di Jean Georges Almendras
Il 26 agosto i mainstream di tutto il mondo hanno riportato la notizia dell’accordo di pace firmato tra il governo israeliano e il movimento islamico Hamas. In Israele, Cisjordania e nella Striscia di Gaza si è tornati a respirare un certo clima di normalità. Gli scontri hanno lasciato un saldo di morte e distruzione inevitabile ed immaginabile. Secondo le statistiche dell'ONU, in 50 giorni di guerra, le vittime dell’offensiva israeliana nell'enclave palestinese Gaza sono state 2.138, per la maggior parte civili, 500 di loro minori di età. Il numero di feriti è molto elevato. Nella zona di Gaza circa 17.000 famiglie hanno perso la casa, letteralmente distrutta, e oltre 5.000 abitazioni dovranno essere riparate. Dal fronte israeliano, si sono registrati 64 caduti tra le file militari in territorio palestinese e 5 vittime tra la popolazione civile, tra cui un bambino, in territorio israeliano. Statisticamente parlando queste cifre rivelano ciò che era palese sin dal primo momento: che la guerra era sproporzionata. Da una parte uno degli eserciti più potenti del pianeta. La morte, in tutta la sua tragica dimensione, ha trovato riparo crudelmente nel fronte opposto, il più debole. E la popolazione civile, come d’abitudine nella storia dell'umanità, ha pagato tutti i conti, tasse incluse. Una Palestina di dolore e di sangue.
I titoli dei giornali di tutto il mondo si rallegrano della pace firmata. Ma c’è veramente da rallegrarsi? Non sarà forse prematuro complimentarsi per questa tregua? Ovviamente, la cessazione dei combattimenti, anzi, dell'assedio israeliano, è motivo di gioia per chi vive in uno scenario di guerra. Non posso ignorare questo piccolo grande dettaglio. E dopo? Questa tregua che garanzie offre?
Secondo le fonti di informazione, la Palestina vuole una data che metta fine finalmente all'occupazione di Israele. È logico. O, per meglio dire, è la vera essenza del conflitto: definire coerentemente i territori. Senza le ipocrisie diplomatiche di sempre.
Sempre i giornali dicono che il 15 settembre sarà presentata al Consiglio di Sicurezza dell'ONU una proposta affinché sia fissata una data che segni la fine dell'occupazione israeliana in Cisjordania e per la proclamazione dello Stato palestinese. Si è detto inoltre che se questa richiesta venisse respinta, l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina porterà dinnanzi la Corte Internazionale una denuncia contro le autorità di Israele per la devastazione della Striscia di Gaza.
Ma c’è di più. Tutti i mainstream hanno riportato la notizia che il presidente Mahmud Abbas ed il primo ministro israeliano Benjamín Netanyahu si sono incontrati faccia a faccia, prima della firma della cessazione del conflitto, ed il primo ministro israeliano avrebbe accettato la creazione dello Stato. Il presidente palestinese avrebbe detto che Netanyahu gli avrebbe riferito che si dovrebbero soltanto delimitare nel dettaglio le frontiere del 1967. Allo stesso modo Abbas ha affermato: "Non accetteremo che la negoziazione sia parziale, bensì un accordo globale riguardo le frontiere", aggiungendo che i palestinesi aspetteranno "un giorno, una settimana o un mese, ma non 20 anni”.
Ma il contrappunto è risultato essere un altro. In un comunicato stampa il Primo Ministro israeliano ha negato di avere accettato la creazione dello Stato palestinese con le frontiere del 1967. Da parte sua, il leader di Hamas, Khaled Meschal ha avvertito che se falliscono i colloqui tra israeliani e palestinesi, che cominceranno tra un mese come prevede l'accordo raggiunto per un alto al fuoco, il movimento islamico palestinese ritornerà al confronto armato.
Al di là della dinamiche delle negoziazioni, un primo obiettivo immediato è stato raggiunto: l’interruzione degli attacchi. Un sospiro di sollievo per i residenti palestinesi, in particolare, che hanno sempre pagato il prezzo più alto in questi 50 giorni di sangue, di soprusi e fuoco.
È stato confermato inoltre che regge l’apertura – da parte di Israele – di alcuni valichi di frontiera con Gaza, per permettere un maggiore flusso di prodotti nell'enclave costiera, oltre all’aiuto umanitario ed a materiali di ricostruzione.
E sul piano territoriale cosa prevedono questi accordi? Girano voci che Israele si sia impegnata ad ampliare da tre a sei miglia la zona permessa ai pescatori di Gaza per le attività di pesca. A questo riguardo non bisogna dimenticare che secondo gli Accordi di Oslo del 1993, questa area si estende fino alle 20 miglia nautiche, ma per motivi di sicurezza Israele l’ha ridotta progressivamente a tre. Ora, dallo Stato di Israele, assicurano che sarà ampliata a sei e successivamente a dodici. Una vittoria di Hamas? Probabilmente, ma non bisogna dimenticare che la richiesta palestinese non è banale o priva di fondamento. In fin dei conti i palestinesi "richiedono" qualcosa che apparteneva loro fino a relativamente poco tempo fa.
Alcuni inviati speciali hanno riferito alle loro testate che altri incontri, su temi non meno rilevanti, sono fissati per questo mese di settembre: la pretesa di Israele che Hamas deponga le armi e la richiesta insistente dei palestinesi che gli ebrei costruiscano loro un porto ed un aeroporto internazionale. Dopo il 26 agosto sono cessati gli attacchi, ma questi ultimi punti non sono stati contemplati in assoluto. La comunità internazionale si interroga: si troverà un accordo?
Una testata di Montevideo ha dato un titolo alquanto azzeccato alla notizia della cessazione degli scontri: "Un alt al fuoco più fragile che permanente”. E l'accordo veramente ha il sapore più di una strategia israeliana, dotata di una preoccupante fragilità, se lo analizziamo nel contesto storico degli accordi firmati in precedenza tra israeliani e palestinesi, considerando anche i fatti recenti. Non in vano, non pochi analisti politici ed osservatori in loco e nel mondo concordano nell’affermare che qualunque scintilla potrebbe in futuro far riesplodere la polveriera.
È realmente una pace fragile? I potenti dello Stato di Israele hanno smesso di tirare la fune e tanto loro come Hamas vivono queste ore e giorni impegnati nel giustificare le perdite ed attribuirsi i meriti?
La stampa internazionale ha riportato che il Primo Ministro di Israele Benjamín Netanyahu si mostra soddisfatto perché le condizioni imposte per la tregua sono praticamente simili a quelle offerte dall'Egitto circa 30 giorni fa, ma non accettate dalla Palestina. Inoltre Israele ha decimato il potere di Gaza: eliminando almeno tre leader militari e dopo l’avvenuto lancio di circa 4 mila razzi, la capacità della sua forza militare è significativamente diminuita. Israel spera che Hamas tardi nel recuperare la sua forza militare e quando avverrà si ritornerà nuovamente al tira e molla da entrambe le parti che potrebbe sbocciare in nuovi scontri.
Si può dunque parlare con certezza di una pace armoniosa e definitiva? La fragilità dell’accordo è palese, gli attacchi sono cessati, ma il fantasma della guerra continua a sorvolare sulla Striscia di Gaza. Purtroppo.
Questa guerra durata 50 giorni ha lasciato segni molto profondi nella comunità umana mondiale. E sono state assordanti le riflessioni sulla sproporzionalità delle forze israeliane contro quelle palestinesi. Numerosi cittadini nel mondo intero hanno voluto esprimere il proprio dissappunto scrivendo una frase visibile nelle loro automobili, nei balconi, negli indumenti che indossavano, poche parole che racchiudono il sentimento che ispira la lotta del popolo palestinese per i loro territori, per la loro vita e il loro Stato: Tutti siamo la Palestina. Tanto semplice. Tanto significativo. Perché il sangue versato nella Striscia di Gaza ci ha toccato tutti. Senza frontiere. E sono tante le ragioni per cui ci siamo schierati con i palestinesi. O per meglio dire, con le vittime di un oltraggio. Sono state di troppo le giustificazioni diplomatiche del governo israeliano, come lo sono state le argomentazioni che le hanno letteralmente rese banali. Perché nei fatti la guerra è stata giustificata secondo parametri del fondamentalismo dell'estremismo sionista. Che non cerca altro che il dominio territoriale, l’assoggettamento di un popolo che non ha fatto altro - per anni ed anni – che cercare la sua terra promessa, come fece tanti anni fa anche il popolo ebraico. Israele ha demonizzato al popolo palestinese, etichettandolo come terrorista –legittimando i propri atti di forza come risposta alle azioni di Hamas - senza misurare le conseguenze, anche interne -. Perché lanciare un attacco della portata di quello appena avvenuto, è sembrato a tutti gli effetti un estremo tentativo di assomigliare a chi 40 anni fa - i nazisti – individuò nel popolo ebreo il proprio obiettivo bellico, razziale e culturale, che portò ad uno dei tanti olocausti che ingrossa la lista di genocidi della storia dell'umanità.
Oggi, nel 2014, le statistiche di morte ci sconvolgono, non meno di quanto ci sconvolsero le cifre delle vittime causate dai nazisti nel popolo ebreo circa 70 anni fa. Hanno perso la vita, in questo terzo millennio, circa 2000 palestinesi, di cui 500 bambini. Cosa capiscono questi bambini del terrorismo di Hamas? Cosa capivano i bambini ebrei dei campi di concentramento tedeschi, della soluzione finale imposta da Hitler? I bambini ebrei capivano soltanto il terrore che provavano nel vedere i soldati tedeschi, ed i bambini palestinesi, nei giorni nostri, capiscono soltanto il panico nell’udire le esplosioni degli attacchi aerei israeliani.
È ormai luogo comune che ogni palestinese sia un terrorista desideroso di attaccare l’"innocente" Stato di Israele, ma il mondo moderno, il più delle volte condizionato dagli standard dell'informazione, non si è inghiottito la “pillola”. Alcuni colleghi hanno dato la giusta informazione, raccontando nel dettaglio gli attacchi delle forze militari israeliane, il cui spirito combattivo assomigliava più ad un’offensiva genocida che ad un'azione difensiva. Sono emersi alla luce della comunità internazionale i rancori del governo israeliano, risvegliando nell’opinione pubblica delle critiche non compiacenti con lo Stato di Israele. Peccato non essere riusciti a modificare il corso della storia e degli eventi, che sono alquanto più eloquenti delle parole ufficiose di uno Stato che, da tempo - come altri imperi del pianeta - vive demonizzando ed ingigantendo l'immagine del terrorismo palestinese per giustificare un bestiale attacco ad un paese che vuole convivere pacificamente. Un paese che non ha vissuto la pace, ma solo la guerra, per cinquanta giorni. Una guerra che ha avuto le sue conseguenze: uomini, donne, giovani, adolescenti e bambini, sommersi nel dolore della morte, sommersi nell'abbandono dopo la distruzione delle sue case, sommersi nella sfiducia degli accordi di pace israeliani, e infine, sommersi nell'odio, a causa delle tante sofferenze a loro inflitti in questi ultimi giorni.
Forse anche ira? Sì. Un'ira incontrollabile dinanzi a tanta ipocrisia diplomatica. Un'ira incontrollabile dinanzi ad un genocidio sfacciato. Un genocidio nazista per mano dello Stato ebraico. E mi domando: Tutto il popolo ebreo conosce realmente la vera origine di questo genocidio? La sua vera essenza? Credo che Israele sia manipolato dal sionismo. È manovrato per giustificare politiche tiranniche, dispotiche, fasciste e genocide, ai danni di un popolo che reclama le proprie terre e diritti. E dopo queste affermazioni, non dobbiamo considerarci, e tanto meno lasciarci etichettare da antisemiti.
È un dato di fatto che la situazione in Mezzo Oriente è grave e che Israele si è addentrata in territorio Palestinese impadronendosi delle loro terre, delle loro ricchezze e della loro acqua. E c'è dell’altro. È un fatto che sono i coloni ebrei ad occupare le terre palestinesi dopo che l'esercito israeliano attacca gli abitanti della zona. Come possiamo qualificare questo comportamento? Non dovrebbe essere definito atto di terrorismo? Io penso sia proprio questo il termine giusto. E non mi interessano le sottigliezze della dialettica dello Stato di Israele. Una dialettica di governo che non è trasparente con la propria gente. Quel popolo un tempo massacrato nei campi di concentramento nazista. Quel popolo, oggi ingannato. Ancora una volta manipolato, non dal nazismo ma dai potenti della loro terra. Dal potere sionista.
Vittorio Arrigoni, un giornalista ed attivista pacifista italiano, mondialmente conosciuto per il suo impegno nella causa palestinese, assassinato nell’aprile del 2011, scrisse il 25 dicembre del 2008: "Fiero del mio passato, non curante del mio presente. Perché è questo il tempo di spendersi, piuttosto che accaparrarsi un futuro agiato e comodamente distorto, per quelle vittime innocenti a cui non abbiamo concesso neanche l’ascolto, per un attimo, delle loro grida di dolore”.
In quale contesto maturano queste parole di Arrigoni? Il sito web di "Rebelión" ci dà una risposta chiara. Alla notizia della sua morte scrivono: "Arrigoni, militante di sinistra, giunge a Gaza come rappresentante dell'International Solidarity Movement sulla nave Gaza Freedom Movement che due anni dopo diventerebbe la "Flottiglia della Libertà”. Soldati israeliani lo fermarono nel novembre del 2008 in acque palestinesi, lo rinchiusero per sei giorni e dopo lo estradarono in Italia dall’aeroporto di Tel Aviv. Colpevole di aver manifestato insieme ai pescatori palestinesi contro il blocco che strangola la Striscia e getta nella miseria centinaia di famiglie. Di ritorno a Gaza scrisse: “Dalle tenebre dell’assedio”. Sempre sul sito di Rebelión si legge: "Ed arrivò l'Operazione Piombo Fuso, e Vittorio Arrigoni fu, insieme ad Alberto Arce, uno dei pochi giornalisti rimasti a Gaza. Le sue cronache per la testata italiana Il Manifesto furono una finestra affacciata sull'orrore del linciaggio che soffriva il popolo palestinese. Questi testi furono raccolti in un importante libro pubblicato appunto dal Manifesto. Finita la carneficina di Gaza, Vittorio non andò più via da lì. Fu l'unico giornalista occidentale rimasto a Gaza. Aveva un blog."
Rebelión ha pubblicato molti dei suoi scritti tradotti, che nell’inferno della guerra concludevano tutti allo stesso modo: Restiamo umani che da il titolo appunto al libro pubblicato dal Manifesto.
La morte di Vittorio Arrigoni nell’aprile del 2011 è circondata dal mistero. Una morte attribuita ad un gruppo terrorista sconosciuto, che non fece altro che alimentare i sospetti che Arrigoni fosse stato sequestrato e ucciso dai servizi di intelligenza dello Stato di Israele. Un tema ancora non risolto. La notizia della sua morte fu diffusa prima da fonti di Hamas e successivamente da un attivista dell’International Solidarity Movement. Non sono ancora chiare le dinamiche della sua morte. Un portavoce dell’ISM dichiarò che il pacifista era stato strangolato, anche se nella nuca presentava diverse contusioni: “aveva ancora gli occhi bendati e perdeva sangue dalla parte posteriore della testa. Aveva segni di manette sui polsi”. Vittorio era stato sequestrato due giorni prima da un gruppo di salafi che lo aveva minacciato di morte in un video su You Tube se il governo di Hamas non liberava alcuni detenuti salafi entro 30 ore. Sembrerebbe che non ci siano state trattative per la sua liberazione”.
Oggigiorno tutti i palestinesi sono Vittorio Arrigoni, così come, nonostante la nostra lontananza da Gaza, noi gridiamo: Tutti noi siamo la Palestina. Lo sentiamo noi come lo sentiva Arrigoni.
Ho trovato qualcosa di particolare su Vittorio in un sito web Global Voices che ritengo utile e attuale da proporre ai lettori. Un giornalista disse ricordando il pacifista: “Non trovo alcuna ragione che potesse spingere un ‘palestinese’ ad uccidere qualcuno come Vittorio. Un uomo che ha dedicato la propria vita a lottare contro l’ingiustizia. Un uomo che rinunciò ai confort romani e che è andato in una delle zone più problematiche del mondo per denunciare le atrocità che gli israeliani commettono contro i palestinesi. Un uomo che portava tatuata sul braccio destro la parola “Resistenza”. Un eroe i cui occhi riflettevano con chiarezza valori incommensurabili come l’amore, la lealtà, la speranza, il sacrificio, la verità e il coraggio. Vittorio ha fatto molto di più per i palestinesi di Gaza e della Cisjordania di coloro che lo hanno assassinato. Vittorio era un uomo che amava Gaza; amava la sua terra, il suo mare e il suo cielo. C’erano due cose che amava fare: sventolare la bandiera palestinese e cantare Onadikum più volte, con grande entusiasmo, ci metteva tutto il cuore. Probabilmente questa canzone era l’unica cosa che sapeva dire fluidamente in arabo. Adesso che sei rimasto nei nostri cuori saremo più forti e implacabili nella nostra battaglia contro l’occupazione, l’umiliazione e l’ingiustizia. Vittorio, sei una grande ispirazione per tutti noi, ci hai insegnato che non vale la pena vivere se non siamo pronti a lottare contro le ingiustizie, perché è proprio questo a darle un senso e a renderla bella. Adesso, confortati dal tuo ricordo, continueremo a lottare insieme. Vittorio Arrigoni aveva un volto inconfondibile a Gaza. Io non sono arrivato a conoscerlo personalmente, ma ho saputo del suo coraggio attraverso il documentario “Uccidere un elefante”. Vittorio è stato uno degli attivisti rimasti a Gaza durante l’operazione “Piombo Fuso”. La sua è stata una delle voci che raccontarono al mondo le brutalità dell’invasione israeliana. Tristezza ed ira sono i sentimenti predominanti dopo l’assassinio dell’attivista italiano. Nonostante si addossi la responsabilità del sequestro e omicidio ai palestinesi e musulmani, l’Islam si lava le mani di fronte ad un tale brutale atto. Gli attivisti internazionali che visitano Gaza sono sempre stati accolti dal popolo palestinese con calore ed ospitalità. Questo non cambierà mai, l’unica minaccia che condividono palestinesi e attivisti è quella dell’occupazione israeliana”.
Da ogni parte del mondo sono piovute le condanne, vi sono state manifestazioni contro il genocidio, accuse ai sionisti di crimini di lesa umanità e diversi governi hanno ritirato i loro ambasciatori da Israele come segno di protesta: Ecuador, Bolivia e Peru tra altri.
L’Associazione Culturale Un Punto en el Infinito, dell’Uruguay, ha dichiarato testualmente: “Siamo certi che non tutto il popolo ebreo è d’accordo con questo massacro… sembrerebbe che oggi più che mai, il governo Sionista fosse disposto a mettere fine ed a sterminare il popolo palestinese. Ma perché?, dovremmo chiederci. Non è forse più conveniente proseguire con la politica dei coloni che non lo espone all’opinione pubblica mondiale? Cosa si cela dietro a tutto ciò? Quale sarebbe il vero proposito? Forse se non esistessero i palestinesi, Israele vivrebbe in pace, o si aprirebbero le porte per altre guerre con i popoli vicini?”. E ancora: “Tutte le guerre in corso sono frutto dell’egoismo e dell’ambizione di pochi potenti che per impadronirsi del mondo e mantenere il loro elevato tenore di vita e di pazzia, provocano guerre e conflitti per dopo intervenire: Da una parte vendono le armi e dall’altra costruiranno con le loro aziende ciò che hanno distrutto con le loro armi. Un piano diabolico che non possiamo più tollerare. Non possiamo tantomeno ignorare la valenza spirituale di questa espressione di odio e che esistono delle leggi universali che sono inviolabili. Una di queste è la legge di causa-effetto. Il governo israeliano e tutti quelli che lo appoggiano, con il loro silenzio o indifferenza attireranno su di sé le conseguenze, l’effetto del genocidio contro il popolo palestinese”.
L'onda espansiva di una guerra monitorata attraverso internet e quindi alla portata di tutti, nettamente diversa dal conflitto dove i nazisti sterminarono milioni di ebrei, ha messo in gioco i governi del mondo. Ad esempio, il governo uruguaiano ha mantenuto una determinata posizione. Riprendiamo alcune affermazioni, che non possiamo ignorare, che il Presidente José Mujica ha pronunciato durante il suo intervento quotidiano alla Radio M24 rivolgendosi ai cittadini. Il presidente uruguaiano, rivendicando il diritto ineludibile di Israele a difendersi ha detto: "Israele non deve perdere il senso della proporzionalità in un territorio che conosce metro a metro, in quanto, con tutti gli strumenti di informazione che permette la tecnologia moderna si continua a bombardare le scuole a Gaza. Non si può giustificarsi come danni collaterali. Non sono errori, ma orrori."
José Mujica, sottintendendo che la forza bellica di Israele sconfiggerà gli estremisti di Hamas, ha sottolineato enfaticamente che dal punto di vista politico il suo fondamentalismo germinerà inevitabilmente un sentimento di odio e di vendetta in molte giovani testoline nel mondo musulmano che si sentono aggredite, ecco il pericolo maggiore. Mujica ha aggiunto: “infondere terrore per sottomettere semina reazioni in ogni dove”. Ha insistito inoltre sul fatto che “la nazione ebrea, per tradizione e storia, dovrebbe avere un altro livello di considerazione, di sottigliezza, di intelligenza", qualificando Israele come “nazione da ammirare”, ma sottolineando che se nonostante il bagaglio storico Israele non capisce queste cose elementari, sta commettendo un errore di barbarismo dovuto al fanatismo. Non si può rispondersi al fanatismo con altrettanto fanatismo". Il presidente uruguaiano ha rivendicato l'esistenza di uno Stato Palestinese: "Crediamo che la vecchia decisione che devono esistere due Stati, uno palestinese ed un altro israeliano, deve definitivamente essere concretizzato e non trova spazio la colonizzazione di nuove terre, come fa Israele in Palestina, né la reciproca aggressione."
Si eleva una voce uniforme di ripudio verso l’agire di Israele. Senza restrizioni. Una voce che richiama alla moderazione. Una voce che chiama ad assumere il senso di umanità spoglio da ogni diplomazia. Un umanesimo autentico. Imposto dal dolore e dalla tragedia. Un umanesimo che contempla la sanzione per i colpevoli.
In Uruguay, le dichiarazioni del Cancelliere della Repubblica Luis Almagro hanno provocato una profonda controversia con le collettività ebree del territorio nazionale. Una controversia che ha messo in risalto le differenze esistenti, anzi, le posizioni diametralmente opposte rispetto ad uno scontro che non fa altro - giorno dopo giorno - che smascherare lo Stato di Israele. Smascherarlo come Stato genocida, sommerso nell'odio verso un paese che lotta coraggiosamente per le proprie terre, per la sua cultura, per il suo diritto alla vita. Un paese calpestato vilmente dalla superbia di uno Stato che negli ultimi anni non ha fatto altro che cercare giustificazioni diplomatiche e giuridiche per soggiogare, tradendo la propria storia, il proprio passato, la propria sofferenza. Un passato di ghetti, di campi di concentramento, di camere a gas e di generazioni cancellate della faccia della terra, vittime dell'autoritarismo nazi. Un passato che il popolo ebreo rammenta molto bene in ogni possibile occasione. Un passato che si trasforma ora in un presente, ma questa volta, dall'altro lato del banco. Dal lato del carnefice, sembrerebbe che sia più conveniente sterminare il popolo palestinese che rispettarlo. Il demonio di Hamas è stato messo in scena dalla diplomazia mondiale ed allora, bisogna rendergli omaggio, per fortificare le fondamenta dell'intolleranza e per giustificare tutti gli attacchi possibili.
Luis Almagro, Ministro degli esteri uruguaiano, a metà di agosto condannò pubblicamente la morte dei civili in una scuola della Striscia di Gaza, ed il presidente del Comitato Israelita dell'Uruguay, Sergio Gorzy disse che il cancelliere era uno sfacciato. La risposta di Almagro non si fece attendere: “Voi credete che condannare a morte dei civili in una scuola, condannare a morte 400 bambini sia una sfacciataggine. Allora la mia sfacciataggine sarà in eternum, continuerà per sempre perché non accetterò mai queste circostanze”. Almagro ha aggiunto: “Io mi sono appellato alla sentenza dei tribunali internazionali per i crimini di guerra e le violazioni dei diritti umani in Siria. Facciamo lo stesso con Iraq e Gaza. Dovunque ci sia un innocente che soffre un attacco armato, che soffre le condizioni imposte dall’aggressore verso il civile indifeso, come uruguaiano che sono, mi schiero dalla parte della vittima e con il dito accuso coloro che si rendono colpevoli di tali crimini" (…) “l'esercito israeliano si vanta di essere il più moderno del mondo, quindi queste situazioni dovrebbero essere facilmente controllabili e quando uno preme il grilletto sa bene dove spara e sa se ci sono bambini o meno”.
Realmente tutta la popolazione israelita ha appoggiato le misure offensive contro i palestinesi? Non è proprio così, visto che oltre 50 riservisti hanno firmato uno scritto rifiutando di ingrossare le file dell'Esercito di Israele come protesta: “Siamo oltre 50, non appoggiamo l'Esercito israeliano né la Legge del servizio militare obbligatorio. In parte, perché respingiamo l'attuale operazione militare, per questa ragione ci rifiutiamo di prestare servizio ed appoggiamo tutti coloro che si uniranno a noi" si legge nella petizione diffusa dal Washington Post.
Ma se la dichiarazione dei riservisti israeliani ha causato sorpresa nel mondo, non meno sorpresa ha causato la lettera firmata da centinaia di ebrei vittime del genocidio nazista e pubblicata dal New York Times, dove respingono fermamente "il massacro dei palestinesi": “Noi, ebrei sopravvissuti e discendenti di vittime del nazismo, condanniamo fermamente il massacro dei palestinesi a Gaza così come l'occupazione e colonizzazione dei territori storici palestinesi" è uno dei paragrafi della lettera firmata da 327 ebrei vittime dell'autoritarismo nazista.
Secondo il New York Times, la ragione principale che ha motivato la lettera, un gesto plateale dalla ricaduta internazionale, riguarda le affermazioni dell'ungherese Eile Wiesel, anche lui sopravvissuto all'Olocausto, secondo il quale il movimento di Resistenza Islamico Hamas sarebbe il colpevole del sacrificio di bambini, paragonandoli al regime nazista. Di conseguenza i 327 ebrei hanno scritto: "Siamo indignati della strumentalizzazione che si fa della nostra storia al punto che Elie Wiesel ha tentato di giustificare l’ingiustificabile: l’intento di Israele di distruggere Gaza e l’uccisione di oltre 2.000 palestinesi, inclusi centinaia di bambini. Niente può giustificare i bombardamenti ai rifugi dell'ONU, abitazioni, ospedali ed università. Niente può giustificare la privazione dell’acqua e dell’elettricità alla popolazione. Siamo preoccupati dalla disumanizzazione dei palestinesi nella società israeliana che ha raggiunto livelli estremi. In Israele i politici e grandi opinionisti dei mezzi di comunicazione si sono espressi a favore del genocidio. L’estrema destra israeliana sta adottando come propri dei simboli nazisti."
Per concludere, gli ebrei firmatari hanno condannato gli Stati Uniti ed i paesi occidentali in quanto, secondo loro, hanno permesso a Israele di continuare con gli attacchi: “condanniamo gli Stati Uniti per finanziare Israele affinché possa portare a termine gli attacchi ed ai paesi occidentali in generale per servirsi della diplomazia per proteggere Israele. Il genocidio comincia dal silenzio del mondo”, e chiedono inoltre a Israele che meta fine al boicottaggio economico, culturale ed accademico”.
Come uruguaiano e sudamericano, non posso non esporre in questo tavolo di riflessioni e di impegni l’anima critica della nostra America latina, lo scrittore e giornalista Eduardo Galeano, che nel suo scritto ¿Hasta cuando? (Fino a quando?) diceva: “Canà è il luogo dove Gesù convertì l’acqua in vino per una celebrazione umana e Canà è il nome del luogo dove l’odio umano spezza la vita di oltre 30 bambini in un lungo bombardamento. La guerra continua, come se niente fosse. C’è chi dice che si è trattato di un errore. Fino a quando gli orrori saranno chiamati errori? Questa guerra, questo massacro di civili è scaturito dal sequestro di un soldato. Fin quando il plagio di un soldato israeliano potrà giustificare il sequestro della sovranità palestinese? Fin quando il plagio di due soldati israeliani potrà giustificare il sequestro di tutto il Libano? La caccia agli ebrei è stata, per secoli, lo sport preferito degli europei. Ad Auschwitz sboccò un antico fiume di timori che aveva attraversato tutta Europa. Fin quando i palestinesi e altri arabi continueranno a pagare per crimini che non hanno commesso?”.
“Questa carneficina oggi, non è la prima e temo non sarà l’ultima, bisogna tacere? Il mondo non ha voce? Fino a quando continuerà a suonare a intervalli la voce dell’indignazione? Questi bombardamenti uccidono bambini: oltre un terzo delle vittime o anche di più, come a Canà. Chi osa denunciarli è accusato di antisemitismo. Fino a quando accetteremo questo ricatto? Sono anche antisemiti gli ebrei inorriditi di certe azioni commesse nel loro nome? Sono antisemiti gli arabi, semiti come gli stessi ebrei? Forse non ci sono voci arabe che difendono la patria palestinese e ripudiano il manicomio fondamentalista?”.
Le parole di condanna e di critica dello scrittore Edoardo Galeano riassumono perfettamente il sentire di non pochi uruguaiani e cittadini del pianeta.
La tregua regge in questo momento. Una tregua fragile? Dicono che un solo passo falso potrebbe fare scoppiare nuovamente la polveriera della guerra. La comunità internazionale imbandierata nella sua poltrona preferenziale non dovrebbe zittire ancora una volta. Dovrebbe gridare, come tutti noi: siamo tutti Palestina.
1° settembre 2014