiggere ed estirpare. Quell’impero tante volte denunciato pubblicamente da scrittori sudamericani, come ad esempio l’uruguaiano Eduardo Galeano, e così tante volte affrontato in diversi campi e in epoche differenti, generando sofferenza, emarginazione, diffamazione e persino morte, ieri come oggi. Un impero madre e padre di un sistema finanziario perverso e crudele, dominante e conquistatore. Che per la comunità indigena mapuche ha un volto e un nome: Luciano Benetton.
L’antropologa Florencia Trentini, a fine maggio del 2016, scriveva: “Lo scorso venerdì 27 maggio (2016, ndr) la polizia, la Gendarmeria ed il GEOP (Grupo Especial de Operaciones Provinciales, ndr) è intervenuta per provvedere allo sgombero forzato dei membri del Lof (comunità en Resistencia del Departamento Cushamen, provincia de Chubut, ndr)".
Secondo quanto denunciato dalla comunità, l’intervento non è stato solo estremamente violento, ma anche eseguito senza mostrare il mandato del giudice, ed i detenuti sono stati portati a Esquel, fatti salire in macchine non identificabili. Il violento episodio si è verificato lungo la strada nazionale 40, a circa 100 km dalla città di Esquel, nelle vicinanze di Vuelta del Río, a Leleque. I motivi dello scontro riguardano alcune terre di proprietà della Compañìa de Tierras del Sud Argentino, che dagli anni ’90 è in mano all’imprenditore italiano, Luciano Benetton, il quale possiede circa un milione di ettari nella Patagonia argentina.
Il conflitto tra Benetton ed il Popolo Mapuche non è nuovo. Nel 2007, la comunità Santa Rosa Leleque decise di recuperare il suo territorio ancestrale e per anni ha dovuto affrontare continui e violenti tentativi di sgombero, fino a che nel 2014 l’Istituto Nazionale degli Affari Indigeni (INAI) riconobbe il loro diritto sul territorio nell’ambito della Legge 26.160 di rilevamento territoriale. Il 13 marzo del 2015 alcune famiglie iniziarono la “recuperación” di altri territori ancestrali del popolo mapuche nelle terre di Benetton, sottratte loro dal magnate straniero. In quell’occasione i Pu Lof ed il Movimento Mapuche autonomo del Puel Mapu (MAP) emisero un comunicato pubblico:
“Noi, Mapuche, siamo ancora un’immensa maggioranza senza terra, con l’unica alternativa di essere operai, impiegati domestici, manodopera a basso costo e sfruttata dall’oligarchia ‘creola’ e dall’imprenditoria trasnazionale”. Aggiungendo che “l’unico modo per frenare ‘l’omicidio pianificato’ dal potere economico e dallo Stato (ecocidio ed etnocidio) è il controllo territoriale delle nostre comunità”.
“La risposta della Compañía de las Tierras del Sud Argentino fu una denuncia penale per usurpazione. Da allora la violenza, le minacce ed i tentativi di sgombero sono permanenti. A novembre del 2015 la comunità denunciò che nelle prime ore del mattino una macchina si fermò lungo la nazionale 40 e sparò alcuni colpi di arma da fuoco per poi dileguarsi. I Lof denunciarono tramite un comunicato ufficiale l’azione di gruppi speciali al servizio di proprietari terrieri asserendo che questo tipo di azioni erano la risposta alla ‘recuperación territorial’ che mette in pericolo gli interessi dell’oligarchia e del capitale trasnazionale”.
“Lontano dall’essere considerato un fatto isolato o senza precedenti, la situazione a Cushamen mette nuovamente sul tavolo della discussione la violenza di cui soffrono i Popoli indigeni per mano delle forze di sicurezza che proteggono gli interessi dei proprietari terrieri e delle aziende nazionali e multinazionali. Allo stesso tempo la lotta indigena fa riemergere nuovamente il processo fraudolento di appropriazione di quelle terre, che proprio ciò che si cerca di evitare ad ogni costo. La lotta indigena solleva anche la questione della “proprietà privata”, base del sistema capitalista.
“Come scrive lo storico Ramón Minieri nel suo libro ‘Ese ajeno sur’, la storia della Compañía de Tierras del Sud Argentino risale al genocidio della “Conquista del Desierto”, quando nella Patagonia si dà inizio al processo di vendita di terre all’estero e al latifondismo che persiste ancora oggi, ai danni dei diritti dei popoli nativi. Le terre oggi in mano a stranieri come Benetton sono per la maggior parte donazioni ad aziende o famiglie che finanziarono il genocidio “della conquista”, e successivamente sono state acquisite dagli attuali proprietari terrieri a prezzi irrisori”.
“I proprietari terrieri nazionali ed stranieri si sono impossessati gradualmente delle migliori terre della nostra Patagonia, mentre i mapuches sono stati stigmatizzati come selvaggi e barbari, e dovrebbero essere sterminati mediante ‘la conquista’ per poi cercare di civilizzarli ed integrarli allo Stato argentino, principalmente come manodopera a basso costo. Oggi sono considerati invasori o terroristi che mettono in pericolo la pace Sociale”, ha concluso la Trentini.
La relazione dell’antropologa riassume la direzione scelta dal potere, e quella intrapresa invece dalle comunità indigene. L’apparente complessità che si vuole dare alla vicenda ha un solo volto: quello del saccheggiatore ancestrale, che manipola la situazione, distorcendo la lotta legittima di questi popoli, come d’abitudine dai tempi della conquista.

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Oggi, questi conquistatori del terzo millennio, che impunemente attribuiscono alle comunità indigene le fattezze di un terrorismo distruttivo ed usurpatore, hanno come unico obiettivo impedire che una verità storica si diffonda per le strade e arrivi ai mezzi di comunicazione di massa. Oggi ci troviamo gli usurpatori nel ruolo di accusatori, e a reprimere con violenza non sono altro che volgari e codardi ipocriti, in una congiuntura storica esacerbata dalla arbitrarietà.   
Sempre Florencia Trentini, nell'ottobre dello scorso anno, scriveva: "Purtroppo, ai mezzi di comunicazione di massa come ‘La Nación’ non importa molto ciò che hanno da dire le comunità e le organizzazioni mapuche, né gli accademici che da anni lavorano con questo popolo. Non interessa loro neanche di leggi nazionali in vigore ed accordi internazionali ratificati dal nostro paese che avallano e legittimano la rivendicazione mapuche dei loro diritti sul territorio. Occultando o tergiversando la situazione reale scrivono articoli ed editoriali che non fanno altro che stigmatizzare questo popolo e contribuire a fomentare la violenza che si vive giorno per giorno nei territori".

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Ma cosa e accaduto in questi territori il 10 e 11 gennaio?
Secondo i media locali c’è stata un'operazione di polizia nelle terre già recuperate dai mapuche a marzo del 2015 (fino a quel momento in mano a Benetton) e due membri della comunità sono stati arrestati.  
"Sono entrati sparando, picchiando gli uomini, hanno ammanettato le donne, spaccato tutto. Erano circa 200 gendarmi e due drone per reprimere una comunità di dieci adulti e cinque ragazzi. Ci trattano da indios terroristi che vogliono seminare il panico, invece il panico lo seminano loro…”, hanno denunciato pubblicamente.   
Soraya Maicoñía ha detto ai giornalisti di Pagina 12 che "nonostante a mezzogiorno, la Gendarmeria manteneva il blocco delle tre vie di acceso alla comunità lungo le strade 258, 40, e un sentiero alternativo che collega Esquel, fortunatamente, a quel punto, il giudice federale Guido Otranto diede l’ordine di fermare lo sgombero” e ha aggiunto: “Il punto fondamentale del conflitto è recuperare le terre per il popolo mapuche in mano a Benetton, proprietario di circa un milione di ettari nella Patagonia. Ci sono documenti storici che provano che qui abitavano i nostri avi prima della Conquista del Deserto. Fu allora che donarono le terre agli inglesi. Nel 1994 Carlos Menen le vendette a Benetton per pochissimi soldi. (…) Abbiamo avuto due incontri con i funzionari della provincia e responsabili delle ferrovie. La comunità Pu Lof reclama, inoltre, che gli abitanti delle dieci comunità indigene che abitano lungo i 500 chilometri che li separano dalla comunità di Esquel possano accedere al servizio ferroviario per rompere l'isolamento".

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I fatti recenti hanno sollevato immediatamente un considerevole polverone. Tuttavia, la repressione contro i mapuche di "Chubut" non è stata neppure menzionata dalla maggior parte dei mezzi di comunicazione compiacenti, né di Buenos Aires, né della regione, nemmeno nel mio paese, l'Uruguay. Un fatto in sè che mi irrita e mi fa capire che la strada scelta dai mapuche era ed è ancora quella azzeccata. Un cammino di lotta e denuncia che chiaramente mal si sposa con l'indifferenza di alcuni colleghi che non fanno altro che minimizzare ed ignorare una causa giusta che, seppure interessa un territorio distante dal nostro, non merita di essere accantonata o ignorata.
Durante l’operazione di sgombero di questi giorni due membri della comunità mapuche Pu Lof sono rimasti feriti gravi e ricoverati. Uno di loro, Emilio Jones, sembra essere stato colpito da un proiettile di gomma alla mandibola. Soraya Maiconia ha raccontato a Pagina 12: “Gli hanno sparato a bruciapelo, ad una così breve distanza che gli hanno distrutto la mascella. Sappiamo che ha trascorso bene la notte e valuteranno la possibilità di effettuare chirurgie di ricostruzione".
Un altro dei feriti, identificato in Fausto Jones Huala, ha dovuto essere trasportato all'Ospedale di Bariloche in terapia intensiva. Era stato colpito da vari proiettili in testa, che potrebbero compromettergli l'uso della parola.
Da parte sua Isabel Huala, conversando con "La izquierda diario", ha detto che durante l’operazione di repressione avevano fermato suo figlio Nicolás; ha detto di aver chiamato la polizia di El Maitén ma non le hanno detto dove era detenuto. "Non so dove stanno portando i detenuti. Ho paura che diventino desaparecidos", ha affermato Isabel Huala.
Sopraffazione. Ignoranza dei fatti storici. Repressione. Potere. Terrore. Ed un apparato giudiziario e mediatico al servizio degli interessi stranieri. Tutto per il semplice possesso di terre. Le migliori terre di una regione dell'Argentina, da sempre un boccone appetitoso per l’invasore. Terre che saranno difese tenacemente perché "resistenza" non è terrorismo, come si legge in un cartello tenuto in alto dalle comunità mapuche durante le loro manifestazioni.

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Sembrerebbe di essere nel secolo scorso per le mentalità e politiche di espansione. Ci vantiamo di un mondo la cui qualità di vita ha raggiunto livelli inimmaginabili. Ma non ci rendiamo conto di ciò che ci circonda. Di come l’umanità sia malata, dominata e divorata dal capitale finanziario. Sembriamo insonnoliti ed anestetizzati da un egoismo che - pur non volendo - ci rende complici del crimine di sottomettere popoli interi, come accadde 500 anni fa, sventolando croci ed impugnando spade. Per saccheggiare in grande, anime e ricchezze di un intero continente. Come volgari rapinatori che si compiacciono di titoli e privilegi.
Gli stessi rapinatori delle terre mapuche? Sì, ma con altri volti, con altre vesti ed altri nomi e cognomi. Che però adottano gli stessi metodi, le stesse frodi, gli stessi argomenti e le stesse favole. Metodi di "saccheggio e morte", del terzo millennio, ancora applicati nelle terre mapuche, usurpate dal conquistatore Benetton, nell'Argentina democratica del 2017. Gli stessi metodi ancora applicati in Africa, Medio Oriente e in molti paesi dell'America Latina, come Honduras, Paraguay e Cile tra altri. Metodi che ancora seminano feriti e cadaveri, utili a calpestare o annientare popolazioni native, ma non prima di averle spogliate della cosa più sacra: le loro terre.  
La Pacha Mama, la Madre Terra continua a dissanguarsi per arricchire altri che vengono da lontano. Non abbiamo imparato niente e l'ipocrisia si è istituzionalizzata e globalizzata. Come il capitalismo e la mafia.
Lo scrittore e giornalista uruguaiano Eduardo Galeano, che oggi non è più tra noi, ci ha lasciato il suo pensiero la sua analisi brillante sulla realtà della terra sudamericana nel libro "Le vene aperte dell'America Latina”.
Non solo per l'oltraggio al popolo mapuche, ma per altre ragioni, e per il fatto che oggi quelle vene della "madre terra sudamericana" continuano ad essere ancora aperte.     
Bisognerà rispondere all'invasore, come sempre è stato fatto nella storia dei popoli sudamericani.

*Foto di copertina: resumenlatinoamericano.org
*Foto 2: agenciapacourondo.com.ar
*Foto 3: www.resumenlatinoamericano.org
*Foto 4: www.politicargentina.com

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