Dietro l’immagine democratica: ONG, fondi USA e violenza politica che prepara all’intervento militare USA
La rivelazione sulla vincitrice del Nobel per la pace 2025 è stata come un fulmine a ciel sereno quest’anno.
Nessuno si aspettava che l’assegnazione – per il suo impegno nella promozione della democrazia e i diritti civili – andasse a Maria Corina Machado, leader finora sconosciuta dell’opposizione venezuelana, molto attiva contro Nicolás Maduro.
Ma si sono elementi molto più interessanti nella sua biografia. Ha fondato l’ONG Súmate finanziata da enti statunitensi come il National Endowment for Democracy, l’USAID e il National Democratic Institute, con la quale promosse più volte lo sciopero petrolifero per mandare in sofferenza l’economia del Paese e destabilizzarlo.Nel 2014 Machado partecipò attivamente al piano “La Salida”, un’iniziativa politica che portò a una serie di proteste note come “guarimbas”. Le manifestazioni, sostenute anche da lei, avevano l’obiettivo di spingere alle dimissioni il presidente Nicolás Maduro e si conclusero con episodi di violenza che causarono la morte di oltre 43 persone. Una complicità che le costò la destituzione dall'Assemblea Nazionale nel marzo 2014, ma che non avrebbe fermato le sue mire alla destabilizzazione armata.
Il 23 giugno le forze di sicurezza venezuelano avrebbero sventato un attentato terroristico in Plaza Venezuela, a Caracas, dove era stato nascosto uno zaino contenente tre chilogrammi di tritolo destinati a esplodere nei pressi del Monumento alla Vittoria. Pochi mesi dopo, il 9 agosto, annunciarono di aver smantellato a Maturín, nello Stato di Monagas, una base logistica che conteneva un vasto arsenale, tra cui oltre 54.000 cariche esplosive, micce detonanti e munizioni di grosso calibro, arrestando 21 persone e denunciando piani di sabotaggio contro infrastrutture strategiche. Indagini, che seguito videro María Corina Machado, accusata di essere la principale responsabile delle presunte cospirazioni terroristiche.
C’è poi la questione delle elezioni presidenziali del 28 luglio 2024. Secondo i dati ufficiali del Consiglio Nazionale Elettorale, Nicolás Maduro avrebbe ottenuto il 51,2% dei voti contro il 44,2% di Edmundo González Urrutia, sostenuto da Machado, con un’affluenza del 59%. L’opposizione, invece, ha contestato questi numeri, sostenendo che il candidato avrebbe vinto con una percentuale compresa tra il 67% e il 73%, basandosi sull’83,5% dei verbali in suo possesso.
Tuttavia, secondo un’indagine di Datanálisis, il 64,6% dei venezuelani respinge il ruolo di Machado come leader dell’opposizione. Tra le opinioni negative, il 26,5% considera il suo ruolo “molto cattivo”, il 20,3% lo definisce “cattivo” e il 17,8% lo valuta “mediocre con tendenza negativa”.
Ormai è un noto cliscé: quando si vuole promuovere la “democrazia” di Washington, la promozione di violenza, terrorismo e sanzioni economiche diventano medaglia al valore.

Nicolás Maduro
Senza soprese, per la sua nazione Machado non disdegna le sorti più messianiche del paradiso neoliberale, con ogni mezzo possibile. La leader dell’opposizione si è più volte espresso anche come favorevole a sanzioni e blocchi internazionali contro il regime venezuelano e, talvolta, alla necessità di un intervento esterno per rovesciare Maduro.
Sono inoltre documentate sue richieste di intervento militare, tra cui quelle rivolte nel 2014 all’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) e, nel 2018, al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
Ebbene, a questo proposito, nel 2020, in qualità di leader di Vente Venezuela, ha promosso un accordo di cooperazione politica con il Likud, il partito di Benjamin Netanyahu, stabilendo una piattaforma di collaborazione su temi politici, strategici e di sicurezza. Si è dichiarata apertamente sostenitrice di Israele, promettendo anche che, in caso di vittoria alle elezioni, avrebbe riallacciato stretti rapporti tra Venezuela e Israele e spostato l'ambasciata venezuelana a Gerusalemme. Un sodalizio che non ha mai messo in discussione, nemmeno nelle fasi più cruente del genocidio palestinese. Lotta per i diritti civili, sicuramente, ma non fuori dal Venezuela, sia mai!
La strada spianata per l’intervento militare Usa
È evidente come il Nobel per la pace rappresenta in un certo senso l’assist definitivo per l’intervento militare Usa nel Paese.
La situazione nel mar dei Caraibi ha raggiunto livelli di militarizzazione non visti dalla Guerra Fredda. Gli Stati Uniti hanno dispiegato una flotta navale senza precedenti nella regione, inclusi otto navi da guerra, un sottomarino nucleare, oltre 4.500 militari e caccia F-35. Un assetto, ufficialmente giustificato come operazione anti-narcotraffico, in una retorica Trumpiana che vede il Venezuela in generale come un Paese emblema dei traffici illeciti.
In realtà, l'Ufficio delle Nazioni Unite per il Controllo della Droga e del Crimine (UNODC) nel suo rapporto mondiale del 2025 dipinge un quadro molto diverso da quello presentato da Washington.
Secondo i dati UNODC, solo il 5% della droga colombiana transita attraverso il Venezuela, una cifra marginale se confrontata con altri corridoi di traffico. Per fornire un contesto, nel 2018 la Colombia ha prodotto 2.370 tonnellate di cocaina, mentre solo 210 tonnellate sono passate attraverso il territorio venezuelano. Nello stesso periodo, il Guatemala - che raramente figura nella retorica anti-droga statunitense - ha gestito 1.400 tonnellate, rendendolo un corridoio della droga sette volte più significativo del Venezuela.
L'ex direttore dell'UNODC Pino Arlacchi ha definito senza mezzi termini la narrativa del "narcostato" come "propaganda travestita da intelligence" utilizzata per giustificare un'agenda di cambio di regime motivata dal petrolio.
Perché l’amministrazione Trump non dispiega il suo esercito contro i tre giganti della produzione di droga? Solo la Colombia resta il principale produttore globale, responsabile di circa il 60-70% della cocaina mondiale, con oltre 230.000 ettari di coltivazioni di coca e una produzione potenziale vicina alle mille tonnellate annue. Seguono il Perù e la Bolivia. Mai menzionate dalla campagna militare antidroga del tycoon americano.
A valle della produzione, una rete di Paesi di transito consolida la rotta della cocaina verso i mercati internazionali. L’Ecuador si è trasformato in un hub di esportazione verso l’Europa, con il porto di Guayaquil come snodo centrale; il Brasile, grazie ai porti di Santos e Paranaguá, è divenuto il principale corridoio atlantico verso Europa e Africa, sotto il controllo del gruppo criminale PCC; mentre l’area tri-frontaliera tra Argentina, Brasile e Paraguay. Ma qui di truppe americane non se vedono.
Se il presidente statunitense volesse davvero dedicare anima e corpo nella lotta ai traffici illeciti dovrebbe guardare alle banche americane. Nel 2024 la TD Bank è stata multata per 3,09 miliardi di dollari, dopo aver ammesso di aver facilitato il trasferimento di oltre 670 milioni di dollari attraverso conti usati da reti criminali, con il coinvolgimento diretto di alcuni suoi dipendenti. Un precedente caso risale al 2010, quando Wachovia — oggi parte di Wells Fargo — fu sanzionata per 160 milioni di dollari per aver riciclato più di 380 miliardi di dollari provenienti da cartelli della droga messicani, senza adeguati controlli antiriciclaggio. Illeciti analoghi sono stati segnalati per Citigroup, PMorgan Chase, Bank of America e Citibank, ma dove regna il grande capitale finanziario è bene lasciare che gli investimenti mantengano un flusso regolare.

La Cia e il Narcotraffico
Al contrario I rapporti del governo americano con il narcotraffico sono ormai arcinoti. Con il Plan Colombia, lanciato nel 1999 dal presidente Bill Clinton, Washington stanziò 1,374 miliardi di dollari con il dichiarato obiettivo di combattere il traffico di droga. In realtà, gli stessi analisti e le forze armate colombiane riconobbero che l’operazione fu efficace soprattutto contro la guerriglia e non contro la produzione di cocaina, che passò dai 160.000 ettari coltivati nel 1999 ai 212.000 del 2019.
Un’altra vicenda emblematica è l’inchiesta Dark Alliance del giornalista Gary Webb, pubblicata nel 1996, che documentò come la CIA avesse tollerato per oltre un decennio il traffico di cocaina gestito da Danilo Blandón, legato ai Contras nicaraguensi, e dallo spacciatore "Freeway" Ricky Ross, divenuto il "re del crack" a Los Angeles. I proventi di questo commercio sarebbero stati destinati a finanziare la guerriglia antisandinista in Nicaragua.
La nuova guerra per il petrolio
Intanto inizia la guerra ibrida a bassa intensità ha avuto già inizio. L'8 agosto 2025, Trump ha segretamente firmato una direttiva che autorizza il Pentagono a usare la forza militare contro specifici cartelli latinoamericani classificati come organizzazioni terroristiche.
Dal 2 settembre 2025, le forze statunitensi hanno condotto almeno quattro attacchi letali contro imbarcazioni venezuelane nel mar dei Caraibi, causando almeno 21 morti. Il primo attacco ha ucciso 11 persone a bordo di un'imbarcazione che partiva da San Juan de Unare, nel Sucre.
Il Venezuela ha risposto con una massiccia mobilitazione difensiva. Il presidente Maduro ha mobilitato 4,5 milioni di membri della Milizia Bolivariana per sostenere le forze armate. Per la prima volta nella storia del paese, sono state mobilitate 15.751 basi di difesa popolare e 5.336 unità di milizia comunale.
In queste ore Le zone costiere del Paese a est di Caracas (gli stati di Zulia, Falcón e Aragua) sono state messe in stato di massima allerta. I militari venezuelani hanno invitato i cittadini a prepararsi al dispiegamento delle truppe nei punti critici lungo la costa e a non smettere di documentare ciò che accade.
"Tutto il potere militare del paese è stato schierato in tre zone di difesa integrale", ha dichiarato il presidente del Venezuela Nicolás Maduro in attesa di un'invasione americana.
Sule motivazioni reali che stanno spingendo l’Amministrazione Trump all’intervento militare – in una farsa dove manca solo l’ennesima fialetta, o meglio spinello venezuelano di Colin Powell – bastava una frase per chiudere qualunque analisi geopolitica.
Caracas possiede tra le maggiori riserve petrolifere al mondo e mantiene legami militari, tecnologici e di intelligence con Russia, Cina e Iran.
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