di Alberto Terenzi - 6 febbraio 2013
Il fenomeno del cosiddetto land grabbing (letteralmente: "accaparramento della terra") è al centro della preoccupazione di molte organizzazioni internazionali che si occupano di sviluppo ed agricoltura. Negli ultimi anni, infatti, società e Stati stanno acquisendo enormi estensioni di terra coltivabile, specialmente nei Paesi meno sviluppati dell'Africa, per scopi di sfruttamento agricolo - con l'evidente rischio non solo di creare un nuovo tipo di colonialismo ma ancor più di creare nuovi monopoli dei prodotti agro-alimentari, in un momento in cui essi sono già oggetto della speculazione finanziaria e di significativi rialzi di prezzo.
Un altro aspetto delicatissimo della questione è legato al fatto che la maggior parte delle colture cui vengono destinati questi terreni servono per produrre energia: queste terre sono così sottratte alla produzione per alimentazione umana e animale, con ulteriori effetti di spinta, secondo molti osservatori, sulla crescita dei prezzi dei prodotti agro-alimentari, i cui effetti sono ovviamente più pesanti nei paesi del Sud del mondo.
L'argomento è sicuramente fondamentale per chi ha a cuore il futuro del pianeta, ormai unificato dalla globalizzazione, ma la cosa diventa addirittura appassionante quando uno di questi accaparramenti si trasforma in un vero e proprio giallo.
Infatti, nel numero del 15 gennaio 2013, l'autorevole rivista scientifica americana Proceedings of the National Academy of Sciences, edita dalla Stanford University, ha pubblicato un importante articolo, "Global land and water grabbing", ad opera di tre ricercatori italiani, i quali hanno voluto studiare su basi rigorose questo scottante problema, collegandolo anche alla questione del controllo di un'altra risorsa fondamentale per il futuro del pianeta, l'acqua. Per dare dimensioni statistiche al fenomeno, hanno utilizzato, fra gli altri, i dati di una base di dati pubblica (http://landportal.info) nella quale già da alcuni mesi vengono registrate ed aggiornate tutte le transazioni di cui si ha notizia in materia di acquisizioni di terreni agricoli nel mondo, con indicazione sia del paese nel quale viene acquisita la terra che del soggetto, pubblico o privato, che l'acquisisce.
Nel maggio del 2012, quando cioè gli studiosi hanno consultato Landportal, risultava presente nel database un dato impressionante: Israele avrebbe acquisito nella Repubblica Popolare del Congo ben due milioni di ettari di terra (per raffronto, in tutta Italia vengono coltivati circa 14 milioni di ettari), allo scopo di coltivarvi jatropa, una pianta utilizzata per produrre i cosiddetti bio-carburanti.
L'acquisizione di due milioni di ettari in Congo poneva Israele tra i sei maggiori landgrabber mondiali, tra i quali figuravano anche la Cina, gli Usa e la Gran Bretagna. La notizia non è passata inosservata alla stampa israeliana che ha contestato questa informazione, osservando che sulla base di dati pubblica il dato non compariva! Ed in effetti, se oggi si consulta Landportal, di questa acquisizione in Congo di due milioni di ettari da parte di Israele o di società israeliane non c'è più la minima traccia. Che cosa è successo?
Così, se da una parte, ovviamente, i ricercatori saranno costretti a rivedere il loro, per altro assai importante ed interessante contributo, sorgono notevoli perplessità su come sia nata questa informazione, come spesso avviene nell'epoca delle informazioni on line: era tutto solo un'invenzione? da chi è partita? come mai un database internazionale l'ha accolta senza verificarla? Ad oggi, non lo sappiamo, ma ci auguriamo che nei prossimi giorni arrivi una chiara soluzione di questo appassionante thriller agricolo-ambientale, che potremmo chiamare "dei due milioni di ettari scomparsi".
Tratto da: clarissa.it