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Rachel-CorrieCon la sentenza di Haifa aumentano le tensioni tra arabi ed ebrei. La famiglia: “Ricorreremo alla Corte suprema”
di Alon Altaras - 29 agosto 2012
Il Tribunale D’Assise della città di Haifa martedì ha respinto il ricorso della famiglia di Rachel Corrie contro lo stato di Israele. Nel 2003 Rachel Corrie venne schiacciata a morte da un bulldozer dell’esercito israeliano nella Striscia di Gaza. La pacifista faceva parte di un’organizzazione internazionale (ISM) di solidarietà con il popolo palestinese. Rachel si è messa davanti al bulldozer che stava per distruggere alcune case palestinesi nella città di Rafah, e con la sua presenza fisica voleva ostacolarne la distruzione. In quel tempo lei, come altri pacifisti, viveva nella striscia di Gaza.

Dopo una cortissima indagine, di tre settimane, l’esercito israeliano ha chiuso il caso senza attribuire la responsabilità dell’accaduto all’autista del bulldozer, in quale sosteneva di non aver visto la ragazza.

La battaglia giuridica portata avanti dalla famiglia di questa cittadina americana dura da anni. Già nel 2005 un avvocato arabo israeliano, Hussein Abu Hussein, fece appello contro il governo israeliano a nome della famiglia, sostenendo che Israele non aveva svolto una indagine sufficientemente credibile e approfondita, che arrivasse ad accertare le responsabilità. La risposta – già nel 2005 – fu che Rachel Corrie si trovava in una zona di guerra senza alcun permesso, rischiando consapevolmente la sua vita, e che l’indagine dell’esercito israeliano non aveva rilevato nessun abuso di legge né da parte dello Stato né dell’esercito.

La sentenza di martedì, in realtà, è una replica di quella del 2005.

La famiglia, che era presente in tribunale, aveva coltivato ben altre speranze la scorsa settimana. Daniel Shapiro, l’ambasciatore americano in Israele, incontrando i genitori e la sorella della vittima aveva detto loro che l’indagine fatta da Israele non era stata esauriente né approfondita. Questa la posizione del governo americano. Ciò si poteva leggere anche come la rassicurazione del governo americano alla famiglia Corrie, che continuerà a chiedere spiegazioni per la morte della loro figlia.

La famiglia Corrie non si è data per vinta neanche dopo la sentenza. In una conferenza stampa ha ribadito di non credere affatto alla versione dell’autista – di non aver visto la loro figlia – e hanno espresso la loro delusione per come i rapporti fra Israele e Stati Uniti si sono manifestati in queste tragiche circostanze.

L’avvocato Hussein Abu Hussein ha già dichiarato che farà ricorso alla corte suprema israeliana.

Negli anni trascorsi dalla sua morte, Rachel Corrie è diventata un personaggio simbolo di chi lotta contro l’occupazione israeliana nei Territori. Le navi che hanno partecipato a viaggi di aiuti umanitari verso la Striscia di Gaza portavano il nome della ragazza. Alcuni anni fa un teatro arabo della città di Haifa ha dedicato una piece teatrale alla storia e alla morte di questa ragazza, che si intitolava “My name is Rachel Corrie”.

In questo uso mediatico, e talvolta anche propagandistico, della tragedia, pare che Teheran abbia battuto il record. Nell’agosto del 2011 le autorità iraniane hanno deciso di dare il nome di Rachel Corrie ad una via della città. Ovviamente Ahmadinejad e il suo governo non hanno grande interesse nella figura della pacifista americana, ma la loro scelta di dedicare la via a una cittadina americana – dal ’79 ciò non accadeva – deve essere letta come parte della battaglia mediatica e politica contro lo stato israeliano.

Su Haaretz di martedì c’era la foto di Corrie prima che il bulldozer la colpisse. Chi osserva questa foto, ed è facile trovarla nel web, farà fatica a credere che si poteva non vederla. In queste settimane di grande tensione fra cittadini arabi ed ebrei in Israele, una sentenza che avesse avuto una maggiore sensibilità verso una pacifista avrebbe aiutato a quietare questa violenza sottesa. La sentenza di Hai-fa ha scelto un’altra via. Il governo americano e la Corte Suprema israeliana potranno far tornare il caso Rachel Corrie di nuovo all’attenzione dell’opinione pubblica israeliana e mondiale.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

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