La Cina si propone come nuovo garante del libero commercio mentre gli Stati Uniti, isolati, vedono erodersi il dominio del dollaro
Il sole sorge nell’Est, mentre è sul cammino del tramonto ad Occidente. Con questa metafora si potrebbe commentare il vertice dell'Asia-Pacific Economic Cooperation (APEC) a Gyeongju, Corea del Sud, dove i leader delle 21 economie dell'Asia-Pacifico si sono riuniti per discutere temi cruciali come cooperazione economica, libero scambio e sostenibilità, in uno scenario globale incerto, segnato da tensioni commerciali e cambiamenti geopolitici.
Mentre l’incontro ha visto la stretta di mano del presidente della Corea del Sud Lee Jae-myung al presidente cinese Xi Jinping, il grande assente è stato Donald Trump che, dopo aver annunciato accordi commerciali con diversi Paesi, tra cui Pechino e Seul, se n'è andato prima dell'inizio del vertice.
Effettivamente, le opinioni di Washington sono rimaste evidenti nella dichiarazione a margine che, a differenza del documento dell'anno scorso, non ha menzionato il multilateralismo o l'Organizzazione mondiale del commercio.
"È il risultato del riconoscimento, da parte dei Paesi membri, almeno in una certa misura, che sarà difficile ripristinare un ordine di libero scambio basato sul multilateralismo e sull'Organizzazione mondiale del commercio", ha affermato Heo Yoon, professore di commercio internazionale presso la Sogang University di Seul. "Non possiamo più negare che si sta verificando un cambiamento di paradigma nell'ordine commerciale globale."
Di fatto, con la rapida uscita di scena del presidente USA prima del vertice, la Cina ha cercato di affermarsi come un fermo sostenitore del libero e aperto commercio, un ruolo che gli Stati Uniti avevano dominato per decenni. Proprio la Cina ospiterà l'APEC a Shenzhen nel 2026, come annunciato dal presidente Xi Jinping.
L’incontro tra il tycoon e l’omologo cinese a Busan ha decretato il fallimento della guerra dei dazi contro il dragone, di cui proprio il presidente USA si era fatto paladino. “Lo sviluppo e il rinnovamento della Cina non sono incompatibili con l'obiettivo del presidente Trump di 'rendere l'America di nuovo grande'”, ha detto chiaramente Xi Jinping a un Trump col sorriso a denti stretti, dopo aver concordato la sospensione per un anno delle restrizioni cinesi all’esportazione di terre rare e dei loro prodotti, compresi i magneti, essenziali per qualsiasi industria moderna, dall'industria automobilistica al complesso militare-industriale. Materie prime di cui l’America non può certamente fare a meno.
D’altra parte, come da accordi non scritti, Trump ha ridotto le tariffe legate al fentanyl dal 20% al 10%, portando i dazi totali sulle importazioni cinesi dal 57% al 47%, e non ha fatto pressioni per una sospensione del sostegno alla Russia sull’Ucraina.

Il presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping
Nessun commento sulla questione dell’IA, dove il comparto statunitense rischia di uscirne fortemente indebolito. La Cina ha compiuto "progressi colossali" su questo fronte nella produzione di microchip nel corso di un singolo anno. Nonostante le restrizioni americane all'esportazione di semiconduttori avanzati verso la Cina, l'azienda cinese DeepSeek ha sviluppato un'intelligenza artificiale generativa open source che raggiunge prestazioni competitive o superiori a ChatGPT di OpenAI e al modello o1. Il significato è radicale: DeepSeek-R1 utilizza una metodologia rivoluzionaria basata sulla "Chain of Thought" che permette di ottenere gli stessi risultati di OpenAI con meno calcoli e minore utilizzo di GPU, a una frazione del costo. Il team di soli 132 ricercatori, guidati da Liang Wenfeng e composti da giovani dottorandi formati in istituzioni accademiche cinesi, ha neutralizzato decenni di investimenti tecnologici statunitensi. La scoperta ha immediatamente svalutato le aziende americane fornitrici di GPU nel mercato.
Tracciando parallelismi, si scopre che, nonostante tutta la disinvoltura di Trump, gli Stati Uniti si trovano ora nei confronti della Cina nella stessa posizione in cui si trovavano l'URSS e la Russia nei confronti degli Stati Uniti negli anni '80 e '90. La posizione strategica di Washington è complicata dall'ascesa della Russia, che gode di un enorme vantaggio in termini di capacità di deterrenza nucleare.
E ora, anche per colpa della guerra commerciale – dove Corea e Giappone si sono trovati pressati nelle esportazioni rispettivamente del 25% e 27,5% – gli storici alleati di Washington vacillano. Lee Jae-myung si trova pressato dalle richieste di Trump di investire 350 miliardi di dollari negli Stati Uniti in cambio di una riduzione delle tariffe al 15%, ma allo stesso tempo dipende economicamente dalla Cina, suo principale partner commerciale. È proprio in questa occasione Lee ha ospitato Xi Jinping in una visita che è stata la prima in 11 anni, segnalando l'intenzione di "riequilibrare" i rapporti con Pechino oltre il "semplice ripristino”.
Il Giappone si trova in una posizione analoga: l'ex primo ministro Shigeru Ishiba sa che il Paese non può fare a meno della Cina dal punto di vista economico, pur dovendo mantenere l'alleanza di sicurezza con gli Stati Uniti. Le conversazioni trilaterali tra Cina, Giappone e Corea del Sud, riprese dopo due anni di stallo, rappresentano il tentativo di Tokyo e Seul di costruire uno spazio di autonomia rispetto alla rivalità USA-Cina.
L’interscambio tra i Paesi ASEAN accelera la caduta del dollaro
"Pechino sta chiaramente approfittando dell'assenza di Trump all'APEC per coinvolgere attivamente i Paesi preoccupati per il ritiro degli Stati Uniti e l'ascesa della Cina", ha affermato Li Xing, professore presso il Guangdong Institute for International Strategies, dicendosi "certo che rassicureranno Paesi come la Corea del Sud, che non possono più contare completamente sul sostegno degli Stati Uniti a causa di Trump, dicendo che non cercano l'egemonia ma un arricchimento comune."
I "Dieci" Paesi dell'ASEAN rappresentano circa 1.000 miliardi di dollari del volume totale del commercio estero della Cina, pari a 6.000 miliardi di dollari. Ma il coinvolgimento di questa regione nelle relazioni commerciali con la Cina è molto più profondo.
L'ex primo ministro giapponese Shigeru Ishiba
Nel concreto, il 27 marzo 2025 la Cina ha attivato una piattaforma di pagamenti transfrontalieri in yuan digitale integrata col sistema CIPS 2.0 e col progetto mBridge (sviluppato con la BRI, Hong Kong, Thailandia, Emirati Arabi e Arabia Saudita). Questo sistema consente transazioni internazionali istantanee con costi molto più bassi rispetto a SWIFT ed esclude quasi completamente il dollaro dalle transazioni tra i Paesi aderenti. Nel primo semestre 2025 oltre 6,5 milioni di utenti hanno utilizzato pagamenti transfrontalieri tramite Alipay+, con una crescita del 30% rispetto al 2024. Sono coinvolti oltre 40 partner, 100 Paesi e 1,8 miliardi di consumatori.
Questa formula di pagamenti digitali istantanei proposta da Pechino è stata estesa anche a sei Paesi del Medio Oriente, garantendo significativi risparmi sui costi e, soprattutto, spostando potenzialmente il 38% del commercio globale dalle transazioni in dollari, offrendo un'alternativa concreta al modello di interdipendenza economica costruito dagli Stati Uniti.
Basti pensare che, nei primi tre trimestri del 2025, gli scambi tra Cina e ASEAN hanno raggiunto 5,57 trilioni di yuan (circa 783 miliardi di dollari), con un incremento annuo del 9,6%.
Nel frattempo, il peso del dollaro nelle riserve valutarie mondiali è sceso al 54% dal 62% del 2015 e sempre più aziende globali (compresi giganti tech ed energetici) accettano o effettuano pagamenti in yuan, euro, rubli e rupie indiane, riducendo la centralità del dollaro nelle catene di valore.
La debacle della vecchia moneta dell’impero è inesorabile, mentre anche Paesi come Brasile, Arabia Saudita e Sudafrica stanno negoziando per aderire ai sistemi digitali cinesi. Il dollaro si tiene in piedi proprio in quanto principale moneta di riserva mondiale, utilizzata per acquistare materie prime le cui eccedenze sono investite in buoni del tesoro USA. Ma da tempo qualcosa sta cambiando. La People’s Bank of China (PBOC) ha drasticamente ridotto le proprie partecipazioni in titoli del Tesoro statunitense, passando da 784,3 miliardi di dollari a febbraio 2025 a 730,7 miliardi di dollari a luglio 2025, una diminuzione di oltre 54 miliardi di dollari. Nel primo semestre del 2025, Pechino ha inoltre raggiunto un traguardo storico, con oltre il 50% dei pagamenti di import-export effettuati in renminbi, rispetto allo zero del 2010. Parallelamente alla riduzione dei titoli del Tesoro, la Cina ha accelerato drammaticamente i propri acquisti di oro, con riserve che hanno raggiunto circa 2.303,5 tonnellate.
L’America, strozzata da un colossale deficit della bilancia dei pagamenti e un conseguente debito che ha raggiunto la cifra record di 38 trilioni di dollari, non può tornare esportatore netto grazie alla guerra commerciale, come Trump sperava. Resta solo l’opzione della guerra per tornare ad accaparrarsi materie prime e tentare di rendere l’America di nuovo grande.
Foto © Imagoeconomica
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