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videla-jorgedi Maurizio Chierici - 18 maggio 2013
Si è spento nel sonno come succede ai giusti, ma era un militare senza pietà: Jorge Rafael Videla è morto in carcere dove scontava 2 ergastoli e altre 6 condanne, tra cui quella per aver fatto sparire 500 bambini. Stava per compiere 88 anni. Nel marzo 1976 guida il colpo di Stato che ruba la presidenza a Isabelita Peron, vedova del generale tornato dall’esilio per “mettere ordine in Argentina”. Ma Peron è un relitto e se ne va. Isabelita ne prende il posto con alle spalle il generale Lopez Rega affascinato da spiritismo ed esoterismo. Come può un’ex ballerina governare un paese? Firma ogni foglio che Rega mette sul tavolo. Firma anche la creazione della Triple A, alleanza anticomunista argentina. Quando Videla manda in esilio Isabelita e il suo generale, non deve cambiare una virgola nella specie di gestapo lasciata eredità. La perfeziona: se la signora Peron aveva fatto sparire 1358 persone in pochi mesi, i militari di Videla cancellano 30.000 ragazzi che non sopportavano la soppressione di ogni libertà.

E poi i neonati venuti al mondo in prigione, madri assassinate. Le nonne di piazza di Maggio li stanno ancora cercando. Attorno a Videla i comandanti di ogni forza armata: generale Viola che ne ha preso il posto quando le pressioni straniere diventavano insopportabili, l’ammiraglio Massera, il generale Brignone, numerari della P2 di Licio Gelli. Il Venerabile era arrivato a Buenos Aires sull’aereo di Peron. Un compagno di loggia – Giancarlo Elia Valori – glielo aveva presentato a Madrid. Gelli riesce a scivolare da una dittatura mascherata a una dittatura dichiarata e gli affari prosperano tra Videla e l’apparato statale italiano, presidente Andreotti. Non solo armi, navi e aerei delle industrie di Stato, ma transazioni con holding private e l’approvazione di Reagan quando “finalmente” prende il posto di Carter alla Casa Bianca: l’operazione Condor (con Pinochet, Stroessner in Uraguay e la giunta brasiliana) “ripulisce il cono sud dagli agenti del comunismo internazionale”. Tra loro anche preti cattolici e organizzazioni umanitarie. Da far sparire.

Videla, madre desaparecidos:

Videla imposta la repressione che i generali successori perfezionano con la stessa crudeltà e viscida diplomazia. Buoni rapporti col cardinale Aramburu che invita i cattolici ad aver fiducia nel governo di Videla i cui membri gli sembrano “bene ispirati”. I vescovi Angelelli e Ponce non sono d’accordo: muoiono in strani incidenti. Giovanni Paolo II viene a scoprire la disperazione che la chiesa argentina nascondeva grazie alle madri di piazza di Maggio. Anche Bergoglio, superiore dei gesuiti, è allontanato da Buenos Aires. Stampa e tv sotto un controllo che la mediazione Gelli per un certo tempo dissimula agli occhi dell’attenzione internazionale. L’Italia aiuta la disinformazione: il Corriere della Sera compra la casa editrice Abril, più importante del paese. Proprietaria la famiglia Civita, ebrei milanesi: devono scappare, Rizzoli mette le mani e la P2 fa sapere all’Italia e all’Europa dell’allegro cambiamento argentino. File ordinate davanti a cinema e campi di calcio. Videla che incorona l’Argentina campione del mondo col “paese in festa”. Enzo Biagi rifiuta di raccontarla e il direttore P2 del Corriere lo lascia a casa. Da Buenos Aires è già scappato Gian Giacomo Foa, corrispondente storico: troppo curioso. Anche il Partito comunista di Roma è frenato da un intrigo internazionale. Videla si è accordato con Mosca: l’Argentina affianca gli Usa nelle forniture di grano e i Soviet impongono cautela e silenzio ai partiti fratelli. Governo e diplomazia italiana paralizzati, poi, dalle cautele di Andreotti. Enrico Calamai, giovane console a Buenos Aires, è l’eccezione che sconsidera il potere armato e rischia la vita per mettere in salvo chi scappa dalle minacce. Videla era un uomo di “triste mediocrità”. Un po’ com’era successo a Pinochet si è trovato in prima fila nel golpe organizzato dalle mani pazienti di signori in doppiopetto.

SAPEVA CONIUGARE l’orgoglio della divisa all’arrendevolezza di un signore che sa obbedire a chi di dovere nel calcolo di un futuro di gloria e nell’illusione militaresca di allargare per sempre “ordine e obbedienza” fuori dalle caserme. Bene educato alla violenza, l’ha esercitata con l’arroganza di chi si illude di essere intoccabile. Ma ha esagerato e i grandi protettori hanno preferito sfumare il potere su generali che “sapevano stare al mondo”. L’orgoglio di Videla sopravvive in carcere fino agli ultimi mesi. Nell’intervista a un giornale spagnolo racconta l’amicizia con monsignor Prima e l’aiuto segreto al golpe di partiti argentini che oggi sopravvivono nella rispettabilità. Il suo cuore batteva per Carlos Menem, presidente nei guai per le mani lunghe: ha firmato l’indulto e illuso la speranza di libertà. Ma Nestor e Cristina Kichner l’hanno cancellato. “Sarebbe bene non parlare mai più di un uomo così”, ha detto Cristina.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

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