Nei Caraibi c’è un apparente calma che prefigura l’incombente tempesta. Certamente le parole contradditorie a cui Donald Trump ci ha ossessivamente abituati in questi mesi non prefigurano nulla di buono.
Durante un’intervista andata in onda su “60 Minutes” (CBS), il tycoon ha affermato di “dubitare” che gli Stati Uniti entreranno in guerra contro il Venezuela, ma, subito dopo, incalzato sulla possibile fine della presidenza Maduro ha risposto: “Direi di sì. Penso di sì, sì”, precisando che i giorni del presidente venezuelano “sono contati".
Come se ciò non bastasse, Trump ha fatto riferimento a "piani segreti" per il Venezuela, una dichiarazione che ha ulteriormente alimentato le speculazioni sulle intenzioni americane nella regione.
Già il New York Times, citando fonti di intelligence, confermava che l’amministrazione Trump aveva autorizzato attività coperte della CIA nel Paese, con l’obiettivo dichiarato di rovesciare il regime di Maduro tramite operazioni clandestine—potenzialmente anche letali—coordinate con azioni militari/aeree e navali nella regione caraibica.
A questo proposito, il governo venezuelano ha riferito il 26 ottobre 2025, tramite una dichiarazione del Vice Presidente Delcy Rodríguez, di aver catturato un gruppo di presunti mercenari con legami alla Central Intelligence Agency (CIA) degli Stati Uniti. Secondo le autorità di Caracas, l'operazione rivela quello che descrive come una "operazione false flag" coordinata da Washington e da Trinidad e Tobago, pianificata dalle acque confinate con Trinidad e Tobago o da territorio trinidadiano o venezuelano, "per generare uno scontro militare su larga scala" contro il Venezuela.
L'Interior Minister Diosdado Cabello ha successivamente precisato che quattro persone erano state arrestate, asserendo che la cellula era "finanziata dalla CIA" e aveva pianificato di attaccare l'USS Gravely – una nave missilistica cacciatorpediniere – e attribuire la responsabilità a Caracas. Tuttavia, il governo venezolano non ha rilasciato prove concrete, dettagli sui sospetti arrestati, loro nazionalità o specifiche circostanze degli arresti.
Ma le operazioni segrete sarebbero solo il preludio per un’azione militare su larga scala. Il Wall Street Journal ha riferito che l'amministrazione Trump ha identificato potenziali obiettivi militari in Venezuela, tra cui basi militari, porti e aeroporti sospettati di essere utilizzati per il traffico di droga. Secondo fonti informate al Miami Herald, gli attacchi aerei potrebbero verificarsi "nel giro di pochi giorni o persino di poche ore.
Intanto, il dispiegamento militare nella regione si fa sempre più imponente. La Reuters ha documentato, attraverso immagini satellitari e analisi dei movimenti navali e aerei, che gli Stati Uniti stanno procedendo alla ristrutturazione dell'ex base navale Roosevelt Roads a Porto Rico, chiusa per oltre 20 anni. I lavori di costruzione hanno avuto inizio il 17 settembre 2025, interessando diverse strutture critiche per operazioni militari.
Le forze in campo comprendono la portaerei USS Gerald Ford in arrivo nel Mar dei Caraibi, accompagnata da tre navi da guerra per un totale di circa 4.000 militari. Sono inoltre schierati incrociatori e cacciatorpedinieri armati di missili Tomahawk, un sottomarino nucleare e squadroni di bombardieri B-1 e B-52 che hanno sorvolato recentemente le coste venezuelane. Il dispositivo comprende anche la nave base speciale MV Ocean Trader con forze speciali a bordo, circa 2.200 marines con veicoli d’assalto, elicotteri, F‑35 e droni Reaper pronti a operare dalle piste di Porto Rico. Nell’area dei Caraibi si trovano inoltre ulteriori task force navali americane come il gruppo del USS Iwo Jima e vari cacciatorpedinieri, che le immagini satellitari collocano a 124 miglia da basi militari venezuelane sensibili, come La Orchila. Negli ultimi due mesi, il totale delle forze USA nella regione è stimato in almeno 10.000 militari.
Il casus-belli dell’imminente avventura imperiale di Washington questa volta è la storia del narcotraffico, la cui narrazione è difficilmente difendibile persino dai grandi media. L’UNODC smentisce l’assunto che Venezuela sia un grande produttore di cocaina: quasi tutte le piantagioni si trovano in Colombia, Perù e Bolivia. Ma l’amministrazione americana insiste, dipingendo Maduro come un narco‑dittatore latitante. In sostanza, i dati ufficiali dell’ONU ridimensionano il mito del “narcostato”. Solo il 5% del traffico di cocaina proveniente dalla Colombia passa per il Venezuela. In confronto, il Guatemala e l’Ecuador rappresentano corridoi criminali ben più consistenti, ma non oggetto di analoghe campagne militari.
A rendere il quadro ancor più chiaro è la figura della leader dell’opposizione María Corina Machado, divenuta nel 2025, inaspettatamente la sorpresa mondiale del Premio Nobel per la pace, ma nulla avviene per caso. Fondatrice dell’ONG Súmate, finanziata dalle principali ONG statunitensi sponsor dei colpi di Stato (NED, USAID), secondo le indagini venezuelane, Machado sarebbe stata indirettamente coinvolta in complotti di matrice insurrezionale nel 2025, che includevano piani di sabotaggio contro infrastrutture strategiche. Accuse che tuttavia non hanno fermato l’ascesa della sua immagine internazionale, costruita come simbolo di “democrazia liberale” in opposizione al chavismo.
Oltre ad invocare senza remore un intervento militare diretto USA – per amore del suo Paese – a giugno la Machado ha presentato un piano di privatizzazione integrale dell’industria petrolifera venezuelana del valore di 1,7 trilioni di dollari, riservando il 40% degli investimenti ai giganti energetici statunitensi. L’obiettivo è ambizioso: portare la produzione a 4 milioni di barili giornalieri con 420 miliardi di dollari di capitali stranieri.
Una guerra, in sostanza, che sa tutta di “Make America Great Again”.
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