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standard-poors-webdi G. Colonna - 11 novembre 2012
La Corte Federale australiana di Sidney, presieduta dal giudice Jayne Jagot, ha condannato l'agenzia di rating Standard and Poor's, a pagare oltre 30 milioni di dollari a tredici municipalità della provincia australiana del New South Wales, che avevano perso il 93% del loro investimento di 16,6 milioni di dollari nei titoli, noti come Rembrandt Notes, emessi da ABN Amro e certificati da Standard and Poor's come AAA, ovvero di assoluta affidabilità.

Con S&P, la Corte ha anche condannato ABN Amro, una delle maggiori banche olandesi nazionalizzata nel 2008 a seguito della crisi finanziaria, e la società di consulenza finanziaria Local Government Financial Services Ltd. (LGFS), che nel 2006 aveva intermediato la vendita ai comuni, per "condotta fuorviante e ingannevole".
La notizia è di grande importanza in quanto si tratta della prima condanna al mondo nei confronti di S&P e potrebbe costare a livello globale alla società di rating oltre 200 miliardi di dollari, nel caso che altre azioni legali abbiano lo stesso esito.
Il legale delle municipalità australiane, Amanda Banton dello studio Piper Alderman, ha dichiarato che "si tratta di un grave colpo per le agenzie di rating, che per anni hanno ricavato profitti dall'assegnazione dei loro rating senza dover mai rendere conti agli investitori delle loro valutazioni". L'avvocato ha poi aggiunto che "la sentenza di oggi avrà in definitiva l'effetto di sancire il fatto che queste società sono responsabili delle loro valutazioni e di promuovere in tal modo la trasparenza nella procedura di rating". IMF Australia, la società di diritto pubblico che finanzia le maggiori azioni legali collettive, tra cui questa, ha poi dichiarato di pensare ad ulteriori azioni nel Regno Unito, in Olanda e in Nuova Zelanda, a tutela dei danni subiti dagli enti pubblici loro clienti: in particolare per un finanziamento di due miliardi di euro in Constant Proportion Debt Obligation (CPDO), un tipo di derivato che ABN Amro ha venduto sempre grazie all'alto rating garantito da S&P, per il quale sarebbe competente la magistratura di Amsterdam.
Ovviamente diversa è l'opinione di Standard and Poors' che, in una e-mail citata dal Wall Street Journal, ha dichiarato la propria delusione per la decisione della corte, respingendo ogni insinuazione in merito al fatto che la loro valutazione fosse inappropriata, e preannunciando ricorso in appello.
La linea di difesa dell'agenzia si era basata sul sostenere che "il sistema di rating è un'arte e non una scienza", affermando che S&P non era responsabile per eventuali errori che sarebbero causati da cattive informazioni fornite alle agenzie di rating da parte delle banche che hanno gestito il prestito o che lo hanno commercializzato, rovesciando in tal modo la responsabilità su ABN Amro e sulla società di consulenza.
A completamento di questa singolare impostazione ideologica, il Wall Street Journal ha precisato che, secondo il diritto statunitense, le valutazioni di rating sono delle semplici "opinioni", come tali protette dalla libertà di parola garantita dalla Costituzione americana: una impostazione teorica che da sola sovverte tutto quanto la scienza manageriale, per lo più proprio di origine anglosassone, sostiene da oltre mezzo secolo in tema di certificazione e garanzia di prodotto o servizio.
La notizia è particolarmente interessante anche sul versante italiano, soprattutto in relazione all'azione legale che la magistratura di Trani, su denuncia di Adusbef e Federconsumatori, ha avviato contro Moody's, Fitch e Standard and Poor's per un danno finanziario, che sarebbe conseguente alla loro azione nel nostro Paese, valutato in oltre 120 miliardi di euro.
Torna quindi di attualità la questione del ruolo centrale nella genesi dell'attuale crisi finanziaria di queste agenzie, il cui status si fonda su di una prassi Usa, che richiede l'obbligo di una valutazione di rating, ma che è privo di un qualsivoglia riconoscimento legale internazionale. Continua quindi a restare irrisolto il nodo fondamentale, costituito dalla presenza, nella compagine proprietaria di queste società, proprio di quelle società finanziarie dei "padroni dell'universo" (Masters of the Universe), come essi stessi si definiscono, che operano con gli strumenti finanziari speculativi: BlackRock Fund Advisors, Vanguard Group, Capital Word Investors - solo per citarne alcuni, sono infatti presenti con quote determinanti nella compagine azionaria di almeno due, e in alcuni casi di tutte e tre le citate Moody's, Fitch e Standard and Poor's, in un intreccio di interessi che apertamente confligge con il ruolo di "terza parte" che teoricamente ogni valutatore dovrebbe assumere rispetto al fornitore del prodotto o servizio, da un lato, e all'acquirente che dovrebbe essere garantito, dall'altro.

Tratto da: clarissa.it

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