di AMDuemila
È trascorso poco più di un anno e mezzo da quel triste giorno in cui Pablo Medina, giornalista paraguaiano e collaboratore di AntimafiaDuemila, trovò la morte mentre, al ritorno da un servizio giornalistico, percorreva sulla sua auto una zona rurale di Villa Ygatimí, dipartimento di Canindeyú, in Paraguay, accompagnato dalla sua giovane assistente Antonia Almada, anche lei uccisa. Unica sopravvissuta la sorella di quest’ultima, Ruth.
Era il 16 ottobre del 2014 quando nel primo pomeriggio alcuni sicari, in seguito identificati come Wilson Acosta e Flavio Acosta, indossando delle uniformi militari, tesero un agguato al giornalista intimandogli l’alt. Le ultime parole di Pablo guardando in faccia i suoi assassini che avevano le armi puntate su di lui furono: “Anina she ra à”, che in lingua guaraní significa “No amico mio”.
La morte di Pablo e Antonia colpì profondamente l’opinione pubblica del Paraguay e non solo.
I sospetti sul mandante dell’omicidio ricaddero immediatamente sul sindaco di Ypejhù, Vilmar Acosta, più noto con il nome di Neneco, che si diede alla latitanza subito dopo il delitto.
Pablo Medina era un personaggio scomodo per gli interessi dei narcos nella zona in cui gestiscono il traffico di droga lungo la frontiera del Paraguay con il Brasile.
Prima di essere ucciso aveva tra le mani un’inchiesta che coinvolgeva personaggi potenti del Paraguay, appartenenti anche alla politica, coinvolti nel giro del narcotraffico.
Le perquisizioni e i rastrellamenti scattati subito dopo l’omicidio portarono allo smantellamento della tenuta “Dos Naciones”, di proprietà di Neneco, dove c’era un centro di elaborazione della droga, e furono trovate oltre tre tonnellate di marijuana.
Il primo a cadere nelle mani delle autorità, il 4 dicembre 2014, fu Arnaldo Javier Cabrera catturato nel suo nascondiglio tra i monti, a circa 15 km. della tenuta Dos Naciones, il quale confessò che a decidere di uccidere il giornalista era stato Vilmar Acosta perché “era stanco della persecuzione di Pablo Medina, e sia lui che la sua famiglia nutrivano nei suoi riguardi un odio viscerale, principalmente quando Vilmar e suo padre, Vidal Acosta, finirono nel carcere di Coronel Oviedo nel febbraio del 2011, dopo che nella tenuta di famiglia “Dos Naciones” erano stati trovati resti umani, di probabili vittime del clan”. Proprio in questi giorni, il 28 marzo del corrente anno, è stato condannato a cinque anni di carcere. Cabrera, seppure non era presente al momento dell’agguato, era a conoscenza del piano di esecuzione.
Per alcuni mesi le ricerche del latitante Neneco non diedero risultato, ciononostante il cerchio si stringeva sempre di più nei due paesi limitrofi, Paraguay e Brasile, considerando che Vilmar potesse rifugiarsi precisamente in quest’ultimo, godendo della doppia nazionalità, paraguaiana e brasiliana. Ma finalmente, la collaborazione tra le autorità dei due paesi portò all’arresto di Vilmar Acosta il 4 marzo 2015, nello stato brasiliano del Mato Grosso del Sur, a circa 300 km del dipartimento di Canindeyú.
Le autorità del Paraguay chiesero l’immediata estradizione, ma per alcuni mesi i cavilli delle pratiche burocratiche, sulla presunta doppia nazionalità dell’ex sindaco, non fecero altro che ritardare la consegna dell’Acosta nelle mani delle autorità paraguaiane, che si concretizzò finalmente il 17 novembre del 2015, per essere portato in carcere. Appena arrivato, Vilmar Acosta si negò a prestare dichiarazione al giudice Sandra Quiñonez.
Lo scorso 9 gennaio toccò a Flavio Acosta, uno degli autori materiali dell’omicidio, a cadere in mano alla giustizia a Pato Branco (Brasile). È detenuto a Foz de Iguazù (Brasile), e sono in corso le pratiche di estradizione per essere giudicato in Paraguay. L’8 aprile ha prestato dichiarazione negando la sua parentela con Vilmar Acosta e specificando la sua nazionalità brasiliana per evitare l’estradizione. Stesso stratagemma usata da su zio Neneco.
Martedì 19 aprile scorso, Vilmar Acosta è stato chiamato a comparire nuovamente dinnanzi ai giudici, ma ha ripetuto lo stesso gesto che nella sua prima deposizione: sorridente, ha scelto il silenzio.
I giudici titolari del processo a suo carico hanno cambiato la voce di imputazione di “autore morale” a “istigatore” del duplice omicidio, specificando però che ciò non incide nella pena che gli potrebbe essere inflitta, fino a 30 anni.
Per chiudere il cerchio si spera nell’arresto di Wilson Acosta, fratello di Vilmar, ancora latitante.
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